1 Febbraio.
S. IGNAZIO VESCOVO D’ANTIOCHIA E MARTIRE

La festa di sant’Ignazio nel Messale Romano realizza il voto supremo del Martire il quale, scrivendo ai Romani, si augurava che la nuova del suo martirio giungesse loro mentre appunto era apprestato l’altare pel sacrificio, affinché in coro potessero tutti elevare un inno di ringraziamento a Dio, che dalla Città dei Cesari e dal cruento anfiteatro di Roma si fosse degnato di chiamare a sé il «Vescovo della Siria». Ignazio fu sbranato dai leoni il 17 ottobre tra il 110-118; ma nel tardo medio evo la sua memoria tra i latini venne assegnata a questo giorno. Il nome del magnanimo Vescovo venne inserito nei dittici della messa sin dalla più remota antichità, ma al pari di tutti i martiri dei due primi secoli, non se ne celebrò un ufficio speciale che assai tardi; fu Pio IX che ultimamente elevò la festa di sant’Ignazio al rito doppio.
La Chiesa Romana commemora ogni giorno il nome d’Ignazio, nella così detta Grande intercessione, prima del Pater, senza che per altro i Sacramentari medievali indichino alcuna stazione o sinassi qualsiasi in onore di Ignazio. La cagione è ovvia; mancava la base materiale di questo culto liturgico, cioè la tomba.
L’identificazione dell’anfiteatro nel quale sant’Ignazio a Roma fu esposto alle belve con quello di Vespasiano Flavio, è assai probabile, ma non può assolutamente dimostrarsi, giacché allora la Città Imperiale aveva vari altri anfiteatri. Del culto speciale attribuito al Martire nell’attigua basilica di san Clemente, dove una tarda tradizione vuole sia appunto sepolto il grande Vescovo d’Antiochia, il primo documento che ne parla non va oltre agli inizi del secolo XII, ed è l’iscrizione sotto il mosaico dell’abside, dove però si accenna solamente a qualche piccola reliquia di sant’Ignazio riposta entro il muro sul quale era rappresentato il Crocifisso:

+ DE . LIGNO . CRVCIS . IACOBI . DENTE . IGNATIIQVE
IN . SVPRASCRIPTI . REQVIESQVNT . CORPORE . CHRISTI

L’antifona per l’introito deriva dalla lettera di san Paolo ai Galati (VI, 14): «Non sia mai che io mi glorii, fuori che nella Croce di Gesù Cristo Signor nostro, per il quale il mondo è a me crocifisso, ed io lo sono al mondo». Segue il salmo 131; «Ti rammenta, o Signore, di David, e di tutte le sue afflizioni. V. Gloria».
La colletta è del comune dei Martiri Pontefici, come il giorno di san Melchiade, 10 dicembre.
L’epistola del Martire alla Chiesa Romana, alla «Presidente della società dell’amore», come egli la chiama, fu sicuramente letta nel II secolo nell’assemblea dei fedeli di Roma prima del divin Sacrificio, a questo momento appunto dell’azione sacra. La mutata disciplina liturgica non permette più ora una simile libertà; e perciò oggi si recita invece un brano dell’epistola di san Paolo ai Romani, tanto simile però allo stile vigoroso del Martire antiocheno, il quale anela il momento in cui le fiere lo renderanno vittima di Cristo. Sembra appunto che san Paolo abbia ispirato lo stupendo squarcio corrispondente d’Ignazio.
San Paolo, (Rom. VIII, 35-39) tutto infiammato d’amore alla considerazione dell’amore che ci ha dimostrato Dio col darci Gesù Crocifisso, si sente così stabilmente congiunto a lui mediante l’abito soprannaturale della carità, che, come già avesse anticipato quella stabilità e confermazione nella grazia cui in cielo consegue la visione beatifica, sprezzando generosamente gli aspri cimenti dell’apostolato e la spada del martirio che egli già prevedeva prossima, in un impeto di santo entusiasmo esclama: qual cosa mai potrà ormai dividermi dal Cristo? Non la persecuzione, non la morte, anzi neppure l’eternità varrà mai a disgiungermi da Dio, il cui suggello d’ineffabile amore è appunto il mio Signore Crocifisso.
Il responsorio è come il 4 dicembre, per la festa del Crisologo.
Il verso alleluiatico per la festa di quest’anima innamorata della Croce, è derivato dall’Epistola ai Galati (II, 19-20): «Io sono confitto in Croce insieme col Cristo; vivo dunque io, ma non già più io; sibbene è il Cristo che vive in me».
Ecco dunque il secreto delle tante fatiche ed austerità che si sono imposti i Santi; non erano tanto essi che vivevano, ma Gesù che continuava in loro il mistero della sua croce per la redenzione del mondo. Ecco un bel pensiero che, ben meditato, ci dovrebbe ispirare un profondo rispetto per questa vita mistica che il Salvatore vuol condurre in ciascun’anima cristiana, ma particolarmente in quelle che gli sono in special modo dedicate, come i sacerdoti ed i religiosi.
Dopo la settuagesima, invece del verso alleluiatico, si dice il tratto, come il giorno di san Timoteo, 24 gennaio.
La lezione evangelica (Giov. XII, 24-26) è comune, in parte, al sabato avanti la domenica delle Palme. Ivi Gesù paragona la vita cristiana ad un chicco di grano, che per germogliare, dove prima marcire in terra. Tale esempio si adatta molto bene alla festa di Ignazio che, ispirandosi appunto a quest’immagine evangelica, e forse anche a un passaggio della Didaché, scriveva: «Io sono il frumento di Cristo. Deh! possa io esser maciullato sotto le zanne dei leoni, per divenire un candido pane».
L’antifona per l’offerta delle oblato da parte del popolo, è come per la vigilia di sant’Andrea, il 29 novembre.
La preghiera prima dell’anafora consacratoria, è come per san Felice in Pincis, il 15 gennaio.
L’antifona pel salmo che si cantava durante la distribuzione della Comunione, ricorda l’estremo grido del Martire, quando nel circo già udiva i ruggiti dei leoni frementi: «Io sono come il frumento di Cristo. Possa io esser macinato sotto i denti delle belve, per divenire un candido pane».
Questo supremo grido d’Ignazio trovò larga eco nelle Chiese, e Io ricorda anche Ireneo di Lione: Quemadmodum quidam de nostris dixit, propter martyrium in Deum adiudieatus ad bestias: Quoniam frumentum sum Christi, et per dentes besfiarum molar, ut mundus panis Deo inveniar (Adv. Haeres., v, 28, 4. P. L., VII, col. 1200-01).
La colletta di ringraziamento dopo la Comunione, è identica a quella assegnata per la festa di san Melchiade, il 10 dicembre.
La virtù più in relazione colla festa d’Ignazio, e che in questo giorno dobbiamo implorare per sua intercessione, si è un fedele attaccamento alla Chiesa ed alla sua gerarchia. È questo l’argomento sul quale ritorna con maggior insistenza il gran Martire in tutte le sue epistole: Non vi può esser Chiesa, là dove non è accolta la legittima autorità del vescovo, del suo presbiterio e dei diaconi. Ora, siccome l’eresia, per occulta che ella sia, implica sempre l’insubordinazione contro i propri maestri e pastori, perciò i fedeli, nell’intima comunione con la gerarchia stabilita da Gesù Cristo, hanno un mezzo altrettanto facile che sicuro per sfuggire a tutte le mene subdole dei novatori.


(Cardinale Alfredo Ildefonso Schuster OSB, Liber Sacramentorum. Note storiche e liturgiche sul Messale Romano. Vol. VI. La Chiesa Trionfante (Le Feste dei Santi durante il ciclo Natalizio) (terza tiratura), Torino-Roma, 1930, pp. 202-205)

Immagine: Pier Leone Ghezzi, Martirio di S. Ignazio, XVIII sec., Palazzo Barberini, Roma / scuolaecclesiamater.org