DOMENICA IN SESSAGESIMA
Stazione a San Paolo.

Il rigore della stagione invernale è già in parte mitigato, e la brezza d’una bella mattinata sembra proprio invitare i felici abitanti urbis aeternae gentemque togatam a fare una passeggiata sotto i portici che dal centro quasi di Roma conducono direttamente alla basilica di San Paolo. E questo, s’intende, prima che incominci il digiuno quaresimale. L’odierna messa perciò, è un misto di lugubre senso di penitenza e di espressioni di grandiosa solennità in onore dell’Apostolo delle Genti; forse il primo spunto all’odierna stazione può averlo dato un’enigmatica translatio sancii Pauli segnata nel Geronimiano il 25 gennaio, e di cui a Roma se ne sarebbe conservato l’estremo ricordo nell’odierna sinassi. È nota, infatti, la tendenza romana verso il VII secolo di rimettere alla domenica alcune feste locali meno importanti, che occorrevano durante i giorni di lavoro; siccome pure è da avvertire alla circostanza che in varie antiche liturgie orientali, gallicane, ritrovasi sempre una festa, distinta o comune, in onore dei santi apostoli Pietro e Paolo durante il ciclo natalizio, o immediatamente nei giorni successivi al Natale, ovvero dentro il mese di gennaio. La stazione odierna a San Paolo, è imposta inoltre dall’ordine che vuolsi seguire nel solennizzare i titolari delle grandi basiliche patriarcali romane prima di quaresima. Precede lo Stauroforo Lorenzo, seguono Paolo e Pietro, e da ultimo viene il Salvatore.

L’introito è mesto, ma solenne, quale conveniva alle circostanze in cui fu istituita la stazione, quando cioè i Langobardi mettevano a ferro e a fuoco gran parte d’Italia, e già minacciavano la Città Eterna. È tolto dal salmo 43: «Destati: a che dormi, o Signore? Svegliati, e non ci respingere interamente. Perchè mai la tua faccia nascondi e dimentichi la nostra oppressione? Le nostre fronti sono prone a terra. Sorgi, o lahvè, in nostro aiuto e ci riscatta».
La colletta, comune tra le molte collette dei Sacramentari pei tempi di qualche calamità, ha l’aggiunta speciale in onore dell’Apostolo, la cui memoria dà tutta l’intonazione e, direi quasi, il carattere alla messa: «Tu sai, o Signore, che non abbiamo alcuna fiducia nelle nostre forze ; onde ti preghiamo che contro tutte le ostilità ci protegga colla sua potenza il Dottore delle Genti».
Il brano che segue della lettera ai Corinti (II, XI, 19-33: XII, 1-9) è quasi un’autobiografia dell’Apostolo, tanto più preziosa, perchè in parte supplisce alle lacune degli Atti degli Apostoli e ci descrive al vivo le incredibili pene sostenute da Paolo nel suo apostolato fra i Gentili. Gesù gliel’aveva detto sin dal primo momento sulla via di Damasco: «Io gli mostrerò – dichiarava ad Anania – quanto dovrà soffrire pel mio nome !». È una legge questa del regno della grazia, che nel presente ordine della divina Provvidenza non ammette eccezioni. Il dolore è come l’atmosfera soprannaturale nella quale deve vivere ciascun Cristiano, battezzato, com’è, nella morte del Cristo. Nell’odierna lezione poi l’Apostolo è costretto a far la propria apologia a cagione del potente partito dei giudaizzanti, che pretendevano d’asservire ai riti israelitici anche le chiese della gentilità. I Corinti ritenevano questi predicatori, usciti direttamente dalla progenie di Abramo, come dei superuomini in confronto di Paolo, il quale a cagione della sua parola piana e facile, passava tra loro per un povero semplicione. San Paolo accetta di sostenere tale parte, e a riscontro dei titoli pomposi dei suoi avversari pone i propri, i quali confermano la sua missione d’apostolo: «Essi sono Ebrei, ed io pure lo sono ; sono della discendenza d’Israele, ed io pure ; sono dalla progenie di Abramo, ed io pure; sono servi di Gesù Cristo, ed io – parlo ora da semplicione -, lo sono assai più di loro». E qui dimostra in qual modo il servizio di Cristo gravi terribilmente sulle sue spalle ormai curve dagli stenti, dalle persecuzioni, dai flagelli sostenuti per la fede, egli che in mezzo a tanti martini sostiene la sollecitudine del governo di tutta la Chiesa d’Occidente. Che dire poi dei suoi ratti, del suo rapimento al terzo cielo, quando gli fu svelato quanto non può neppure tradursi in umana favella? Ma questi doni poco o nulla contano; ciò che vale sono le tribolazioni e le miserie della vita, quando danno occasione al Signore d’erigere il trofeo della sua grazia sulle rovine della superbia vitae.
Il responsorio graduale è un residuo del salmo 82, e sembra un possente grido di guerra contro i nemici del popolo di Dio: «Conoscano le genti il nome tuo, o lahvè, che tu solo sei l’altissimo su tutta la terra. Mio Dio, riducili pula rotante, come paglia travolta dal vento».
Il tratto deriva dal salmo 59, ed è sullo stesso tono ed ispirazione: «Hai sconvolto, o Signore, la terra e l’hai squarciata; risana le sue brecce, perchè essa ha crollato. Affinché i tuoi eletti sfuggano dalla mira dell’arco, si che siano salvi».
Il grande seminatore a cui oggi la Chiesa, con felice adattamento scritturale, riferisce la parabola evangelica (Luca, VIII, 4-15), è l’apostolo Paolo, che sparse la Buona Novella da Damasco e dall’Arabia sino alle colonne d’Ercole, nella penisola Iberica. Come allora, così anche adesso la sua parola che risuona ogni giorno nell’azione eucaristica, non produce ovunque egual frutto; ché la leggerezza degli spiriti, l’amore disordinato alle cose terrene, e l’induramento
volontario del cuore alle attrattive della grazia, spesso rendono sterile l’azione del seminatore evangelico. Sotto le figure della strada, dei sassi, delle spine, si designano le varie specie di ostacoli che si frappongono alla parola di Dio, perchè non operi nell’ anima con tutta la sua efficacia.
San Gregorio da pari suo commentò questa parabola al popolo di Roma, adunato quest’oggi presso il sepolcro di san Paolo. L’affluenza dei Romani alla stazione continuò anche nel tardo medio evo, e si sa che una volta santa Francesca Romana colse l’occasione dal concorso popolare, per confondersi tra la turba dei poveri che in questo giorno mendicavano alla porta della basilica Ostiense.
L’ offertorio deriva dal salmo 16: «Sostieni i miei passi nelle tue vie, ché non vacillino i piedi ; porgi orecchio e ascolta la mia prece ; esalta la tua misericordia, tu che salvi quanti confidano in te».
La colletta sulle oblate, di carattere generico, deriva dalla domenica fra l’ottava dell’epifania.
L’antifona per la Comunione è tolta dal salmo 42: «Mi appresserò all’altare di lahvè, a Dio che allieta la mia giovinezza».
La preghiera di ringraziamento è la seguente: «Quanti, o Signore, tu ti degni di confortare coi tuoi Sacramenti, deh ! fa, te ne preghiamo, che le loro opere e il servizio loro ti sia accetto».
In quanto gran pericolo è l’affare dell’eterna salute in mezzo al mondo ! Il buon seme cade, è vero, anche in mezzo alle strade, ma per non dir nulla del calpestio dei passeggeri, della voracità degli uccelli e del rigoglio degli sterpi e delle spine che soffocano la pianticella evangelica, atterrisce ciò che dice Gesù senza alcuna ambage: viene il diavolo e strappa dal cuore la parola di Dio, perchè i credenti non giungano a salvezza. In affare di tanta importanza e donde dipende tutta l’eternità, ninna precauzione è soverchia, e ai piedi del sacro altare ognuno deve impegnarsi ad adoperare, come vuole san Pietro, tutti quei mezzi che rendono meno dubbio il negozio del nostro ultimo fine. È stato appunto questo il pensiero che, meditato seriamente, ha aperto nell’antichità tante migliaia di monasteri, ed ha chiamati al chiostro un numero cosi grande di fedeli d’ogni età, sesso e condizione. Che importa guadagnare, sia pure tutto il mondo, quando con questo si reca danno all’anima propria?


(Cardinale Alfredo Ildefonso Schuster, Liber Sacramentorum. Note storiche e liturgiche sul Messale Romano. Vol. III. Il Testamento Nuovo nel Sangue del Redentore (La Sacra Liturgia dalla Settuageslma a Pasqua) (quarta tiratura), Torino-Roma, 1933, pp. 32-35)

Immagini : Introito della Messa della Domenica di Sessagesima. La E iniziale include il busto di san Paolo nella cui basilica oggi si tiene la Stazione. Messale Romano, 1375-1400, ambito italiano, MS G.16, Morgan Library & Museum, New York, f. 26v / ica.themorgan.org