6 Gennaio
EPIFANIA DEL SIGNORE
Stazione a San Pietro
Epifania vuol dire apparizione, e presso gli orientali originariamente aveva il medesimo significato che il Natale a Roma. Era la festa del Verbo Eterno che si rivela all’umanità rivestito di carne. Si veneravano particolarmente tre diverse circostanze di questa rivelazione storica, l’adorazione dei Magi a Betlehem, la conversione dell’acqua in vino alle nozze di Cana, ed il battesimo di Gesù nel Giordano. Tra gli Orientali spicca soprattutto la scena del Giordano, quando lo Spirito Santo in forma di colomba adombrò il Salvatore, e l’Eterno Padre dal cielo lo proclamò suo figliuolo diletto. Fin dal tempo di san Giovanni la Gnosi eretica attribuiva a questa scena un’importanza capitale per la sua cristologia, sostenendo che soltanto allora la divinità si era unita all’umanità di Gesù, per dipartirsene poi al momento della sua crocifissione. Quel battesimo era quindi lavera nascita divina di Gesù, e perciò gli Gnostici lo celebravano con ogni pompa. Contro la qual dottrina scrisse pure san Giovanni nella sua prima Epistola: hic venit (Gesù Cristo) per aquam et sanguinem, non in aqua solum, sed in aqua et sanguine, cioè a dire, Gesù venne al mondo in qualità di Salvatore e di Figlio di Dio, non soltanto nelle acque del Giordano, ma sin dalla sua incarnazione, in cui prese corpo e sangue umano. È probabile che i cattolici, ad esempio dell’Evangelista, all’epifania gnostica del Battesimo abbiano voluto contrapporre sin dalla prim’ora quella della nascita temporale a Betlehem, onde la solennità ebbe un significato assai complesso, in quanto che volle altresì ritenere i dati evangelici del battesimo e delle nozze di Cana, relegandoli tuttavia in seconda linea, siccome altrettante rivelazioni solenni ed autentiche della divinità di Gesù. A Roma, in un ambiente molto positivo ed alieno affatto dall’esaltazione mistica degli Orientali, la ricorrenza storica del Natale di Gesù acquistò tuttavia tale popolarità, che ancor oggi è l’idea dominante di tutta la liturgia natalizia. Ci fu, è vero, qualche incertezza nella data, e ne seguì uno sdoppiamento. La solennità del 6 gennaio sulle rive del Tevere venne anticipata di due settimane in grazia esclusiva del Natale, ma rimase al suo posto l’antica teofania, sebbene impoverita di concetto, giacché la greppia di Betlehem, quasi per attrazione, diede maggior risalto all’adorazione dei Magi, a spese dell’originario significato del battesimo nel Giordano.
È probabile che nel m secolo Roma seguisse ancora fedelmente la primigenia tradizione orientale, amministrando perciò il battesimo solenne il giorno della Teofania. Ippolito, infatti, tenne un sermone ai neofiti εἰς τὰ ἄγια Θεοφάνεια, precisamente come nell’ antichissimo calendario copto, ove l’odierna festa è chiamata dies baptismi sanctificati. A tempo del Nazianzeno i greci l’intitolavano la solennità dei santi lumi – In Sancta Lumina -, in quanto che il battesimo è l’illuminazione soprannaturale dell’anima.
Il terzo ricordo annesso alla solennità d’oggi è il primo miracolo compiuto dal Salvatore alle nozze di Cana. Esso è annoverato tra le teofanie cristologiche, giacché i prodigi evangelici forniscono la prova esterna della divinità di Gesù. San Paolino da Nola [Poem., XXVIII. Nat. ix, 47. P. L., LXI, col. 649] e san Massimo di Torino [Hom. VII in Epiph. P. L., LVII, col. 271 e seg.] rilevano il triplice aspetto della festa dell’Epifania in termini affatto simili a quelli che adopera la Chiesa Romana nella splendida antifona dell’ufficio dell’aurora. Hodie caelesti Sponso iuncta est ecclesia – nozze mistiche simboleggiate già da quelle di Cana – quoniam in lordano lavit Christus eius crimina – battesimo dei peccati – currunt cum muneribus magi ad regales nuptias – adorazione del divin Neonato – et ex aqua facto vino laetantur convivae – miracolo di Cana.
Ciò che reca meraviglia si è che questi elementi primitivi della solennità teofanica orientale si ritrovano compenetrati più o meno in Roma nella stessa festa del 25 dicembre; tant’ è vero che papa Liberio, in un discorso tenuto a San Pietro nel giorno del Natale, quando Marcellina, sorella di sant’Ambrogio, ricevé dalle sue man il velo verginale, tra l’altro le disse: «Tu, o figlia, hai desiderato un eccellente matrimonio. Vedi quale folla di popolo è accorsa al Nataledel tuo Sposo, e nessuno se ne parte non satollo. Questi, infatti è colui che, invitato a nozze, cangiò l’acqua in vino, e con cinque pani e due pesci sfamò nel deserto quattromila uomini».
La Stazione a San Pietro s’ispira al medesimo concetto che il di di Natale. In Roma, le grandi solennità, tranne quelle troppo prolisse del battesimo pasquale, si celebrano presso il Pastor Ecclesiae, la cui basilica è l’ovile del gregge romano. Gli Ordini Romani sino al secolo XIII prescrivevano che dopo la messa il Papa cingesse la tiara e facesse ritorno In Laterano a cavallo. Più tardi però i Pontefici preferirono trattenersi in Vaticano anche pei secondi vesperi, cui assistevano con pluviale di scarlatto ed aurea mitra in capo.
L’uso che il Papa medesimo celebrasse oggi la messa stazionale ci è attestato sino alla fine del secolo XIV nell’Ordo del vescovo Pietro Amelio dì Sinigallia, il quale fa solo eccezione pel caso in cui l’infermità del Pontefice o il rigore del freddo glielo avessero impedito.
L’introito è ispirato liberamente da Malachia (III, 1), e venne cantato dai Bizantini quando mossero incontro a papa Giovanni I. Viene adoperato anche come verso responsoriale nella seconda domenica d’Avvento, ma non ritrovasi la fonte diretta donde deriva. «Ecco che arriva il Signore e dominatore, che reca in mano il regno, la potenza ed il comando». Il salmo è quello della festa, il 71, dove si annunciano i re che offriranno al Cristo i loro doni. È da notarsi tuttavia, e lo vedremo evidentemente nel Canone, che nella liturgia romana tutta questa festa dell’Epifania conserva ancora qualche cosa del suo significato orientale primitivo, cosicché, prescindendo quasi dal Natale, sembra talvolta che il mistero principale che ha per oggetto, sia precisamente la prima manifestazione del Verbo di Dio rivestito di carne mortale.
Nella colletta preghiamo il Signore che, come oggi al fulgore d’una stella ha rivelato il suo Unigenito ai Gentili, cosi noi che già lo conosciamo per la fede, possiamo giungere a contemplare la luce dell’essenza divina.
La lezione è tratta da Isaia (lX, 1-6), ove si descrive la vocazione dei Gentili alla fede ed alla cittadinanza nel regno messianico. Le tenebre del peccato ricoprono la terra, ma nella Chiesa risplende viva luce divina, alla quale dirigeranno il loro sguardo tutti i popoli. Le nazioni faranno a gara ad entrare a parte della gran famiglia cattolica, e la lode del Signore echeggerà su tutto l’universo.
Il verso graduale é tratto dalla medesima pericope d’Isaia, e descrive le nazioni che accorrono alla culla del Messia, recando oro e incenso. La strofa alleluiatica, invece, deriva da san Matteo (II), là dove i Magi narrano d’esser venuti ad adorare il Messia in seguito all’apparizione della stella. È sempre la fede che illumina la strada nostra verso Dio, in modo che senza di essa non si può piacere a Lui.
La lezione evangelica è derivata da san Matteo (II, 1-12), là dove narra l’arrivo dei Magi a Gerusalemme, il turbamento d’Erode e del Sinedrio, e finalmente l’offerta dei doni a Gesù assiso in grembo a Maria. È notevole che l’Evangelista nulla ci dica di san Giuseppe, quasi si trattasse d’un personaggio interamente estraneo alla scena. Il santo Patriarca dové certamente trovarsi li presente, anzi, nella sua qualità di pater familias, esercitò in quest’occasione una parte molto importante. Però il silenzio di san Matteo e la sua costante precisione nell’attribuire esclusivamente a Maria il titolo di Madre di Gesù, ci mostrano che qui, meglio d’una relazione unicamente storica, abbiamo anche una profonda rappresentazione dogmatica dell’umanato Verbo di Dio, riconosciuto ed adorato dai grandi del mondo in grembo a sua Madre. San Giuseppe non ha alcuna parte essenziale in questo mistero, Maria si. E perciò l’Evangelista ci ha tracciato il suo maraviglioso quadro teofanico, escludendo tutti quei personaggi accessori che, non essendo richiesti dalla scena, ne avrebbero confuso o indebolito il concetto essenziale.
L’offertorio ricorda quel vaticinio del salmo 71, ov’è detto che i re di Tarsis e le isole porteranno donativi, i re di Sheba e Seba offriranno tributi al Monarca universale del mondo.
Il primitivo ufficio della colletta sulle oblate è diverso nella liturgia romana e in quelle gallicane. Nella prima esso serve d’introduzione all’anafora eucaristica, mentre nelle altre chiude la lettura dei dittici coi nomi degli offerenti. Siccome poi questi nomi in alcuni luoghi si recitavano dopo la consacrazione, cosi ancora alcune formolo di «secreta» romane sono penetrate nella liturgia gallicana post mysterium. Nel rito romano la colletta che serve di preambolo all’anafora eucaristica, anticipa in certo modo la commendatio oblationum, e quindi per significato è quasi parallela all’oratio post nomina delle liturgie franche.
Il testo della colletta dell’odierna festa ritrovasi, più o meno modificato, in varie liturgie. La lezione del Sacramentario Gregoriano,e quindi dell’attuale Messale Romano, è la seguente: Riguarda propizio, o Signore, alle offerte della tua Chiesa, giacché non ti si presenta già oro, incenso e mirra, ma viene bensì immolato e tolto in cibo quegli che veniva già simboleggiato da questi doni, Gesù Cristo, cioè, Signore nostro.
L’inciso speciale che, giusta la lettera di papa Vigilio a Profuturo di Braga, s’inserisce nel testo dell’inno eucaristico (= prefazio) è il seguente: «perché essendo apparso nella sostanza dell’umanità il tuo unigenito Figliuolo, ci ritornò a salvezza collo splendore della sua immortalità».
Nel protocollo della preghiera detta dai greci della grande intercessione, la quale nel rito romano incornicia i dittici episcopali della Cattedra Apostolica, si torna a far espressa menzione della solennità della Teofania, in modo però che ben si vede come in origine questa festa era un’unica cosa colla festa del Natale. Si dice infatti: «venerando il sacratissimo giorno in cui il tuo Unigenito, a te coeterno nella gloria, apparve fra noi con un corpo visibile, uguale al nostro».
L’antifona durante la Comunione ripete il verso alleluiatico.
La colletta eucaristica impetra la realizzazione soggettiva del mistero odierno, festeggiato dalla Chiesa con riti cosi profondi e solenni ; in altre parole, la teofania di Gesù che appare all’anima.
La vita interiore del Cristiano è una riproduzione della vita di Gesù; onde lo scopo della Chiesa nel proporci l’annuo ciclo festivo, non è quello semplicemente di commemorare le grandi epoche storiche dell’umana Redenzione, ma si ancora di riprodurne il contenuto spirituale nelle anime nostre. Perciò nell’ufficio notturno di quest’oggi, non cantiamo già che il Cristo venti secoli fa è apparso ai Magi, ma si bene che Egli si è rivelato anche a noi.
In una parola, non è la semplice Epifania storica che vogliamo celebrare, ma vi associamo altresì quell’altra soggettiva che si verifica in ogni credente, cui Gesù appare per mezzo della santa Fede.
(Cardinale Alfredo Ildefonso Schuster OSB, Liber Sacramentorum. Note storiche e liturgiche sul Messale Romano. Vol. II, L’inaugurazione dei Regno Messianico (La Sacra Liturgia dall’Avvento alia Settuagesima) (quarta tiratura), Torino-Roma, 1933, pp. 193-194)
Immagine : Manifattura fiamminga, Adorazione dei Magi, 1524-1531, Galleria degli Arazzi, Musei Vaticani / wikimedia.org