Scrive san Tommaso del mistero del Natale: in questa nascita divina “non c’è stata diminuzione dell’integrità della madre, ma gioia più grande, perché l’Uomo-Dio è nato alla luce del mondo” (Summa Theologiae).
Fermiamoci un momento a contemplare questa gioia sconfinata della Beata Vergine, a cui allude san Tommaso.
È il momento sublime in cui il suo sguardo celeste si posa per la prima volta sul viso così adorabile del divin Bambino, dove le sue mani immacolate lo stringono al cuore e le sue labbra materne gli danno il primo bacio. Alcuni santi hanno avuto il raro privilegio di godere per qualche istante dell’abbraccio di Gesù Bambino, apparso miracolosamente tra le loro braccia: sono stati estasiati in modo ineffabile, perché le apparizioni di Gesù Bambino sono le manifestazioni più commoventi e più tenere di Dio.
Ma quelle erano solo apparenze, mentre in quell’indicibile momento la Vergine possedeva la realtà: stringeva Colui che l’aveva presa e coperta della sua Ombra.
Il santo vegliardo, Simeone, ha avuto il grande privilegio di tenere il Bambino tra le braccia, nella sua realtà, e proruppe di gioia nel suo inno: “È ora, Signore, che lascerete morire il vostro servo in pace, perché i miei occhi hanno visto il Salvatore… la luce che illuminerà le nazioni”. Santa Elisabetta gioisce per la visita di Maria, che porta in sé, invisibile, il suo Gesù.
Come tutti questi santi, e anche più di loro, la Beata Vergine possedeva quel fuoco ardente della virtù divina dell’amore suscitato dalla vista del Salvatore neonato. Tuttavia, vi aggiunse un’inesprimibile tenerezza materna verso di lui, molto più grande di tutta la naturale tenerezza di una madre, perché nessun cuore di madre è mai stato più sensibile del suo Cuore Immacolato e nessun figlio è mai stato più amabile del suo Figlio.
Gesù era il suo tesoro perché da lei era nato, ma le apparteneva in modo molto speciale, esclusivo e inimitabile, perché non aveva un padre umano che si considerasse proprietario di quel tesoro; e Gesù era il suo tesoro, ma di valore veramente infinito perché concepito dallo Spirito Santo e, quindi, il capolavoro di Dio: l’Uomo-Dio.
Infine, se le sante gioie del Signore sono tanto più profonde man mano che vengono preparate nel raccoglimento, nella meditazione e nella preghiera, quanto queste gioie saranno state oltre misura in Maria, che era stata preparata per questo momento da nove mesi di raccoglimento intimo e unione ineffabile con Gesù vivente in lei?
Tuttavia, alla gioia si è subito aggiunto il dolore più straziante.
In effetti, la nascita del Re dei Re fu circondata dal freddo pungente della notte, dall’oscurità della grotta, dalle esalazioni disgustose della stalla, dalla sporcizia delle pareti, dal respiro affannoso degli animali, da un po’ di paglia nella mangiatoia, quando tutti gli splendori dell’universo, riuniti in un solo palazzo, non sarebbero stati degni di Lui. Ma ciò che è molto più doloroso per Gesù e Maria, anche oggi, è questa triste realtà: “È venuto tra i suoi, ma i suoi non lo hanno ricevuto!”
L’assenza di dolore fisico da parte di Maria alla nascita di Gesù ha lasciato il posto a un intenso dolore spirituale.
Così la gioia si univa alla sofferenza e ciò che univa questi opposti era l’amore di Maria: per amore si rallegrava, per amore sopportava questi dolori. È un amore che si accende tanto di più quanto le umiliazioni si fanno sempre più profonde, in cui vede immerso Gesù per il nostro bene, perché – come dice san Girolamo – più Dio si umilia profondamente per noi, più Egli ci costringe ad amarlo.
da fsspx.news
Immagine : El Greco, (particolare di) La Natività, 1597, Capilla Mayor del Hospital de la Caridad, Illescas (Toledo/Spagna) – commons.wikimedia.org