DOMENICA FRA L’OTTAVA DELL’EPIFANIA
La solennità della sacra Famiglia di Nazaret, Gesù, Maria e Giuseppe.

La prima e più antica Chiesa, osserva Tertulliano, è in cielo, dove nella Divina Triade ritroviamo le due note essenziali della Chiesa nostra, cioè, l’unità nella pluralità: l’unità d’essenza e la trinità di persona.
Disceso tra noi il Verbo di Dio per la salvezza dell’uman genere, non volle adottare un genere di vita solitaria che lo mettesse fuori dal consorzio degli uomini, ma, riproducendo in terra quello che già la Trinità era da tutti i secoli nei cieli, per mezzo del matrimonio verginale di Maria e di Giuseppe si formò una società o chiesa domestica, in seno alla quale egli si degnò di nascere e di trascorrere la maggior parte della sua vita mortale. La solidarietà dei discendenti di Adamo col peccato del loro primo Padre, era stata appunto la cagione della rovina del mondo; conveniva pertanto che anche la redenzione avvenisse in virtù della solidarietà dei credenti col Redentore, e che i fedeli ne esperimentassero i frutti in grazia di una società nuova e soprannaturale, quale è appunto la Chiesa.
Per questo motivo, quando Paolo discorre del patto coniugale tra i fedeli, lo chiama un gran mistero o sacramento, che egli però subito spiega, dicendo di riferirsi a quel primo connubio tra il Cristo e la Chiesa che è il prototipo e il modello dell’unione maritale dell’uomo e della donna nella grazia del Nuovo Testamento. Sacramentum hoc magnum est; ego autem dico in Chrìsto et in Ecclesiae.
Cristo e la Chiesa, ecco il mistero o sacramento, che s’impernia e s’addensa appunto, siccome a primo punto di partenza, intorno alla società domestica di Gesù, Maria e Giuseppe, di cui la Chiesa nostra non è che la continuazione.
La liturgia romana sin da antico ha consacrato le prime settimane dopo il Natale alla meditazione dei misteri della vita domestica di Gesù. Oggi appunto nella messa domenicale ricorre la pericope evangelica col racconto del ritrovamento di Gesù fra i dottori del tempio. Il genio però speciale della devozione moderna, che alle grandi sintesi degli antichi preferisce lo studio particolareggiato di tutti i dettagli del grande quadro della Redenzione, non poteva mancare di creare una distinta solennità in onore della santa Famiglia di Nazaret. La festa riusciva tanto più opportuna, perchè da un mezzo secolo in qua, a scalzare e sopprimere il cattolicismo dalle fondamenta, tutto il lavorio delle sette e dei governi liberali s’era concentrato nello scristianizzare la famiglia. A paralizzare un tanto male, Leone XIII dopo la splendida enciclica sul matrimonio cristiano, volle offrire alle famiglie cattoliche anche un modello a cui conformarsi ed una celeste protezione alla quale affidarsi, e istituì quindi la festa della sacra Famiglia di Nazaret, con un solenne apparato liturgico di inni e di lezioni che egli fissò per la III domenica dopo l’Epifania.
Sopraggiunse la riforma Piana, che in parte abrogò, in parte trasferì a data fissa tutte le solennità mobili annesse a qualche domenica. La festa della sacra Famiglia fu travolta dalla marea, né tornò a galla che un decennio più tardi, quando cioè per ordine di Benedetto XV venne assegnata alla domenica fra l’ottava dell’ Epifania. Questa volta fu sacrificato il principio informatore della riforma di Pio X; ma c’era un antico precedente che fu fatto valere: la domenica dopo la solennità della santa Epifania, nel Messale ha precisamente l’identica lezione evangelica che la recente Messa della santa Famiglia.
Anche nel Calendario dei Copti, il 6 del mese di Hator (Novembre) comparisce una festa della «fuga della Sacra Famiglia da Mehsa Kosltuam nell’Egitto superiore», a cui corrisponde il 24 di Pasons (Maggio) una solennità dell’arrivo e della permanenza della Sacra Famiglia in Egitto.
La solennità ha un carattere spiccatamente storico, e si differenzia perciò dal concetto della nostra festa latina; essa sembra derivata dai greci, i quali la celebrano il 26 dicembre sotto il titolo di Σύναξις τῆς Θεοτόκου φευγούσης εὶς Αἴγυπτον. Nei Menei va distinta con questo stico:

Ἤκοντα πρός σε, τὸν πάλαι πλήξαντά σε
Αἴγυπτε, φπίττε, καὶ θεὸν τοῦτοϜ φρύνει
Ad te venientem qui te plexit antea,
Aegypte, metuas atque credas hunc Deum.


L’antifona d’introito deriva dal Libro dei Proverbi (XXIII, 24-25). «Il Padre del giusto ha l’anima inondata di gaudio; si rallegrino tuo Padre e tua Madre, ed esulti Colei che t’ha generato». Questo gaudio ed esultazione derivano dalla sublime gloria e dignità alla quale furono elevati Maria e Giuseppe, dignità che, in grazia dell’unione ipostatica del Verbo colla natura umana di Gesù, colloca i suoi santissimi Genitori in una categoria affatto speciale sopra tutti i Santi. La liturgia, in un inno che ci fa ripetere il giorno di San Giuseppe, canta che egli in certa guisa anticipò in terra il godimento del premio dei beati; perchè, mentre a questi è ripromessa solo in cielo la visione ed il possesso di Dio, a Maria e Giuseppe invece fu concesso qui in terra, non solo di vedere e di possedere Gesù, ma di esercitare sopra di lui perfino l’autorità paterna e la patria potestas.
La colletta non è redatta secondo le regole tradizionali del Cursus. Il compositore ha voluto esprimere in essa la natura, l’ambito ed il frutto del mistero che avvolge la vita domestica di Gesù adolescente, e so non elegantemente, almeno però v’è riuscito. «Signore Gesù, tu che ubbidendo a Maria ed a Giuseppe, hai consacrato colla tue ineffabili virtù la vita domestica; deh ! per intercessione dei tuoi Genitori, ci concedi d’imitare gli esempi della tua santa Famiglia, onde poi raggiungere la vostra compagnia nel paradiso».
La lezione, derivata dall’Epistola di san Paolo ai Colossesi, (III, v. 12-17) è identica a quella che ricorre nel Messale nella V domenica dopo l’Epifania. L’Apostolo tratta dei mutui rapporti sociali. Dio è uno ed ama l’unità; onde noi pure siamo chiamati a costituire un identico corpo mistico, una sola famiglia, in grazia d’un medesimo spirito di Cristo. L’egoismo, è vero, attenta a questa unità; ma perciò san Paolo, tenendo conto delle inevitabili conseguenze della povera e defettibile natura umana, aggiunge subito quale condizione della vera pace domestica e sociale, la reciproca pazienza nel sopportarci a vicenda, appunto come Dio sopporta noi.
Il responsorio graduale è tolto in parte dal salmo 26. «Una cosa poi ho domandato al Signore, uno cosa ho richiesta da lui; quella di rimanere nella casa del Signore per tatti i giorni della mia vita».
Segue un secondo verso tratto dal salmo 83. -In questo allontanamento dalle classiche regole della salmodia responsoriale, ci si vede subito il redattore moderno al quale è bastato il volume delle concordanze scritturali, per stender giù la sua messa. – «Beati coloro che abitano nella tua casa, e continuamente ti lodano».
Le anime religiose, soprattutto quelle che per statuto canonico sono dedicate alla celebrazione quotidiana dei Divini Uffici, partecipano in modo particolare alla grazia ed ai gaudi che inondavano il cuore di Maria e Giuseppe a cagione della vita domestica che conducevano con Gesù. La Santa Famiglia di Nazaret è, per cosi dire, la casa madre di tutte le altre famiglie religiose; la tenda ove lo stesso Verbo di Dio fatto carne e divenuto per nostro amore povero, ubbidiente, mortificato, si degnò di consacrare insieme coi suoi Genitori questi tre voti religiosi, inaugurando sotto il domestico tetto quella vita e. quello stato che doveva poi essere chiamato stato di perfezione.
Il verso alleluiatico, invece che dal Salterio, è tolto da Isaia (XIV, v, 15). Esso è stato accomodato alla vita umile e nascosta di Gesù sotto il tetto paterno, quando il grande Creatore del cielo e della terra, «il Figliuolo del Fabbro», ubbidiva a due sue creature, ed attendeva ad apprendere da un secondo Padre, fabbro anch’egli, il mestiere del legnaiuolo. Quale nascondimento più impenetrabile di questo all’umana ragione, ed accessibile solo alla nostra Fede! «Davvero che tu sei un Dio nascosto, o Dio e Salvatore d’Israel!».
Qualora questa festa venisse trasferita dopo la Settuagesima, invece del verso alleluiatico, si canta il seguente salmo-tratto. Salmo 39: «Di sacrifici e d’offerte tu non prendi diletto ; invece mi hai aperto le orecchie. Tu non domandi né olocausto, né sacrificio espiatorio; ed io ho detto: ecco che vengo. Nel volume della Legge sta scritto per me: Io mi compiaccio, o Dio, di fare la tua volontà».
Le offerte dell’antico Testamento avevano un valore essenzialmente profetico. Per questo, quando arrivò la pienezza dei tempi, discese in terra il Verbo di Dio fatto uomo, e col sacrificio della sua assoluta ubbidienza al Padre sino alla morte di Croce, abrogò il vecchio patto, inaugurando nel Sangue della redenzione il Testamento nuovo d’ubbidienza, non più servile, ma figlia dell’ amore.
Nelle messe votive che si celebrano durante il tempo pasquale, invece della classica antifonia alleluiatica, il redattore moderno ha derivato i suoi testi da altri libri scritturali. «Alleluia, alleluia. (Prov. cap. VIII, 34). Beato colui che mi ascolta ; quegli che in ciascuna notte si ferma alla soglia della mia casa e tutto attento si pone sulla mia porta. Alleluia». (Coloss. III, 3) «La vostra vita è nascosta col Cristo in Dio. Alleluia». Quest’elogio che san Paolo applica in genere agli abitanti cristiani di Colossi, a nessuno può essere meglio riferito, che alla Vergine Santissima ed a san Giuseppe, i quali nella povera casa di Nazaret, ignoti al mondo, trascorrevano la vita in tale unione con Gesù, che si può dire che essi respiravano, palpitavano col cuore, si nutrivano del Divin Figlio, che per loro era tutta la gloria, la ricchezza, l’oggetto dei desideri, la vita della loro vita.
La lezione evangelica derivata da san Luca, (III, 42-52) è quella stessa che il Messale assegna alla domenica che segue immediatamente l’Epifania. Gesù, a dodici anni diviene figlio della Legge, come allora dicevano i Sanedriti, e coi suoi genitori si reca per la prima volta al tempio per partecipare alla festa della Pasqua. A dimostrare tuttavia la trascendenza della sua origine, egli si sottrae momentaneamente a Maria ed a Giuseppe, i quali desolati lo ritrovano finalmente dopo il terzo giorno, mentre trattenevasi negli atrii del tempio, disputando coi dottori. L’atteggiamento del fanciullo Gesù, era quale convenivasi all’età sua: egli interrogava ed ascoltava, quasi a sondare l’intelligenza delle sue creature; ma intanto le sue domande e le sue osservazioni erano tali, che la sapienza divina abbagliava quei legulei, i quali se ne stavano trasecolati dinnanzi a un tale prodigio. Stupébant omnes. L’esilità e la meschinità delle sue forme corporee mal riuscivano a celare i fulgori della sua nascosta divinità, quando, ad integrare il mistero, la sua santissima Madre volle porre in piena luce anche la sua natura umana, coi doveri che ne derivavano. Figlio, gli dice, perchè mai ci hai fatto tu questo? Ecco che tuo padre ed io dolenti ti cercavamo. L’affermazione dei diritti paterni sul Fanciullo, non poteva essere né più dignitosa, né più esplicita. Sono Giuseppe e Maria, che il sacro testo qui denomina Padre e Madre di Gesù, i quali domandano conto al Creatore, e solo essi potevano e dovevano farlo, perchè egli abbia così agito. Gesù dunque è veramente uomo, soggetto ai suoi genitori ed a loro ubbidiente. Egli riconosce per Madre la Vergine Maria che l’ha concepito e generato, ed in grazia sua, riconosce altresì per Padre san Giuseppe; non perchè questi abbia avuto parte alcuna nel mistero della sua incarnazione, ma perchè, essendo il vero sposo di sua Madre, l’eterno divin Padre aveva voluto che egli nella santa Famiglia tenesse le sue veci, ed esercitasse in suo nome la patria potestas sul divin Fanciullo, il quale innanzi alle Leggi ed al mondo non doveva apparire siccome un senza padre e un reietto.
Affermato pertanto e posto in piena luce il dogma dell’umanità santissima di Gesù, questi innanzi ai suoi stessi Genitori, estasiati perchè testimoni e compartecipi del Mistero di questa, diciamo così, Epifania della sua natura umana, vuole ora riflettere altresì i raggi di un’altra seconda teofania, quella cioè della sua divinità e della sua divina origine. Lo fa da pari suo, con una semplice dichiarazione, nella quale però i suoi santissimi Genitori trovarono tale vertice di sapienza e di luce, che, come poi i tre Apostoli sul Tabor, colla mano dovettero, a dir cosi, proteggere la loro pupilla dai raggi incandescenti di quel vivo sole di giustizia. «Non sapevate voi che io debbo intrattenermi nelle cose del Padre mio?»
Dei Sanedriti dice il Vangelo che, maravigliati pendevano dal labbro di Gesù; di Maria e di Giuseppe afferma invece, che essi non riuscirono a penetrare il mistero di queste parole, perchè durante la vita presente, quando la luce della visione intellettuale è troppo forte, gli occhi a contatto con Dio si chiudono, e la mente non sa restringere in concetti umani ciò che vede.
Il verso offertoriale è tolto dal Vangelo di san Luca (II, 22), dove si narra che quaranta giorni dopo il santo Natale, Maria e Giuseppe presero il pargoletto Gesù e se ne andarono a Gerusalemme per offrirlo al Signore nel Tempio. Quell’oblazione, mediante la quale veniva designata ed accettata la futura Vittima del Calvario, era come l’offertorio d’una messa cruenta, che doveva poi toccare il suo momento culminante ventun’anni dopo, il venerdì della parasceve pasquale. Maria e Giuseppe fungono ora da ministri di questo primo rito, giacché essi simboleggiano tutta quanta la Chiesa, la quale doveva poi ereditare da Gesù la grazia della gerarchia sacerdotale.
Nella colletta che precede l’anafora, si presenta al Signore la sacra oblazione avvolta dai vapori dell’aroma delle preghiere di Maria e di Giuseppe, onde pei loro meriti Dio doni pace e grazia alle nostre famiglie. – La pace è Lui stesso, che nel proprio Sangue ci ha riconciliati col cielo, colla terra e con noi medesimi. Questa pace poi è puro dono suo, e perciò la chiamiamo grazia, perchè ci viene concessa unicamente dal suo amore.
Il verso antifonico per la Comunione del popolo, deriva dall’odierno Vangelo. Gesù discende da Gerusalemme e si porta in Nazaret coi suoi Genitori, e trascorre a loro sottomesso il primo trentennio di sua vita mortale. Ecco la storia di Gesù, narrata dall’Evangelista Luca con una sola parola: et erat subditus illis. Il Maestro, il grande Paolo, aveva scritto che Gesù era stato ubbidiente al Padre sino alla morte di Croce. Ora il Discepolo riprende il concetto dell’Apostolo e lo sviluppa, dichiarando che quest’ubbidienza si era estesa, non solo a Dio, ma anche agli uomini. In tal modo, Colui che è Re dei re e Signore dei signori, consegue oggi dallo Spirito Santo nell’odierno Vangelo il titolo di subditus. Quale grandezza e quale profondità!
Nella preghiera di ringraziamento dopo la Comunione, supplichiamo la divina clemenza che ci dia grazia d’imitare in vita gli esempi santi della sacra Famiglia di Nazaret; così che in morte Maria e Giuseppe ci muovano incontro, e ci accolgano in seno a quella più vasta famiglia che Dio nutre in cielo.
La vita della Chiesa Cattolica è la continuazione di quella della santa Famiglia di Nazaret; giacché Gesù non ha fondato in terra due società, ma una sola, di cui Egli fu il capo, e Maria e Giuseppe i primi membri. Dobbiamo quindi rimirare continuamente le nostre prime origini, la rupe, come dice il Profeta, donde siano stati divelti, ispirandoci agli esempì di povertà, d’umiltà e di nascondimento in Dio, che risplendono nella società domestica di Gesù, Maria e Giuseppe.
Agii encomi della liturgia latina, aggiungiamo oggi anche una perla orientale della liturgia bizantina in onore della santa Famiglia di Nazaret. Il compositore è il celebre san Giuseppe l’Innografo.

Φυλάττουσαν τὴν Παπθενίαν ἁκήρατον, τὴν ἁγνὴν ἑφύλαξας, ἐξ ἦς θεὸς λόγος ἑσαρκώθη, φύλαξας ΠαρθέϜον αὑτὴν μετὰ γέννησιϜ ἁπόῤῥον, μεθ’ἦς, θεοφόρε Ἰωσὴφ, ἠμὼν μνημόνευε

Tu, o deifero Giuseppe, fosti il custode dell’illibata Vergine, la quale serbò intatta la sua verginità. Da Lei prese carne il Divin Verbo, conservandola Vergine dopo l’ineffabile parto. Tu, o Giuseppe, insieme con Maria,
ricordati di noi.

(Cardinale Alfredo Ildefonso Schuster OSB, Liber Sacramentorum. Note storiche e liturgiche sul Messale Romano. Vol. VI. La Chiesa Trionfante (Le Feste dei Santi durante il ciclo Natalizio) (terza tiratura), Torino-Roma, 1930, pp. 133-140)

Immagine : Bartolomé Esteban Murillo, Le due Trinità (o Sacra Famiglia di casa Pedroso), 1680 circa, National Gallery, Londra / wikipedia.org