di Giuliano Zoroddu
Anticamente la messa papale della Dominica quarta in Quadragesima – detta “Laetare” dalla prima parola dell’antifona introitale o “de rosa” per l’uso di benedire la rosa d’oro – veniva celebrata presso la basilica di Santa Croce in Gerusalemme, scrigno romano delle reliquie della Passione, che un tempo fu il palazzo della santa imperatrice Elena. Con il trasferimento del papato ad Avignone però e in seguito col suo felice e al contempo tormentato ritorno a Roma, questa cerimonia si trasferì nella Cappella del Palazzo Apostolico.
La principale particolarità della Cappella Papale odierna consisteva, come anticipato, nella benedizione della rosa d’oro. Questa veniva benedetta dal Papa e unta col crisma e col balsamo. Lo stesso Pontefice la teneva in mano durante la cavalcata dal Laterano a Santa Croce; e ancora durante l’omelia al popolo, quando ne spiegava il significato. Infine la donava al prefetto di Roma che aveva tenuto la briglia del suo cavallo.
Nel corso del tempo la cerimonia di benedizione si spostò dal Laterano nella Sala dei Paramenti del Palazzo Vaticano e si introdusse l’uso di donare la rosa, simbolo della regalità di Cristo su tutta la società e per traslato del primato del Romano Pontefice, ai sovrani e alle sovrane della Cristianità.
Il rito avveniva prima della messa. Il papa, assunto il camice e la stola rosacea, riceveva dall’ultimo chierico di Camera la rosa e su di essa pronunziava la seguente preghiera:
“O Dio dalla cui parola e potenza sono state fatte tutte le cose e col cui impero sono tutte regolate, supplichevoli preghiamo la maestà tua, che sei l’allegrezza e il gaudio di tutti i fedeli, che ti degni colla tua pietà di benedire e di santificare questa rosa gratissima per la sua vista e pel suo odore, che oggi portiamo in mano in segno di spirituale consolazione, acciocché il popolo a te consacrato, tratto fuori dal giogo della schiavitù di Babilonia, per la grazia dell’unigenito tuo Figliuolo, il quale è la gloria e l’esaltazione del popolo d’Israello, di quella Gerusalemme che è la nostra madre superna, rappresenti con cuor sincero il suo godimento. E perché in onore del tuo nome in questo giorno esulta e gode la tua Chiesa con questo segno, tu, o Signore, conferisci ad essa il vero e perfetto gaudio ed accettando la di lei divozione, rimettile i peccati, ricolmala di fede, fomentala colla pietà, proteggila colla misericordia, distruggi le cose ad essa avverse, concedi ad essa tutte le cose prosperose talché per mezzo del frutto delle buone opere si unisca all’odore degli unguenti di quel fiore, il quale prodotto dalla radice di Jesse, misticamente viene annunziato il fior del campo ed il giglio delle valli e col quale rimanga lieta senza termine nella gloria superna unitamente a tutti i Santi, il quale con te vive e regna Dio nell’unità dello Spirito santo per tutti i secoli de’ secoli“[1].
Terminata questa bella orazione, il Pontefice infondeva nella rosa il balsamo e il muschio, quindi l’aspergeva e l’incensava, per poi riconsegnarla al chierico che gliel’aveva porta all’inizio. Il prezioso oggetto veniva posto sull’altare sotto la croce.
Dopo questa suggestiva funzione veniva celebrata la Messa. Ad officiare il sacro rito era chiamato un Cardinale Prete e il Papa vi assisteva col manto rosaceo. Rosacei erano anche gli ornamenti del trono e dell’altare, come anche i paramenti del celebrante, del diacono e del suddiacono e le vesti dei Cardinali che prendevano parte alla Cappella. Aveva l’onore e l’onere di tenere l’omelia il procuratore generale dei Carmelitani dell’antica osservanza (o calzati).
La cerimonia si concludeva col ritorno della rosa nella Sala dei Paramenti donde era partita. Essa, ove non fosse stato presente colui cui era destinata, veniva consegnata da una speciale legazione composta da vari membri della corte papale, fra cui i Latori della rosa d’oro, aboliti (ovviamente) da Paolo VI nel 1968.
Rosa d’oro offerta da papa Pio VII all’Imperatrice
d’Austria Carolina Augusta
(Vienna, Kunsthistorisches Museum)
Il conte G. Dalla Torre del Tempio di Sanguinetto
e il principe don Luigi Massimo Lancellotti: gli ultimi portatori
della Rosa d’oro
L’abito rosacei dei cardinali per la III Domenica d’Avvento e per la IV di Quaresima
[1] Gaetano Moroni, Le cappelle pontificie, cardinalizie e prelatizie, Tipografia Emiliana, Venezia, 1841, pp.195-196.
Foto da rerumliturgicarum.blogspot.com. Sullo stesso sito un approfondimento dottissimo sulla benedizione della rosa d’oro (vedi qui).
Foto in evidenza: particolare di una pianeta rosacea con lo stemma di Pio XI (da liturgicalartsjournal.com)