di Luca Fumagalli

Continua con questo articolo la nuova rubrica infrasettimanale dedicata all’approfondimento e al commento dei racconti di Padre Brown, il celeberrimo sacerdote detective nato dalla penna di G. K. Chesterton, tra i più grandi intellettuali cattolici del Novecento. I racconti, a metà strada tra investigazione e apologetica, hanno per protagonista il buffo e goffo Padre Brown, interessato sia a risolvere i crimini che a salvare le anime dei colpevoli.

Per una disamina introduttiva sulla figura di Padre Brown – protagonista pure di vari film, sceneggiati per la televisione e, addirittura, fumetti – si veda il breve articolo al seguente link: https://www.radiospada.org/2018/11/padre-brown-il-grande-sacerdote-investigatore-ideato-da-chesterton/

Per chi si fosse per la precedente puntata, la prima della serie: https://www.radiospada.org/2021/03/il-mercoledi-di-padre-brown-la-croce-azzurra/?preview_id=68448&preview_nonce=0e78c0ea50&preview=true&_thumbnail_id=68461

Prima di iniziare, per chi fosse interessato ad approfondire l’opera di G. K. Chesterton e quella di molti altri scrittori cattolici britannici si segnala l’uscita del saggio “Dio strabenedica gli inglesi. Note per una storia della letteratura cattolica britannica tra XIX e XX secolo”. Link all’acquisto: http://www.edizioniradiospada.com/component/virtuemart/ecommerce/narrativa/dio-strabenedica-gli-inglesi-note-per-una-storia-della-letteratura-cattolica-britannica-tra-xix-e-xx-secolo-308-detail.html?Itemid=0

Il giardino segreto (The Secret Garden) è il secondo racconto della raccolta L’innocenza di Padre Brown (1911). In comune con la storia precedente, La croce azzurra, vi è la ricomparsa di due dei tre protagonisti, «il buon prete e il buon ateo», ovvero Padre Brown – di cui si evidenziano nuovamente la goffaggine e la timidezza – e Aristide Valentin, il celebrato capo della polizia parigina.

In questa occasione, però, l’investigatore francese appare più cinico e sprezzante, tanto da risultare un uomo abbastanza diverso rispetto a quello che si aggirava per le vie di Londra collezionando gli indizi lasciati da Padre Brown. La sensazione è che vi sia una scarsa coerenza di fondo tra il Valentin de La croce azzurra e il Valentin de Il giardino segreto, benché la cosa, oltre a non togliere nulla al gusto della lettura, verosimilmente interessasse poco pure allo stesso Chesterton, più incline all’apologo che alla verosimiglianza. Del resto il mutamento di Valentin è talmente brusco che non reggerebbe nemmeno l’eventuale obiezione che l’autore abbia voluto solamente dare maggior risalto a un aspetto del carattere dell’investigatore già accennato in precedenza.

Sulle prime Valentin è presentato con caratteristiche analoghe rispetto a quelle messe in luce nel racconto precedente. La sua mente acuta, da rigido adepto della logica, non nega il dovuto spazio alla pietà: «Spietato nel ricercare i delinquenti, era molto mite nel punirli. Egli, ch’era l’autorità suprema in fatto di metodi polizieschi francesi – e, indirettamente, di quelli europei – aveva fatto uso della sua gande influenza in modo onorevole, adoperandosi a mitigare le pene e a purificare le prigioni. Era uno dei grandi liberi pensatori umanitari francesi; l’unico torto dei quali consiste in questo: che rendono la misericordia ancora più fredda della giustizia». Tuttavia, mano a mano che il racconto procede, il suo essere «un anticlericale abbastanza in vista» lo porta a un disprezzo che poco si confà a chi ne La croce azzurra si era inchinato davanti al grande acume di Padre Brown. Se, sulle prime, il suo odio verso la Chiesa è ancora trattenuto – «Valentin aggrottò le sopracciglia come soleva, per principio, alla vista di una casacca ecclesiastica. Ma era un uomo troppo giusto per negare l’opportunità dell’osservazione» – più avanti giunge addirittura a un passo dal mettere le mani addosso a Padre Brown: «Una luce di fanatismo brillò negli occhi di Valentin; egli si avanzò minaccioso, coi pugni chiusi, verso il prete».

La trama de Il giardino segreto è piuttosto semplice e ruota intorno a una cena organizzata da Valentin presso la sua splendida dimora sulla Senna, con tanto di grande giardino, reso inaccessibile «da un alto muro liscio, impossibile a scalare, difeso da punte aguzze alla sommità». L’ingresso della villa è scrupolosamente tenuto sotto controllo dal fidato servo Ivan, «il detective privato del detective pubblico»: da lì nessuno può entrare o uscire senza essere notato. Tra gli ospiti della serata, oltre a Padre Brown, figura l’ambasciatore inglese, Lord Galloway, un diplomatico che, quando perde la pazienza, sa essere molto poco diplomatico, con moglie e figlia al seguito. Di quest’ultima, Lady Margherita Graham – «qualcosa di più di una gentildonna, una donna» – è innamorato senza speranza un altro degli invitati, un giovane irlandese, il Comandante O’Brien, ufficiale della Legione straniera. Completano l’esclusivo parterre la Duchessa di Mont St. Michel, il Dr. Simon e l’eccentrico multimilionario americano Giulio K. Brayne, dall’aspetto solido, grosso quanto alto, che «aveva questa grande qualità, che pochissimi di noi possono vantare: la sua presenza era tanto grande quanto la sua assenza». Brayne è un uomo famoso, perennemente attratto da tutto ciò che ha il sentore di novità, «i cui colossali e quasi schiaccianti donativi ai diversi piccoli culti, hanno cagionato tante facili canzonature e facili lodi ai giornali americani e inglesi. Nessuno poteva dire di sicuro se il signor Brayne fosse un ateo o un mormone o uno Scientista Cristiano; certo, egli era pronto a versar denaro in qualsiasi vaso intellettuale, purché fosse un vaso non provato ancora. Una delle sue passioni dominanti era quello di attendere uno Shakespeare americano, una passione questa che richiedeva maggior pazienza di quella di un pescatore. Ammirava Walt Whitman, ma pensava che Lucas P. Tanner, di Parigi, in Pennsylvania, fosse più “progressivo” di Whitman stesso, in ogni cosa. Amava tutto ciò che gli sembrava “progressivo”. Stimava Valentin come un uomo “progressivo”, facendogli, con ciò, una grave ingiustizia» (il detective francese, senza religione e unicamente votato alla logica, è quanto di più vecchio e scontato possa esserci).

Brayne sparisce improvvisamente quando, a fine cena, viene ritrovato in giardino il cadavere di un uomo sconosciuto, con la testa tagliata di netto. I sospetti cadono naturalmente sul magnate americano, ma l’indomani anche la sua testa viene raccolta da un fiume a pochi metri dalla casa. «Strano, signori», nota Valentin con amara ironia, «che io abbia seguito le tracce dei misteri in tutto il mondo, e che ora uno di questi mi si offra proprio nel mio giardino». Al contrario O’Brien fatica a reprimere un moto di disgusto: da buon soldato, leale e onorevole, «detestava quella carneficina segreta».

In attesa di avvisare la polizia, iniziano in via ufficiosa le indagini del gruppo. Padre Brown poco alla volta riesce e mettere insieme tutti i pezzi del puzzle ricorrendo sia alla logica che alla Fede: «– Tacete un momento, poiché vedo metà. Mi darai, Dio, la forza? Farà il mio cervello il balzo necessario per poter vedere tutto? Il cielo mi aiuti! Solevo essere abbastanza capace di pensare. Potevo parafrasare qualsiasi pagina dell’Aquinate, una volta. Scoppierà la mia testa, o vedrò? Vedo metà… vedo soltanto metà! Nascose il volto tra le mani, e stette fisso in una specie di rigida tortura del pensiero, o di preghiera».

L’appello del prete non rimane inascoltato e la soluzione gli viene mostrata quando O’Brien si imbatte casualmente in una vignetta del giornale nazionalista «La Ghigliottina» in cui è ritratta la testa mozzata di Valentin. L’irlandese, che ha in comune con i suoi connazionali «un cervello celtico» incline al romantico e al fantastico, «sentì un’ira improvvisa contro quella brutalità dell’intelletto, propria della Francia. Vide Parigi come un assieme brutale, dai grotteschi delle chiese gotiche alle grossolane caricature sui giornali; ricordò i giganteschi gesti della Rivoluzione, vide l’intera città come una sola energia bruta, che si manifestava dal sanguinario schizzo sul tavolo di Valentin, sino lassù, su Notre Dame, dove, sopra una montagna di pietra e una foresta di gronde, il gran diavolo sogghigna». Padre Brown intuisce allora che dietro agli efferati delitti si nasconde proprio Valentin che ha dapprima ucciso Brayne decapitandolo con la sciabola di O’Brien e che poi, per confondere le acque, ha gettato via la testa di costui, oltre il muro del giardino, sostituendola con quella di un delinquente comune condannato alla pena capitale (Valentin, in quanto capo della polizia, non avrebbe alcun problema a prelevare una testa dalla cesta accanto alla ghigliottina).

Un assassinio orchestrato in questo modo doveva però essere stato premeditato ben prima della cena. Per quale motivo il detective francese doveva avere in odio un uomo così generoso come Brayne? Ecco la risposta di Padre Brown: «Valentin è un tipo onesto, se essere onesti significa esser pazzi per una causa discutibile. Ma voi non avete mai visto in quei suoi occhi grigi e freddi ch’egli è pazzo? Egli commetterebbe qualsiasi delitto; qualsiasi delitto, per rompere quella che egli chiama la superstizione della Croce. Ha combattuto e sofferto la fame per un tal fine, ed ora ha persino ucciso. I milioni di Brayne dilapidati pazzamente, erano stati, sin qui, sparsi fra tante sette, che facevano ben poco per alterare l’equilibrio delle cose. Ma Valentin raccolse la voce che Brayne, come tanti scettici esaltati, s’avvicinava a noi; la cosa era molto diversa. Brayne avrebbe alimentato largamente l’impoverita e pugnace Chiesa di Francia; […] e il fanatico s’infiammò a quel rischio».

Rompendo quella consuetudine del poliziesco che vuole accanto al brillante detective protagonista un investigatore ufficiale ma di minor talento – quando non palesemente sciocco – che, di riflesso, ne esalta le qualità, Chesterton liquida il personaggio di Valentin dopo due soli racconti. Nell’epilogo de Il giardino segreto si scopre infatti che l’investigatore si è tolto la vita con delle pillole. Il suo è un gesto estremo, paradossale, che sa di vittoria ma anche e soprattutto di sconfitta: «Sul volto cieco del suicida appariva qualche cosa di più dell’orgoglio di Catone». Vi è nello sguardo del morente una muta disperazione che rimanda a una scena iniziale del racconto, quando Valentin, in ritardo per la cena, si era fermato a contemplare la luna con un implicita amarezza, forse avvertendo per la prima volta la sua incapacità di amare veramente: «Velentin la fissò con attenzione insolitamente pensosa per una natura scientifica come la sua. Ma forse tali nature scientifiche hanno un qualche psicologico sentore del più tremendo problema della loro vita».