di Luca Fumagalli

Per chi fosse interessato ad approfondire l’opera di Graham Greene e quella di molti altri scrittori cattolici di lingua inglese si segnala l’uscita del saggio “Dio strabenedica gli inglesi. Note per una storia della letteratura cattolica britannica tra XIX e XX secolo”. Link all’acquisto: http://www.edizioniradiospada.com/component/virtuemart/ecommerce/dio-strabenedica-gli-inglesi-note-per-una-storia-della-letteratura-cattolica-britannica-tra-xix-e-xx-secolo-308-detail.html?Itemid=0

Per chi è avvezzo alla prosa del Greene più celebrato, quello delle spy stories o quello dei racconti a sfondo religioso, Il dottor Fischer a Ginevra ovvero la cena delle bombe (Doctor Fischer of Geneva or The bomb party) risulterà una lettura a dir poco spiazzante. Già all’epoca della pubblicazione, nel 1980, il breve romanzo raccolse pareri contrastanti, riuscendo persino complessa la sua collocazione entro i confini di un genere preciso: la storia, infatti, un sorta di apologo satirico e surreale sul potere che corrompe e sull’avidità, mischia con disinvoltura elementi del thriller a elementi tipici della fiaba, l’allegoria al passionale, la parabola al dramma, offrendo a chi legge diverse possibilità interpretative. Il libro, infarcito di richiami teologici, è attraversato da un humor nero che fa del grottesco e dell’urticante la sua cifra distintiva, evocando la medesima atmosfera che si respira in romanzi come Il caro estinto di Waugh o in pellicole quali Il dottor Stranamore di Kubrick. Vi è inoltre un tocco di inquietante mistero, un po’ ironico e un po’ sardonico, alla maniera del chestertoniano L’uomo che fu Giovedì.

Il protagonista, che racconta i fatti ex post, è il cinquantenne Alfred Jones, impiegato in qualità di traduttore presso una fabbrica di cioccolato in Svizzera. Jones è un uomo rassegnato, ferito, incompleto sia moralmente che fisicamente: la moglie e la figlia che questa aveva in grembo sono morte entrambe vent’anni prima, mentre i suoi genitori sono rimasti uccisi durante il Blitz di Londra del 1940, la stessa notte in cui lui ha perso la mano sinistra prestando servizio come pompiere.

Un giorno incontra in un bar Anna-Luise, una ragazza dolce e sensibile, di cui si innamora; lei ricambia contro ogni previsione, data la sua avvenenza e la considerevole differenza d’età. C’è però un problema: Anna-Luise è l’unica figlia del famigerato dottor Fischer di Ginevra, divenuto milionario grazie all’invenzione del Dentophil Bouquet, un dentifricio portentoso, capace di tenere a bada le infezioni causate dall’eccessivo consumo di cioccolata (la Svizzera è perfettamente efficiente pure nel curare da sé i mali che essa stessa provoca). Fischer è un uomo odioso, che disprezza tutto e tutti, figlia compresa. Sua moglie, Anna, è morta di dolore tempo prima, quando il marito l’ha costretta a separarsi dall’unico amico che condivideva con lei la passione per la musica (Fischer è incapace di apprezzarla, così come non sa apprezzare nessuna cosa bella). Le uniche persone con cui si intrattiene sono gli “scracconi” – soprannominati così, con manifesta storpiatura, da Anna-Luise – ovvero un campione eterogeneo della upper-class elvetica che comprende il signor Kips, un avvocato di fama internazionale, Monsieur Belmont, un consulente fiscale, la signora Montgomery, una ricca americana dai capelli azzurri, Richard Deane, famoso attore cinematografico troppo avvezzo all’alcol, e il Divissionaire Krueger, un ufficiale dell’esercito. Periodicamente gli “scracconi” si ritrovano nella splendida villa del dottore per prendere parte alla sue particolari cene, in cui, in cambio di un premio finale, gli ospiti sono costretti a subire continue umiliazioni da parte del padrone di casa, amante degli insulti e degli scherzi crudeli: «Si burla degli altri ma nessuno può burlarsi di lui. Ha il monopolio dello scherno».

Dopo una breve frequentazione, Alfred e Anna-Luise decidono di sposarsi civilmente, senza prete né dottor Fischer. Il senso del profondo amore che li lega è sintetizzato dalla ragazza con parole analoghe a quelle utilizzate da Gesù nel Vangelo di Marco: «Sei il mio amante e mio padre, mio figlio e mia madre, sei l’intera famiglia… la sola famiglia che io voglia». Secondo Michael G. Brennan, «ancora una volta l’anziano Greene dipinge il matrimonio tra amanti come l’unico argine contro un mondo crudelmente indifferente e distruttivo», un’essenza marcia ben rappresentata dal padre di lei, campione della natura umana corrotta. Nelle sue vesti di anfitrione Fischer non è solo una parodia del Cristo dell’ultima cena, ma le sue grandi possibilità economiche lo fanno somigliare anche a una satanica inversione di Dio Padre; quando Alfred fa notare alla moglie che parla del proprio genitore come se fosse il Padreterno, lei si limita a rispondere: «La situazione è pressappoco questa». Qualche pagina dopo l’uomo ritorna col pensiero al dottore: «Senza dubbio avrebbe disprezzato anche Gesù Cristo perché era il figlio di un falegname, se il Nuovo Testamento non fosse divenuto con il tempo un così clamoroso successo commerciale».

Nonostante le raccomandazioni di Anna-Luise – «E così, lasci che ti conduca in un luogo elevato e ti mostri tutti i regni del mondo» – Alfred finisce per divenire parte del giro degli “scracconi”, ma già dopo la prima cena se ne torna a casa disgustato: è troppo orgoglioso per poter sopportare gli insulti di un suocero che, in vena di confidenze, gli ha rivelato che le sue serate sono parte di un esperimento per dimostrare fino a che punto possa spingersi l’avidità dei ricchi. Tormentato da un «orgoglio infernale» simile a quello del Satana di Milton, Fischer arriva all’estremo di paragonarsi a Dio, o meglio, a un’immagine blasfema del Dio cristiano dal retrogusto manicheo: «Oh, non pensi nemmeno per un momento che io creda in Dio, non più di quanto credo nel demonio, ma ho sempre trovato la teologia un divertente gioco intellettuale» (esattamente come Greene). Quindi prosegue: «Bene, i credenti e i sentimentali dicono che è avido del nostro amore. Io preferisco pensare, a giudicare dal mondo, in teoria creato da lui, che possa essere soltanto avido della nostra umiliazione, e tale avidità come potrebbe mai esaurirsi? È senza fondo. Il mondo diviene sempre e sempre più orribile mentre egli continua a girare e girare le vite senza fine, sebbene ci faccia doni – altrimenti un suicidio universale gli impedirebbe di raggiungere il suo scopo – per alleviare le umiliazioni che subiamo. […] E io non voglio forse umiliare? E dicono che egli ci ha creato a sua immagine. Forse si è reso conto che è un pessimo artigiano ed è deluso dai risultati». Perché poi non rinunci a tentare Alfred è presto detto: «La signora Montgomery, Belmont, Kips, Deane, erano pressapoco come sono adesso, quando li conobbi. Ma lei l’avrò creata. Né più né meno come Dio creò Adamo».

Fischer decide allora di organizzare un ultimo banchetto, ribattezzato “la cena delle bombe”, che si svolge nel giardino innevato della sua villa, una variante svizzera della terra di Narnia così com’è descritta ne Il leone, la strega e l’armadio, condannata dal male a un inverno perenne. Il ricevimento si risolve in una roulette russa, con gli ospiti che devono pescare il premio della serata – un cospicuo assegno da due milioni di franchi – da un barile di petardi: uno di questi, però, non contiene il premio ma una vera bomba. Sebbene Kips si rifiuti di stare al gioco, gli altri, accecati dall’avidità, si avventano sul barile. In realtà si tratta di un clamoroso scherzo, per giunta rovinato dall’istinto suicida di Alfred, desideroso solamente di ricongiungersi nell’aldilà con la sua Anna-Luise, da poco morta in un incidente sciistico. Al dottor Fischer, che non è riuscito a far cadere il genero in tentazione, non resta che togliersi la vita con un colpo di pistola: «Osservai il cadavere, e mi parve insignificante come un cane morto. Ecco, pensai, il mucchio di immondizia che avevo paragonato un tempo, nella mia mente, a Jehova e a Satana».

L’epilogo vede uno sconfortato Alfred accontentarsi del ricordo della moglie di cui conserva gelosamente due istantanee e un biglietto da lei scritto, «reliquie come i frammenti di ossa che conservano nelle chiese cattoliche». La vita per lui ora non ha più alcuno scopo, è un succedersi di eventi fondamentalmente privi di significato: «Il male era morto come un cane, e perché il bene avrebbe dovuto avere più immortalità del male?». Ed è così, nel segno dell’amarezza, che si chiude il romanzo, da cui nel 1984 è stato tratto pure un film TV diretto da Michael Lindsay-Hogg – già regista dei videoclip dei Rolling Stones e di alcuni episodi della fortunata serie Brideshead Revisited – con l’attore James Mason nei panni del mefistofelico dottore.

Valga come epigrafe conclusiva, a suggello della vorticosa avventura di Alfred, una sua riflessione sulla filosofia cristiana, brillante compendio del credo greeniano: «Sembra esserci una sorta di compiacimento orribile nella saggezza orientale. […] Un filosofo cinese [è] benestante, altamente stimato, in pace col mondo, e soprattutto al sicuro, a differenza del filosofo cristiano che prospera col pericolo e col dubbio. […] Preferisco Pascal: “Tutti sanno che la vista di gatti o topi, lo sgretolarsi di un tizzone, eccetera, possono scardinare la ragione”».