Di Federico Franzin

Con una certa sicumera il giornalismo Italiano reagisce alle vicende americane attraverso una narrazione spesso superficiale che è poi quella che giunge a noi sotto forma di retorica fatta di democrazia, rispetto per le istituzioni, libertà in senso piuttosto vago. Tutto questo porta ad una visione parziale e non priva di
inciampi. Ancora fresco è il ricordo di quando quattro anni fa, la stragrande maggioranza dei salotti televisivi andò a dormire con la presunzione della presidenza Clinton come ovvia e invece si svegliò con Trump presidente.

Eppure non era affatto imprevedibile, anzi.
L’assalto a Capitol Hill (onestamente prevedibile se non addirittura previsto) risveglia bruscamente anime candide che non sanno far altro che puntare il dito su Trump come fomentatore di un incendio che per la verità esiste da ben prima del Trump politico stesso.
Che esista una forte spaccatura nella società americana la quale in qualche modo mantiene fresca la ferita della guerra civile, non è affatto un segreto. Da un lato emerge periodicamente la tensione razziale che oggi si riconosce nella sigla BLM e che nel 1992 si manifestò con i famosi fatti di Los Angeles. Dal lato diametralmente opposto invece esistono tensioni che vedono in qualche modo l’establishment come
sistema oppressore e corrotto nei valori fondanti, ed è questo tipo di tensione che si è in qualche modo posizionata sotto l’argine Trumpista in questi ultimi quattro anni. Dovessimo partire da più lontano si dovrebbe tornare nel 1992. Tale Randy Weaver, ex berretto verde, separatista bianco e membro di Identità cristiana (movimento americano che declina la fede cristiana sotto un punto di vista razziale) è latitante da
un paio di anni con accuse di possesso illegale di armi da fuoco e vive con la famiglia, isolato dal resto del mondo ma protetto dalla comunità del posto presso Ruby Ridge nell’Idaho.

La posizione politica e l’isolazionismo di Weaver a fronte delle indagini sul possesso d’armi e il rifiuto a comparire lo rende automaticamente ostile all’ordine costituito e possibile sovversivo. Il tentativo di arresto da parte dei federali si trasforma in una sparatoria che porterà all’assedio del capanno nel bosco dove vive la famiglia
Weaver. L’assedio durerà 11 giorni. Nell’assedio muoiono moglie e figlio di Weaver nonché uno sceriffo, e anche per questo ultimo sarà messo sotto accusa il fuoco amico dei federali. E’ un evento fondamentale per tutta quella cultura che percepisce lo stato federale come usurpatore delle libertà fondanti gli stati uniti e soprattutto le libertà individuali che essa garantirebbe.
L’anno seguente in Texas e in particolare a Waco una delle tante realtà settarie che in America sono particolarmente diffuse, possiede legalmente l’area di Mount Carmel dal 1955. Per dei corsi interni alla setta di stampo avventista, la comunità dei Davidiani guidata ora da David Koresh o meglio il suo ramo scissionista denominato appunto il ramo, vive secondo le proprie leggi all’interno di un grande ranch
chiamato Magnolia. La comunità vive in armonia con gli abitanti del luogo e non ha mai dato problemi di ordine pubblico. Indipendentemente dal giudizio riguardo le attività pseudoreligiose della setta dei Davidiani, c’è da considerare che il governo comincia ad indagare sul ranch su base di alcune indiscrezioni di un fuoriuscito riguardo il possesso e traffico di armi, esattamente come per l’incidente di Ruby Ridge.


Le indagini dell’ATF (Bureau of Alcohol, Tobacco and Firearms) trovano la collaborazione di Koresh ma come evidenziato anche da Gore Vidal, da parte dei federali vi è chiusura rispetto alla setta. Un tentativo di perquisizione del ranch sfocia in sparatoria e questo porta ad un assedio dei federali (applicando una eccezione ad una legge che vieta l’intervento federale in conflitti su suolo privato, con un
solo precedente dal 1897) che si protrae per 50 giorni e finisce tragicamente in un blitz con mezzi pesanti e gas infiammabili. Muoiono 76 persone tra le quali donne incinte e bambini. Le immagini dell’incendio che ne segue, ossessivamente trasmesse in dirette televisive estenuanti, fanno il giro del mondo ma è proprio negli Stati Uniti più profondi che si imprimono nella mente di molte persone che percepiscono l’evento
come un sopruso violento in continuità ideale della violenza esercitata dal governo nordista sugli stati del sud durante la guerra civile.


Gli eventi di Ruby Ridge e Waco sconvolgono e ossessionano un giovane di nome Timothy McVeigh. Veterano della prima guerra del golfo, al rientro dal fronte la sua posizione verso il governo muta, ritenendo la guerra frutto di menzogne che evidenziano le malevole intenzioni dell’establishment che non fa davvero l’interesse degli americani che anzi vengono usati per scopi d’interesse economico di pochi.
La radicalizzazione antiprogressista e le letture dei bollettini di vari movimenti considerati suprematisti (tra cui quello di Christian identity del già citato Weaver) fa maturare l’idea che il potere costituito vada rovesciato anche con la forza. Assieme al suo commilitone Terry Nichols, decide ben presto di dare un segnale allo stato. Dopo una serie di obbiettivi federali individuati, i due decidono di alzare subito il tiro su
di un edificio con più dipendenti e più circolazione di individui. Un complessivo di oltre 3000 kg di esplosivo preparato artigianalmente per sette mesi, fa saltare in aria l’Alfred P. Murrah federal building proprio nella data dell’anniversario della strage di Waco. Una sorta di rappresaglia che costa 168 vittime.

E’ il più grave attentato in suolo americano prima dell’11 settembre 2001. Ben presto le indafini portano a McVeigh.
E proprio qualche mese prima dell’attentato alle torri gemelle avviene l’esecuzione per iniezione letale di Timothy McVeigh. Comunità suprematiste ostili al governo centrale sono centinaia anche durante tutti gli anni novanta, per poi gradualmente scomparire e calare di numero. Complice anche il cambio di passo dei tempi, dove il controllo è maggiore e più difficile la clandestinità sotto qualsiasi forma. Tuttavia in tempi
recenti qualcuna di queste è tornata alla ribalta delle cronache. Nel 2016 la cosiddetta milizia dell’Oregon ha occupato spazio nella cronaca internazionale. Sullo sfondo del tema dell’oppressione della popolazione e della necessità di redistribuzione delle terre federali alle comunità, il 2 Gennaio del 2016 viene occupato un complesso di proprietà federale presso la città di Burns. Una serie di case adibite a deposito e appoggio per
la pesca. La motivazione della protesta è la presunta persecuzione del governo ai danni di due proprietari terrieri della zona ovvero Dwight e Steven Hammond. Si raccolgono più di 150 persone in questa comunità indipendente, tra le quali spiccano figure che hanno giù movimentato azioni e proteste antigovernative
simili in giro per gli stati uniti. Prima della fine dell’occupazione, gli interventi dell’FBI causeranno un morto ovvero Robert Lavoy Finicum, portavoce della milizia. Ancora una volta l’intervento armato federale contro comunità autonome che rivendicano l’esercizio della loro autonoma libertà sul proprio suolo causano morte. Questo sempre di più rinsalda la trama del governo usurpatore di libere terre che calpesta il diritto fondamentale della proprietà della terra stessa. Terra attorno alla quale gravita tutta la sacralità dei valori di una libera nazione.


Arrivando ai nostri giorni, molte di queste istanze si rimescolano a visioni più aggiornate e liquide. Dalla rete emergono tutta una serie di sensazioni e teorie della cospirazione che si abbracciano idealmente alle ormai già antiche convinzioni paranoiche rispetto all’establishment. Si è molto parlato e si parlerà ancora di
QAnon ovvero una sorta di teoria cospirazionista piuttosto articolata, emersa da canali come 4chan e perpetrata poi via twitter e youtube, che vede un vago deep state agire volontariamente e segretamente contro i conservatori per l’instaurazione definitiva di un nuovo ordine mondiale. Niente di particolarmente nuovo se non nel fatto che in questa teoria emerge una componente organizzata di stampo satanista legata
al mondo della pedofilia e al cannibalismo. Una organizzazione composta sostanzialmente dalle elite imperanti e che ha come grande avversario proprio Donald Trump, il quale è visto come il salvatore che prepara le mosse finali contro questo leviatano. Quel Donald Trump che ha raccolto sotto il suo ombrello
politico la simpatia e la stima dei movimenti radicali che hanno visto quanto meno la possibilità di vedere garantite determinate lotte per i diritti inalienabili a fronte di una cultura distruttiva. In questo contesto si inserisce la vicenda Epstein e la sua misteriosa quanto provvidenziale morte in carcere, ufficialmente per suicidio. Pur non avendo un reale fondamento questa teoria ha raccolto a sé parecchi adepti e anche il
presidente Trump ha spesso retwittato messaggi di profili legati a QAnon. Questa teoria cospiratoria che viaggia liquida e multiforme attraverso la rete ha una enorme componente sarcastica legata al mondo del web, fatto di meme e paradossi. Lo si è visto confluire proprio sotto questa forma a Capitol Hill. Si sono visti gli atteggiamenti dissacratori e folli (difficile scordare lo sciamano Jake Angeli) che sono la vera cifra di
QAnon. La stampa affiancata dalla solitamente bigotta mentalità di sinistra, non sono sufficientemente preparati per cogliere i vaporosi confini tra serio e irridente, tra convinzione e paradosso comunicativo che muove questa specie di credo parapolitico. Non è così importante che le bizzarre idee QAnoniste siano vere oppure no, perché di fondo sono verosimili. Sono la parodia drammatica di una realtà fatta di politiche che
abbracciano platealmente culture relativistiche rispetto ai fondamenti della società, rispetto alla famiglia, rispetto alla cultura della vita sostituita dalla cultura dell’aborto, alla sessualità come arma di distruzione della ragione civile, rispetto anche alla sessualizzazione dell’infanzia.

Perché lo sappiamo bene che è questa la prossima next big thing all’orizzonte del decadimento. Insomma forse Trump ha ben accolto alcune prese di posizione, ma quello che si è visto a Capitol Hill prescinde da Donald Trump. Ha una storia molto più
lunga e va oltre la storia di Trump. Ancora una volta c’è un veterano martire ovvero Ashli Babbit. Donna, reduce di Iraq e Afganistan, lavoratrice, amante del suo paese ma ancora di più dei valori che dovrebbero incarnarsi in esso. Sostenitrice dell’argine Trump. Non credo interesserà a nessuno il fatto che fosse disarmata e che la sua unica colpa è stata non ritenere più sacre quelle stanze. Una storia che non finisce
qui di certo ma che racconta una america che per i più rimane un mistero.

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