Dal sito della Sacra Fraternitas Aurigarum Urbis riprendiamo il seguente articolo: interessante, chiarificatore, attuale e utile.
Il 2 marzo del 2020 sono stati aperti agli storici gli Archivi Vaticani relativi al pontificato di Pio XII: secondo la Santa Sede la disponibilità dei documenti in essi contenuti dovrebbe far cadere l’accusa, rivolta ancora da più parti, a quel Pontefice di “essere stato in silenzio” durante la persecuzione assassina degli Ebrei europei da parte dei nazisti al tempo della Seconda Guerra mondiale. L’esame di quei documenti, in effetti, è già stato svolto dal 1965 al 1982 da quattro gesuiti incaricati a tale scopo da Papa Paolo VI: alla fine tutti i documenti furono pubblicati in dodici volumi dal titolo Actes et Documents du Saint-Siège relatifs à la Seconde Guerre mondiale; essi dimostrano in maniera inconfutabile che Pio XII, anche se scelse di non denunciare in maniera pubblica la persecuzione degli Ebrei, avendo compreso l’inutilità di una tale scelta, in realtà si spese in maniera efficace per salvarne il più possibile.
Per comprendere il dilemma in cui si trovò Pio XII in quel periodo è fondamentale la lettura del libro, Pio XII e la Seconda Guerra Mondiale negli Archivi Vaticani (Nota 1) , scritto da Pierre Blet, uno dei quattro religiosi che si occuparono della pubblicazione dei suddetti volumi: il libro riporta in maniera sintetica quanto scoperto negli Archivi ed in riferimento ad ogni affermazione fatta si cita la posizione dei documenti; per di più Padre Blet, morto nel 2019, in una intervista rilasciata alla rivista 30Giorni n. 4 del 1998 si dichiarò convinto che da nuove ricerche negli Archivi Vaticani non sarebbero usciti altri documenti, oltre quelli rinvenuti, che dimostrano appunto la falsità delle accuse rivolte a Pio XII.
L’aiuto prestato da Pio XII agli Ebrei durante la Shoah fu riconosciuto nel dopoguerra da personalità ebraiche di spicco, come riportato accuratamente in un suo libro da Pinchas E. Lapide (Nota 2); lo stesso ha fatto più recentemente Rino Camilleri (Nota 3) .
L’importanza di Pinchas E. Lapide, relativamente alla questione trattata è fondamentale, perché fu un testimone diretto di molti fatti di cui parla e perché ha potuto accedere a ogni fonte documentale possibile (altri testimoni, archivi israeliani, documenti del III Reich, verbali del processo di Norimberga). L’attendibilità e l’imparzialità di Pinchas E. Lapide può fondarsi sul fatto che egli era molto critico nei riguardi dell’atteggiamento dei cristiani in generale e della Chiesa in particolare, che nei secoli avevano fomentato l’astio (o anche peggio) contro gli Ebrei accusati di deicidio e di comportamenti scorretti; nello stesso tempo tuttavia Pinchas riconosceva che tale atteggiamento si era attenuato, scomparendo alla fine, per merito dei tre Papi di cui parla nel suo libro, Pio XI, Pio XII e Giovanni XXIII, che anzi si erano vigorosamente opposti alle persecuzioni antiebraiche naziste. In particolare, per quanto riguarda Pio XII, Pinchas E. Lapide calcolava in centinaia di migliaia gli Ebrei, che sarebbero scampati alla “soluzione finale”, a seguito delle iniziative in loro difesa messe in atto da quel Papa.
A sugello di quanto fatto da Pio XII per gli Ebrei Pinchas E. Lapide ricorda quanto detto da Golda Meir, allora Ministro degli Esteri di Israele alla sua morte il 9 ottobre 1958: “Partecipiamo al dolore dell’umanità per la morte di sua Santità, Papa Pio XII. In un periodo turbato da guerre e da discordie, Egli ha mantenuto alti gli ideali più belli di pace e di carità. Quando il martirio più spaventoso ha colpito il nostro popolo, durante i dieci anni del terrore nazista, la voce del Pontefice si è levata a favore delle vittime. La vita di quei tempi fu arricchita da una voce che proclamava, al di sopra dei tumulti del conflitto quotidiano, le più grandi verità morali. Noi piangiamo la perdita di un grande servitore della pace” (Nota 4).
Le menzogne sul “silenzio” di Papa Pio XII iniziarono alcuni anni dopo la sua morte con una campagna denigratoria promossa dal Comitato per la Sicurezza dello Stato (KGB), su incarico del Segretario del Partito Comunista Sovietico Nikita Krusciov, per screditare il Papa ed il suo magistero anticomunista.
Fu proprio con l’appoggio occulto del KGB che nel 1963 Rolf Hochhut, ex membro della gioventù hitleriana, pubblicò il lavoro teatrale Il Vicario (allusione al Vicario di Cristo), nel quale il Pontefice veniva presentato come un uomo freddo, calcolatore e rivolto solo ai suoi interessi. Solo molti anni dopo si conobbero i retroscena, che portarono a tale lavoro teatrale. Li ha rivelati un altissimo dirigente del Servizio Segreto rumeno, il Generale Ion Mihai Pacepa, consigliere personale del dittatore rumeno Ceausescu, che nel 1978 chiese asilo agli USA: si trattò del più alto dirigente di un Servizio di Oltre Cortina che avesse mai defezionato in Occidente. Riguardo a Pio XII fece pubblicare un suo resoconto sul National Review di New York del 25 gennaio 2007, dove rendeva noto che i Rumeni furono coinvolti nell’opera di diffamazione contro il Papa, perché ad essi il KGB chiese aiuto per avere un accesso agli Archivi Vaticani; fu Pacepa stesso ad ideare e presentare alla Santa Sede un falso progetto finalizzato a riallacciare i rapporti con la Romania, che prevedeva come condizione secondaria l’accesso agli Archivi a tre “sacerdoti rumeni”, condizione secondaria che fu accolta.
Così tre agenti rumeni tra il 1960 ed il 1962 riuscirono a consultare centinaia di documenti che avevano a che fare con Pio XII e li fotografarono: le pellicole furono trasmesse a Mosca. Di compromettente, secondo il generale Pacepa, non c’era nulla. Nonostante il nulla, il capo del Servizio Disinformazioni del KGB ringraziò i Rumeni per il materiale prodotto, che sarebbe servito a ideare le menzogne riportate nell’opera teatrale Il Vicario.
Successivamente Andropov, già a capo del KGB, spiegò a Pacepa il successo del lavoro teatrale dicendo che la gente crede più al sudiciume che non alla santità (Nota 5). Tali falsità sul Papa i dirigenti sovietici se le potevano risparmiare visto che durante la Seconda Guerra mondiale la sorte degli Ebrei non stette a cuore a Stalin che, avendo sicuramente informatori nella stessa Germania nazista e nei territori orientali da questa occupati, conosceva sia le attività sterminatrici di Hitler nei loro confronti sia quanto cercava di fare la Santa Sede in loro favore. Insomma, i Sovietici, silenziosi durante la persecuzione, accusarono di silenzio una delle voci più forti elevatasi contro Hitler! Averlo attaccato con menzogne dopo la sua morte, avvenuta nel 1958, ed a 20 anni di distanza dall’Olocausto, fu affare da avvoltoi (Nota 6) .
Successivamente all’uscita de Il Vicario, la campagna di diffamazione di Pio XII fu alimentata da dichiarazioni, articoli e libri, arrivando fino ai nostri giorni e facendo desistere la Santa Sede dal portare avanti il processo di beatificazione avviato per quel Pontefice. Tale campagna è tuttavia strumentale, in quanto il vero obbiettivo è la Chiesa cattolica e la sua morale, come spiega chiaramente nel suo libro, La leggenda del Papa di Hitler (Edizioni Piemme, 2007), David G. Dalin, rabbino americano e docente di storia e scienze politiche: “Pochissimi fra i libri recenti su Pio XII e l’Olocausto riguardano veramente Pio XII e l’Olocausto. Gli attacchi in formato bestseller al Papa e alla Chiesa cattolica sono in realtà una contesa interna al cattolicesimo sulla direzione della Chiesa di oggi. L’olocausto è semplicemente la più grande clava di cui dispongono i catto-liberal contro i cattolici tradizionalisti, nel loro tentativo di colpire il Papa e quindi distruggere i tradizionali insegnamenti cattolici: specialmente sulle questioni relative alla sessualità, inclusi l’aborto, la contraccezione, il celibato e il ruolo delle donne nella Chiesa”.
Conoscere qualcosa della vita di Pio XII aiuta a far emergere verità taciute su di lui. Il Vescovo Eugenio Pacelli fu Nunzio apostolico in Germania dal 1917 al 1929: avendo constatato l’ascendente di Hitler sui Tedeschi, riferiva già il 14 novembre 1923 che egli aizzava la gente contro la Chiesa, il Papa, i Cattolici e gli Ebrei. E’ quindi semplicemente ridicola l’accusa rivoltagli di essere stato simpatizzante dei nazisti: ci sono ancora altri documenti dell’epoca da cui risulta chiaro come fin dall’inizio mise in guardia, oltre la Santa Sede, anche autorità di altri Stati nei riguardi di Hitler del quale aveva letto, prima ancora che questi andasse al potere, le farneticazione del Mein Kampf, il libro scritto dal futuro dittatore della Germania mentre era in carcere in Baviera dopo un fallito colpo di Stato (Nota 7).
Malgrado il suo atteggiamento anticristiano e soprattutto anti cattolico, Hitler, dopo che 1929 Mussolini aveva stipulato con la Santa Sede i Patti Lateranensi, chiese un Concordato con la stessa Santa Sede. Pio XI, anche su suggerimento del Cardinale Pacelli, divenuto Segretario di Stato, lo firmò nel 1933; sebbene non si fidasse dei dirigenti nazisti. La scelta fu fondata nella speranza che potessero sopravvivere in Germania almeno le associazioni cattoliche con fini puramente religiosi e caritativi. Inoltre il Concordato avrebbe costituito l’unico fondamento giuridico per trattare con il regime nazista per la “doverosa sollecitudine di tutelare la libertà della missione salvifica della Chiesa in Germania” e non abbandonare a se stessi i cattolici tedeschi. I nazisti tuttavia non tennero conto delle clausole firmate e subito iniziarono una persecuzione aperta contro la Chiesa cattolica tedesca e i suoi membri. Vista l’inutilità di una serie di proteste diplomatiche, il 21 marzo 1937, Domenica delle Palme, fu letta in tutte le chiese della Germania l’enciclica di Papa Pio XI, Mit Brennender Sorge – Con viva ansia, alla cui stesura aveva partecipato in maniera fondamentale il Cardinale Pacelli. Non ha significato che qualcuno abbia voluto attribuire questa enciclica al solo Pio XI, con il Cardinale Pacelli visto quasi in contrapposizione con il Pontefice. Come detto sopra il Cardinal Pacelli, che conosceva alla perfezione il tedesco, ne fu uno degli autori, tanto che nella minuta finale si notano correzione a penna apportate proprio del Cardinale Pacelli.
Il testo dell’enciclica era stato portato in segreto in Germania e in segreto stampato e distribuito da alcune tipografie cattoliche: era una accusa durissima al regime nazista per le continue e gravi violazione del Concordato. Sembra opportuno riportarne ampi passi, perché una volta per tutte si sappia quale è stata la posizione “ufficiale” della Chiesa nei riguardi del Nazismo andato al potere.
“L’esperienza degli anni trascorsi mette in luce le responsabilità, e svela macchinazioni, che già dal principio non si proposero altro scopo se non una lotta fino all’annientamento [della Chiesa]. Nei solchi, in cui Ci eravamo sforzati di gettare la semenza della vera pace, altri sparsero … la zizzania della sfiducia, della discordia, dell’odio, della diffamazione, di un’avversione profonda, occulta e palese, contro Cristo e la sua Chiesa” … Non si può considerare come credente in Dio colui che usa il nome di Dio retoricamente, ma solo colui che unisce a questa venerata parola una vera e degna nozione di Dio. Chi, con indeterminatezza panteistica, identifica Dio con l’universo, materializzando Dio nel mondo e deificando il mondo in Dio, non appartiene ai veri credenti. Né è tale chi, seguendo una sedicente concezione precristiana dell’antico germanesimo, pone in luogo del Dio personale il fato tetro e impersonale, rinnegando la sapienza divina e la sua provvidenza …
Solamente spiriti superficiali possono cadere nell’errore di parlare di un Dio nazionale, di una religione nazionale, e intraprendere il folle tentativo di imprigionarlo nei limiti di un solo popolo, nella ristrettezza etnica di una sola razza …
La rivelazione culminata nell’Evangelo di Gesù Cristo è definitiva e obbligatoria per sempre, non ammette appendici di origine umana e, ancora meno, succedanei o sostituzioni di «rivelazioni» arbitrarie, che alcuni banditori moderni vorrebbero far derivare dal così detto mito del sangue e della razza …
Colui quindi che con sacrilego misconoscimento delle diversità essenziali tra Dio e la creatura, tra l’Uomo-Dio e il semplice uomo, osasse di porre accanto a Cristo o, ancora peggio, sopra di Lui o contro di Lui, un semplice mortale, fosse anche il più grande di tutti i tempi, sappia che è un profeta di chimere, a cui si applica spaventosamente la parola della Scrittura: «Colui, che abita nel cielo, ride di loro»”.
Hitler andò su tutte le furie, fece espropriare le tipografie che avevano stampata l’enciclica ed arrestarne i proprietari. L’enciclica era stata coraggiosa, ma aveva reso peggiori le condizioni dei cattolici in Germania. Probabilmente è da questa esperienza, in cui si accorse dell’inutilità delle pubbliche proteste con i nazisti, che nel Cardinale Pacelli, futuro Pio XII, nacque la convinzione che con tale gente non serviva parlare, ma si doveva agire, magari in silenzio.
E infatti, dopo la “notte dei cristalli” del 9 novembre 1938, fu il Cardinale Pacelli, sempre nella sua veste di Segretario di Stato a fare appello a tutti i Vescovi del mondo per aiutare, gli Ebrei tedeschi, soprattutto quelli che si erano convertiti al cristianesimo: era necessario che si attivassero presso i propri Governi perché fosse loro concesso l’espatrio e l’asilo.
Nel 1939, pochi mesi dopo la sua elezione a Pontefice, Pio XII diffuse la sua prima enciclica Summi Pontificatus, mettendo in guardia dalle teorie che, rinnegando l’unità del genere umano (il razzismo) e divinizzando lo Stato (il totalitarismo), avrebbero portato inevitabilmente ad una vera “ora delle tenebre”: erano così riaffermate tutte le accuse al regime nazista. Essendo cominciata la Seconda Guerra mondiale, gli aerei francesi ne gettarono copie in quantità sulla Germania per informarne la popolazione. Il New York Times uscì con il titolo Il Papa condanna i dittatori, i violatori di trattati, il razzismo.
Dopo che nel 1942 i più alti gerarchi nazisti decisero la demoniaca “soluzione finale” della questione ebraica (Nota 8), Pio XII nel discorso per il Natale 1942 rinnovò un attacco ai responsabili della guerra e delle sue conseguenze, e quindi soprattutto ai nazisti in quel momento ancora vittoriosi su vari fronti:
“Ciò che in tempi di pace giaceva compresso, al rompere della guerra scoppiò in una trista serie di azioni, contrastanti con lo spirito umano e cristiano…
Vogliono forse i popoli assistere inerti a così disastroso progresso? o non debbono piuttosto, … riunirsi i cuori di tutti i magnanimi e gli onesti nel voto solenne di non darsi riposo …
Questo voto l’umanità lo deve alle centinaia di migliaia di persone, le quali, senza veruna colpa propria, talora solo per ragione di nazionalità o di stirpe, sono destinate alla morte o ad un progressivo deperimento”.
Parlando di “stirpe” Pio XII si riferiva proprio agli Ebrei perseguitati e deportati nelle terre europee occupate dai nazisti. Questi avevano ben compreso l’atteggiamento di Pio XII nei loro riguardi, tanto che già nel 1942 Goebbels aveva ordinato la distribuzione di milioni di volantini nei quali il Papa era definito “un Pontefice che favoriva gli Ebrei”. Anzi nel 1943 la Gestapo denunciò che la Chiesa Cattolica sosteneva apertamente gli ebrei tedeschi aiutandoli con ogni mezzo nella fuga ed alleviando loro la vita.
E in effetti, la Santa Sede e le Chiese Cattoliche particolari si erano attivate per aiutare gli Ebrei oggetto di spietate deportazioni: frequentemente tuttavia i loro sforzi, per quanto eroici (molti cattolici, tra cui molti preti pagarono con la vita il loro aiuto), non raggiungevano lo scopo prefissato.
Un esempio del vano tentativo di opporsi alla furia dei nazisti si manifestò quando le SS organizzarono la deportazione degli ebrei olandesi e l’Arcivescovo cattolico di Utrecht, scrisse una lettera pastorale contro tale deportazione; a questa denuncia le SS risposero arrestando anche gli ebrei convertiti al cattolicesimo, tra i quali Edith Stein e la sorella. Pio XII, che stava preparando un documento di condanna dei nazisti, sentendosi responsabile in coscienza come l’arcivescovo di Utrecht della morte di migliaia di innocenti, scosso dalla notizia gettò il documento tra le fiamme del camino, secondo le testimonianze di suor Pascalina Lehnert e suor Konrada Grab Mair, e ancor di più decise di “agire in silenzio” (Nota 9).
Il Papa spiegò la necessità di dover agire più che di protestare vanamente nel suo discorso ai Cardinali del 2 giugno 1944:
“D’altra parte non vi meraviglierete, Venerabili Fratelli e diletti Figli, se l’animo Nostro risponde con sollecitudine particolarmente premurosa e commossa alle preghiere di coloro, che a Noi si rivolgono con occhio di implorazione ansiosa, travagliati come sono, per ragione della loro nazionalità o della loro stirpe, da maggiori sciagure e da più acuti e gravi dolori, e destinati talora, anche senza propria colpa, a costrizioni sterminatrici …”
Né vi aspetterete che esponiamo qui partitamente tutto quello che abbiamo tentato e procurato di compiere per mitigare le loro sofferenze, migliorare le loro condizioni morali e giuridiche, tutelare i loro imprescrittibili diritti religiosi, sovvenire alle loro strettezze e necessità. Ogni parola, da Noi rivolta a questo scopo alle competenti Autorità, e ogni Nostro pubblico accenno, dovevano essere da Noi seriamente ponderati e misurati nell’interesse dei sofferenti stessi, per non rendere, pur senza volerlo, più grave e insopportabile la loro situazione. Purtroppo i miglioramenti, visibilmente ottenuti, non corrispondono alla grandezza della sollecitudine materna della Chiesa in favore di questi gruppi particolari … così anche il suo Vicario, pur chiedendo solo compassione e ritorno sincero alle elementari norme del diritto e dell’umanità, si è trovato, talora, davanti a porte, che nessuna chiave valeva ad aprire.”
A riprova dell’inutilità di eventuali interventi pubblici del Papa in difesa degli Ebrei, durante il processo di Norimberga, il console tedesco a Roma Albrecht von Kessel affermò che tali interventi del Papa avrebbero irrigidito Hitler ancora di più portando all’assassinio di molti altri innocenti. Nella medesima sede il ministro degli Esteri di Hitler, Joachim von Ribbentrop, dichiarò che delle inutili proteste di Pio XII si sarebbero potuti riempire interi archivi.
La Santa Sede era impotente ad operare nei territori sottoposti direttamente al dominio tedesco, ma c’erano dei Paesi europei, satelliti o alleati della Germania, nei quali c’erano spazi per operare tramite i Nunzi apostolici o le locali Chiese: si trattava, in particolare, della Francia di Vichy, della Croazia, della Slovacchia, dell’Ungheria e della Romania. Di seguito, in maniera sintetica, quanto operato dalla Santa Sede in quei Paesi (Nota 10).
La parte della Francia, rimasta formalmente libera dopo la vittoria tedesca, presieduta dal Maresciallo Pétain, inizialmente non conobbe deportazioni di ebrei: queste iniziarono verso la metà del 1942, quando furono presi di mira soprattutto quelli che vi si erano rifugiati da altri Paesi. Fu pronta la protesta dell’Arcivescovo di Tolosa, Saliège, che fece leggere un suo scritto in centinaia di chiese. Lo scritto fu poi trasmesso dalla emittente inglese BBC. Fu pronto anche l’appoggio della Santa Sede, che ordinò la pubblicazione dello scritto sull’Osservatore Romano e ne fece fare un commento dalla Radio Vaticana.
In questo frangente fu importante l’aiuto prestato agli ebrei sia francesi che altre nazionalità dalle istituzioni cattoliche che riuscirono così a farne scampare molti dalle deportazioni. In particolare riuscirono a nascondere numerosi bambini, che alla fine della guerra furono tutti riconsegnati ai loro genitori o, in loro assenza, ad organizzazioni ebraiche. Notevole fu l’opera del Nunzio Apostolico, mons. Valerio Valeri, che sempre in contatto con la Santa Sede, favorì un’azione di coordinamento tra gli Arcivescovi e fece pressioni sui responsabili politici di Vichy per cercare di arrestare le misure antiebraiche.
La Slovacchia, Paese nato dalla disgregazione della Cecoslovacchia dopo l’annessione alla Germania della Boemia e della Moravia, emanò una legislazione antiebraica alla fine del 1941. Poiché Capo dello Stato era Josef Tiso, un sacerdote che si era messo a capo del locale movimento nazionalista, immediatamente la Santa Sede, tramite il Nunzio Giuseppe Burzio, diresse una nota in cui si affermava che tale legislazione era “in contrasto con i principi cattolici”. Purtroppo la nota non ebbe successo perché qualche mese dopo il locale governo decise di deportare 80.000 ebrei in Polonia, ponendoli così nelle mani dei nazisti e quindi destinandoli ad una morte sicura. Alcune organizzazioni ebraiche internazionali, che seguivano anch’essa la vicenda, si raccomandarono alla Santa Sede (evidentemente sapevano di trovarvi attenzione) perché in qualche modo ostacolasse il progetto del governo slovacco. Tutti i successivi sforzi furono vani: dato che il 15 maggio 1942 il parlamento aggravò la legislazione antiebraica. Anzi una nota del Ministero degli esteri slovacco, in risposta alla suddetta nota della Santa Sede, affermava che la “questione ebraica” era della massima importanza e che faceva parte di un più ampio piano concordato con le autorità tedesche per deportare nell’Europa orientale centinaia di migliaia di ebrei dalla Francia, Olanda, Belgio, dal Protettorato polacco e dalla stessa Germania. E in effetti la deportazione degli 80.000 ebrei slovacchi avvenne nell’autunno del 1942. Quando nell’inverno del 1943 si paventò una ulteriore deportazione, nuove pressioni furono fatte dalla Santa Sede e dai vescovi locali per evitarle, ma il Ministro degli Esteri Tuka fece sapere al Nunzio che non comprendeva cosa avesse a che “vedere il Vaticano con gli ebrei della Slovacchia”.
Avendo ribattuto il Nunzio che era indegno per uno stato civile partecipare alla terribile sorte a cui erano destinati gli ebrei deportati in Polonia, Tuka affermò che era una diceria che originava da propaganda ebraica e che si stupiva che il Vaticano desse credito a tali storie. Queste pressioni riuscirono tuttavia a fare breccia su altri ministri della Slovacchia impedendo altre deportazioni fino alla fine del 1943. La situazione in Slovacchia precipitò nell’agosto del 1944, quando all’avvicinarsi dell’Armata Rossa, l’esercito tedesco assunse il controllo del Paese e ripresero le deportazioni degli ebrei.
In una situazione analoga si ritrovarono i circa 40.000 ebrei della Croazia, Stato nato dalla decomposizione della Iugoslavia e completamente succube dei tedeschi. La Delasem (Nota 11) nell’agosto del 1941 si rivolse al Cardinale Maglione Segretari di Stato della Santa Sede perché favorisse i contatti con gli ebrei della Croazia e addirittura perché si adoperasse per farli trasferire in Italia. Il 21 aprile del 1942, rispondendo ad un appello di ambienti ebraici americani, il Cardinale Maglione affermava: “Il rev.mo Abate Marcone, inviato della Santa Sede in Croazia ha, infatti, più volte richiamato l’attenzione di varie personalità di Zagabria sulle condizioni fatte ai non ariani. Il suo segretario e quello dell’ecc.mo Arcivescovo di Zagabria hanno potuto visitare diversi campi di concentramento e portarvi una parola di conforto e di aiuto. Per quelli poi, che si erano rifugiati nei territori occupati dalle truppe italiane, la Segreteria di Stato ha ottenuto che non venissero respinti nei Paesi di origine” (Nota 12). Alla fine, però, nulla si ottenne però dai dirigenti della Croazia che si mostrarono risoluti a deportare gli ebrei in Germania (e questo per non parlare delle sevizie a cui erano sottoposti nei locali campi di detenzione). Si ottenne però un piccolo successo facendo arrivare anche da qui in Turchia un gruppo di bambini ebrei (Nota 13) .
La Romania, malgrado fosse un Paese di religione a grande maggioranza cattolica, aveva un Concordato con la Santa Sede: vi era prevista la presenza di un Nunzio, che negli anni della guerra era Andrea Cassulo. Questi, già agli inizi del 1941, avvertiva Roma della promulgazione di una prima legislazione antiebraica: i suoi appelli ai governanti perché la situazione degli Ebrei non degenerasse non ebbero successo, salvo qualche concessione per quelli che si erano convertiti al cattolicesimo. Anzi, nel dicembre del 1941, il governo aggravò la legislazione contro gli Ebrei, adducendo come motivazione la loro vicinanza al comunismo. Nel frattempo il Nunzio aveva avviato una collaborazione con esponenti ebrei locali come il rabbino capo di Bucarest Alexandre Safran e il dottor Fildermann allo scopo di fare pressioni sulle autorità perché non avvenisse il trasferimento di migliaia di ebrei in Transnistria, una regione tolta dalla Romania all’Unione Sovietica all’inizio della guerra, dove sarebbero potuti continuare maltrattamenti e uccisioni in maniera più segreta. Anche in questo caso si ottenne ben poco malgrado le continue sollecitazioni. Un piccolo successo si ebbe quando in collaborazione con il War Refugee Board (Nota 14), si riuscì a far arrivare in Turchia numerosi ebrei tramite navi appositamente affittate.
In Ungheria, all’inizio della guerra, risiedevano circa 800.000 ebrei con cittadinanza ungherese più qualche decina di migliaia con cittadinanza polacca, che vi si erano rifugiati per sfuggire alle angherie dei nazisti. Finché l’Ungheria, almeno formalmente, rimase indipendente dalla Germania la Santa Sede potette operare in loro favore con pressioni sul governo o anche, direttamente, sull’Amm. Horty, capo dello Stato (Nota 15). E in effetti la situazione degli Ebrei in Ungheria si mantenne in equilibrio finché l’esercito tedesco nel 1944 non occupò il Paese e arrestò lo stesso Horty. Fu da quel momento che iniziarono le deportazioni verso Auschwitz; il locale Nunzio, Rotta, tentò ancora di fare qualche pressione sui nuovi governanti per impedirle, ma dovette telegrafare alla Segreteria di Stato che le sue proteste erano inutili e che centinaia di migliaia di ebrei erano deportati in condizioni inumane verso “campi di annientamento”.
In definitiva anche se gli sforzi della Santa Sede furono quasi sempre di scarsa efficacia, diverse organizzazioni ebraiche all’epoca apprezzarono e ringraziarono per quanto fatto dalla Santa Sede in aiuto degli Ebrei (Nota 16).
Fu però nell’Italia occupata dalle truppe tedesche dopo l’8 settembre del 1943 che Pio XII poté operare nella maniera più efficace. Dopo che il 16 ottobre successivo, a Roma, oltre mille ebrei furono arrestati per essere condotti al campo di sterminio e un suo intervento presso l’ambasciatore tedesco non riuscì a fermare la deportazione, dette disposizioni perché alle altre migliaia di ebrei romani fosse dato rifugio in oltre 155 istituti religiosi (Nota 17).
A seguito dei suoi interventi protettivi, Hitler convocò il comandante delle SS in Italia, Karl Wolff, ordinandogli di occupare il Vaticano, fare prigioniero il Papa e condurlo in Germania. Wolff tuttavia con una tecnica dilatoria fece pian piano abbandonare l’idea al dittatore tedesco (Nota 18).
Spesso viene dibattuta la questione se gli Alleati angloamericani sapessero della strage programmata degli Ebrei e su cosa avrebbero potuto fare per contrastarla (Nota 19): qualcosa seppero molto presto. Infatti qualche mese dopo la riunione dei nazisti, presieduta da Reinhard Heydrich, dove fu presa la decisione della “soluzione finale”, Gerhart Riegner, membro del Congresso Mondiale Ebraico, venne a conoscenza da un industriale, che aveva accesso agli alti comandi tedeschi, che il piano dei nazisti prevedeva la deportazione di quasi quattro milioni di esseri umani; lo stesso industriale in agosto aggiornò l’informazione affermando che la soluzione finale con il gas era già stata avviata.
Il 10 agosto Riegner comunicò la medesima informazione ai Consolati americano e inglese di Ginevra, che la inviarono ai rispettivi Ministeri; questi tuttavia all’inizio non la reputarono verosimile; Riegner raccolse altre prove e soltanto nel dicembre 1942 il Dipartimento di Stato americano se ne convinse. Fu quindi decisa una dichiarazione congiunta degli Alleati e dei vari governi, in esilio a Londra, dei Paesi occupati dai Tedeschi, da emanare a nome delle Nazioni Unite: essa, dal titolo “German policy of Extinction of the Jewish race”, pubblicata il 17 dicembre 1942 e diffusa ovunque, affermava che era ormai nota la strage programmata e che i responsabili sarebbero stati puniti a guerra finita. I Nazisti non ne tennero conto e intanto centinaia di migliaia di persone erano già state assassinate con il gas. Riegner, appoggiato da importanti esponenti israeliti, suggerì agli Alleati di distruggere le ferrovie che portavano tali persone innocenti ad Auschwitz, ma questi avevano risposto che sarebbe stato per loro difficile e pericoloso: terminato il conflitto si appurò invece che erano stati bombardati impianti distanti solo cinque chilometri dalla quella famigerata ferrovia (Nota 20).
A guerra conclusa, nel febbraio 1946, Haim Fineman, leader dell’American Labour Zionist Movement così scrisse: “Ciò che rende spaventosa la situazione è la consapevolezza che questa tragedia avrebbe potuto essere evitata. Molti di questi morti avrebbero potuto essere vivi se il nostro Dipartimento di Stato, il Foreign Office, la Croce Rossa Internazionale, il War Refugee Board e altre organizzazioni, non si fossero rifiutati di intraprendere un’azione, ritardandola poi al momento di intraprenderla”.
Ciò senza parlare dell’indifferenza di vari Paesi, che quando era ancora possibile concessero con molta difficoltà visti d’ingresso agli ebrei che cercavano di lasciare la Germania o gli altri Paesi europei dove si trovavano in pericolo; questo a differenza della Santa Sede che, con le sue poche forze, si era invece data da fare anche in questo campo. Indifferenza che si era palesata già quando si Hitler varò le prime misure antiebraiche, come scritto da Pinchas E. Lapide : “Mentre un milione di Ebrei veniva bandito dalla vita pubblica, perseguitato, spogliato, umiliato e le sinagoghe venivano date al fuoco, non vi fu un solo passo diplomatico, non una sola protesta ufficiale, da parte di alcuno Stato europeo né della Società delle Nazioni” (Nota 21).
Si erge dunque ancora più gigantesca la personalità di Papa Pio XII che ha fatto ciò che i potenti, potendo, non vollero fare.
Paolo Vannoni
Salvatore Scuro
Nota 1 – Il libro in questione fu pubblicato in edizione francese nel 1997 e poi tradotto e pubblicato in Italia dalle edizioni San Paolo: nonostante la sua importanza nell’ambito della polemica contro Pio XII non sembra sia stato ristampato.
Nota 2 – Pinchas Lapide negli anni ‘60 fu console israeliano a Milano; nato in Austria e costretto ad emigrare a seguito delle persecuzioni naziste, riuscì dopo varie vicissitudini ad arrivare in Palestina. Si arruolò nella brigata ebraica, inserita nell’esercito inglese, e con questa partecipò allo sbarco in Italia. Poliglotta, scrisse numerosi libri di esegesi biblica. La sua difesa di Pio XII dalle accuse di indifferenza nei riguardi degli ebrei perseguitati si trova nel suo libro Three Popes and the Jews, Hawthorn Books Inc, New York 1967, tradotto in italiano con il titolo Roma e gli Ebrei – L’azione del Vaticano a favore delle vittime del Nazismo, Arnoldo Mondadori Editore 1967.
Nota 3 – Vds. Dizionario elementare di apologetica, Milano I.D.A. 2015, pag. 397 e segg.
Nota 4 – Pinchas E. Lapide, op. cit. pag 304.
Nota 5 – Michael Hesemann, Contro la Chiesa, Cinisello Balsamo, San Paolo, 2009, p. 311 ss.
Nota 6 – Pacepa in epoca più recente (2013), con l’aiuto di Ronald J. Rychlak ha pubblicato un libro con l’editrice Wind Books dal titolo, Disinformation: in esso vengono descritte numerose operazioni condotte dai Sovietici per destabilizzare l’Occidente e viene ripresa con molti particolari quella che portò alla diffamazione di Pio XII.
Nota 7 – Sul reale atteggiamento di Pio XII nei riguardi del Nazismo è importante il libro di Luciano Garibaldi O la Croce o la Svastica – la vera storia dei rapporti tra la Chiesa e il Nazismo, Lindau 2017.
Nota 8 – Michael Hensemann, op. cit., p. 298.
Nota 9 – Vds. Andrea Tornielli, op. cit., p.172-173.
Nota 10 – I dettagli di quanto fatto dalla Santa Sede, dai locali Nunzi apostolici e dalle Chiese in quei Paesi si trovano nei libri di Michael Hesemann, Pio XII, il Papa che si oppose ad Hitler pag. 246 e segg. e nel libro di Pierre Blet, citato nell’articolo, ai capitoli VIII e IX.
Nota 11 – Acronimo di “Delegazione per l’assistenza degli Ebrei” organizzazione ebraica che operò in Italia dal 1939 al 1947 per aiutare i correligionari con aiuti di vario genere, soprattutto economici.
Nota 12 – Pierre Blet, op. cit pagg. 236 e 237.
Nota 13 – In Turchia si trovava come Nunzio Roncalli, futuro Papa Giovanni XXIII, che molto si spese per aiutare gli ebrei.
Nota 14 – Il War Refugee Board era una agenzia creata il 22 gennaio del 1944 negli Stati Uniti per cercare di aiutare le vittime del nazismo, soprattutto gli Ebrei, nei territori europei occupati dalla Germania.
Nota 15 – Si propongono passi di un appello diretto di Pio XII all’Amm. Horty in difesa delle persone in pericolo (il testo del telegramma, originariamente in lingua francese, è tratto dal citato libro di Pierre Blet, pag. 257, mentre una foto dello stesso telegramma si trova nelle pagine interne del citato libro di Michael Hesemann, Pio XII, il Papa che si oppose a Hitler): “Da più parti Ci vengono rivolte suppliche di mettere in opera ogni possibile mezzo affinché, in questa nobile e cavalleresca Nazione, non si estendano e non si aggravino le sofferenze, già così aspre, sopportate da tanti infelici a causa della loro nazionalità o della loro stirpe … Noi Ci rivolgiamo a Vostra Altezza, facendo appello ai suoi nobili sentimenti, nella piena fiducia che Ella vorrà fare certamente quanto è in suo potere perché siano risparmiati a tanti infelici altri lutti e altri dolori”.
Nota 16 – In particolare, nel citato libro di Pierre Blet alla pag. 264, si accenna ai ringraziamenti avanzati a Pontefice in data 19 luglio 1943 da parte del gran rabbino di Gerusalemme Herzog.
Nota 17 – Riguardo all’aiuto dato agli ebrei italiani da istituzioni religiose su impulso di Pio XII sono notevoli le interviste di tanti sopravvissuti rilasciate alla suora americana Margherita Marchione, che le ha riportate nel libro Pio XII e gli Ebrei, Piemme 2002
Nota 18 – I particolari della mancata operazione sono riportati da Michel Hesemann nel libro Pio XII, il Papa che si oppose a Hitler, Paoline, 2009, pag. 260 e segg. Vds. anche Andrea Tornielli, op. cit., cap. XI.
Nota 19 – Andrea Tornielli, op. cit., pag. 269-284.
Nota 20 – Riegner, morto nel dicembre del 2001, era nato in Germania da una famiglia ebrea; vittima già da studente universitario delle violenze naziste, espatriò e all’inizio della guerra divenne, anche se molto giovane, il responsabile dell’ufficio ginevrino del World Jewish Congress: ha scritto in francese un libro, quasi un memoriale, tradotto in inglese con il titolo Never despair – Sixty years in the serviceof the Jewish people and the cause of human rights, Ivan R. Dee, Chicago 2006. Nel libro si trovano il testo dei telegrammi inviati agli Americani e agli Inglesi e la dichiarazione delle Nazioni Unite.
Fonte immagine : famigliacristiana.it