Sintesi della 644° conferenza di formazione militante a cura della Comunità Antagonista Padana dell’Università Cattolica del Sacro Cuore in Milano, non tenuta in seguito alla chiusura dell’Ateneo a causa dell’epidemia di Coronavirus, preparata il sabato in albis 2021 (10 aprile 2021). La conferenza numero 632 è stata la conferenza video di Luca Fumagalli su “Dio strabenedica gli inglesi” e la numero 643 il podcast de “L’alabarda” su “Coronavirus e c.d. grande reset”. Relatore Silvio Andreucci (testo raccolto a cura di Piergiorgio Seveso)
Non è intenzione specifica di questa conferenza fornire un quadro dettagliato della Scuola di Francoforte, né del Sessantotto-pensiero, che’ ci vorrebbe in questo caso almeno un ciclo di conferenze ed esigenze di sintesi non lo consentono, per quanto l’ argomento conservi notevole attualità ed interesse .(1).
Obiettivo di questa disamina è piuttosto esaminare come quel calderone ideologico che è stato il Sessantotto pensiero, traducendosi in prassi, abbia naturalmente combattuto ogni vestigia di tradizione e vecchio ordine, ma anche soppresso la molla rivoluzionaria sub specie di una pseudo rivoluzione culturale; realizzando di fatto lo ” spirito borghese” allo stato puro, ove qui il termine borghese non è inteso in senso sociologico, ma fa riferimento a una precisa disposizione comportamentale della società post-sessantottina; in altri termini, il trionfo del carattere puramente strumentale dell’idea di verità, l’ orizzonte merceologico onnipervasivo dopo la sconfitta delle idee e delle ideologie.
Ma Sessantotto- pensiero e concezione della Scuola di Francoforte sono meramente sovrapponibili? Non proprio, anche se alcuni essenziali motivi degli autori francofortesi hanno permeato l’ ideologia del Sessantotto
Sulle ragioni per cui il Sessantotto pensiero possa definirsi un calderone basti pensare all’ accostamento e fusione di autori fra loro incompatibili, ad esempio Mao e Marcuse (2).
È possibile che Herbert Marcuse(1898-1979) si sia appropriato dei motivi della critica romantica al capitalismo, riqualificandoli di segno? Del resto, in qualche modo lo avevano fatto anche Saint Simon e Marx e Marcuse sembra rifare la stessa operazione a distanza di un secolo (3).. inconsapevolmente.
Se fosse stato consapevole di parlare un linguaggio romantico-reazionario con la sua critica alla civiltà tecnologica, all’ omologazione, all’ uomo unidimensionale, avrebbe malsopportato la cosa; infatti, per Marcuse, le negazioni pronunciate a loro tempo da Marx e Feuerbach del pensiero teologico e metafisico sono punto di non ritorno.
Per Marcuse non esiste nell’ uomo nessun principio spirituale; il suo orizzonte di pensiero infine è assolutamente immanentista, per cui non riconosce una dimensione della Trascendenza, quando nei suoi testi impiega il termine “trascendenza” si affretta a precisare che non intende un principio Trascendente rispetto la dimensione sensibile, ma semplicemente il trascendimento storico. Marcuse dunque non aveva intenzione alcuna di dare alla propria filosofia un’ impostazione romantica o spiritualista
Il fatto è che non solo Marcuse si riappropria nella ” pars destruens” della sua opera (la contestazione della civiltà tecnologica) dei motivi della critica romantica-reazionaria, ma in taluni punti ” conduce la critica del nuovo positivismo (4) come un discepolo di alto livello della metafisica classica” (Augusto del Noce).
Valorizza persino in logica una concezione dell’ “universale” affine a quella tomista, polemizzando contro il sapere settoriale e, più in generale, la parcelizzazione che permea la civiltà tecnologica.
Nondimeno, è bene ricordarlo, Marcuse non ha nessuna intenzione di ricorrere alla metafisica classica, dal momento che considera l’ idea tradizionale di Logos a fondamento di sistemi politici repressivi; d’ altronde,se per Marcuse rientrano nella categoria di ” repressione” le forme tradizionali e patriarcali di civiltà, i fascismi storici ( di default), la civiltà tecnologica industriale post-fascista, non è difficile arrivare alla conclusione che per lui scrivere una storia della civiltà equivalga a scrivere più o meno una storia della repressione.
Si può dire che la critica del Marcuse alla civiltà tecnologica contenga la verifica delle previsioni catastrofiche dei tradizionalisti sulla modernità (di un Comte ma anche di un Guenon che identifica il principio della quantità a fondamento del Kali yuga della civiltà tecnologica).
Al tempo stesso il sapore di critica romantica reazionaria che molte pagine di ” Uomo a una sola dimensione” rivestono ha un effetto” spaventapasseri” verso le teorie che fanno rifluire il marxismo nel sociologismo (“marxismo oggettivato”).
Infatti , a giudizio dell’ autore di “Ragione e Rivoluzione” la dialettica storica non può più essere permeata dal primato dell’ oggetto, necessariamente deve entrare in gioco un fattore soggettivo- vitalistico-volontaristico. Ne deriva che la rivoluzione non è più determinata da una necessità storica interna, dallo scoppio di contraddizioni interne al capitalismo, la rivoluzione intesa in modo deterministico confluisce necessariamente nella civiltà tecnologica che spegne la molla rivoluzionaria stessa.
Allora, dato che la rivoluzione non è determinata da un principio interno alla storia, sarà determinata dall’ esterno, si tradurrà in utopia astorica, in volontaristica lotta per la disinibizione degli istinti vitali.
Importa sottolineare due conseguenze: innanzitutto l’irrazionalizzazione del concetto di rivoluzione, che peraltro ora non tematizza tanto una battaglia per conquiste sociali in ambito lavorativo, ma piuttosto una rivolta tellurica per la disinibizione degli istinti, che investa tutte le classi sociali; il carattere antimorale di questa rivoluzione, la differenza dalle “rivoluzioni” tradizionali che, avendo a proprio fondo un carattere sacrale, hanno saputo rintracciare un legame con la tradizione
Sul trapasso dai “totalitarismi sacrali” del primo 900′ a quelli non sacri del secondo dopoguerra (fondamento di cui è l'”irreligione naturale”) hanno dedicato una interessante riflessione Augusto del Noce e in tempi molto più recenti un giovane cultore campano di geopolitica e filosofia politica, Orazio Maria Gnerre (5).
Per Marcuse la rivoluzione segna il passaggio dall’ “uomo tecnologico” all’ “homo ludens”( riprende qui un motivo presente anche in un filosofo romantico, Schiller, il cui pensiero viene però dissociato da quegli aspetti per i quali aveva potuto proseguire nell’ idealismo ottocentesco).
Del resto, Marcuse non può arrestarsi a una critica morale dell’ alienazione della civiltà tecnologica, altrimenti la scelta obbligata sarebbe l’apertura alla metafisica classica e all’ idea tradizionale di Logos, oppure l’ ancora di un pessimismo di matrice schopenaueriana (esito dell’ ultimo pensiero di Horkheimer).
Ma per l’ autore di ” Ragione e Rivoluzione” il relativismo etico non si può mettere in discussione e la metafisica, fondata su un Logos assoluto e valori permanenti, è legittimazione di un ordine autocratico e repressivo, non menodi quello che caratterizza la civiltà tecnologica.
Come tramite il trapasso dalla civiltà tecnologica a quella ludica (cioè caratterizzata dalla disinibizione degli istinti vitali primitivi) sia possibile superare l’ alienazione non è dato di vedere; nella civiltà che bandisce ogni “coercizione” e “divieto morale” prospettata dal Marcuse ,basata sul radicale relativismo etico, l’ alienazione semmai sarà moltiplicata all’ ennesima potenza, l’ alienazione intesa come sradicamento, ” emancipazone” dalle radici della propria terra e dalla tradizione, estraneità rispetto al Logos Trascendente.
Una volta che il concetto di libertà venga tout court dissociato da ogni vestigia di autorità, una volta che sia realizzato un assetto liberal- libertario allo stato puro, non sarà possibile opporre barriera alcuna alla tirannide di gruppi oligarchici, che abbiano avuto successo rispetto ad altri, come ha osservato Georges Bernanos con parole di imperitura memoria e bellezza.
Marcuse dunque prospetta una rivoluzione antimorale, orientata a suo dire, a una conciliazione tra ragione e istinti. Rifiuta una posizione pessimistica, come quella dell’ ultimo Horkheimer, in quanto la considera permeata da cupo risentimento, una contraddizione rispetto a quella ludica e “gioiosa” civiltà basata sulla ” disinibizione” in cui, contradditoriamente e illusoriamente, ravvisa l’ uscita dallo stato di alienazione.
Del resto, il pessimismo, come genialmente ha intuito Del Noce, rappresenta la prima forma dell’ oltrepassamento dell’ ateismo negativo; che disciude quindi l’apertura al pensiero religioso e alla trascendenza.
La prospettiva di Marcuse è sintesi o miscela di motivi di Freud, Marx ed Heidegger.
Peraltro Marcuse era stato allievo dell’ autore di Essere e Tempo presso l’ Università di Friburgo a partire dal 1932.
Condivise con Heidegger la critica dell’ orizzonte unidimensionale determinato dalla civiltà tecnoratica, condivise anche la tesi heideggeriana che non ci sia soluzione di continuità tra stadio matafisico e stadio scientifico, ma preferi concentrarsi sulla repressione degli istinti, anziché sull’ ” oblio dell’ essere”.
Tuttavia, prese le distanze dall’ heideggeriana analitica dell’ esser-ci; considerandola fondata su principi astratti, e incline al pessimismo e al risentimento cupo, per la costante attenzione riposta sulle strutture dell’ ” angoscia” e dell’ ” essere-per-la morte.
Marcuse invece era interessato non gia ad una analitica dell’ Esser-ci, bensì a una critica sociale (7)
Ben differente dunque è lo sbocco della teoria critica in Marcuse e in Horkheimer, quasi antipoidale.
Marcuse approda a una rivoluzione antipuritana che in parte è una volgarizzazione delle tesi dello psicologo marx-freudiano W. Reich, in parte riprende l’ utopia foureriana di una società, basata sul collante del piacere universale.
Nell’ opera matura di Horkheimer( che era succeduto nel gennaio 1931 a Grunberg alla presidenza dell’Istituto di critica sociale) la teoria critica sociale marxista coesiste con motivi dell’ etica dello Schopenhuer e in verità il legame Schopenhauer- Horkheimer sarebbe meritevole di ulteriori approfondimenti (8).
Se è vero che l’ epilogo del percorso horkheimeriano è l’ abbandono del marxismo ( lo scacco della “dialettica dell’ illuminismo trascina con se quello del marxismo stesso e comporta l’ impossibilità di proseguirlo) , non è da escludere che egli abbia incontrato Schopenauer proprio a partire da Marx, in un punto preciso della critica marxista alla filosofia della storia hegeliana: “non si possono collocare le vittime della storia in un piano di salvezza metafisica”,”la via della storia passa attraverso il dolore e la miseria degli individui”(9). Analoga critica aveva mosso il filosofo di Danzica a quella precisa direttrice della filosofia della storia hegeliana che sacrifica la tragedia individuale in nome di una teleologia immanente.
Se per l’autore di “Il mondo come Volontà e Rappresentazione” l’affrancamento doveva avvenire dal dolore al fine di conseguire la “noluntas”, per il rettore dell’ Istituto di critica sociale l’ individuo doveva affrancarsi dal “dominio”, esercitato dalle strutture spersonalizzanti e atomizzanti della società di massa, che al singolo” e ai suoi diritti ha sostituito il ” collettivo”( inteso ora come lo stato etico hegeliano, ora come il partito, ora come la ” materia sociale” di Marx).
Eppure l'”ascesi” dell’ Horkheimer (uso questo termine con molta cautela e cum granu salis) non è prodotto di un percorso riflessivo,come osserva l’ Arrigo nel suo studio” Max Horkheimer e l’ ascesi schopenaueriana”, bensì di un salto qualitativo, che proietta il singolo fuori dall’ orizzonte del dominio ( emancipazone dalla volontà di dominare e dall’ alienazione di essere dominato)
Resta pur sempre il fatto che l’ Horkheimer non sa indicare percorso preciso e contenuti positivi e per lo più procede con formulazioni apofantiche, cioè negative.” Dolore” e ” dominio” si collocano dunque in un rapporto simmetrico.
Ma qual’ è stato l’ esito, una volta che il Sessantotto pensiero si è tradotto in prassi, deponendo quel retaggio ( inconsapevole oppure malsopportato) di critica romantica-reazionaria che costituiva l’ involucro della concezione del Marcuse?
Del resto, Horkheimer aveva bensì costituito all’ inizio un punto di riferimento per i contestatori (10), ma fu presto piantato in asso; il cupo pessimismo horkheimeriano (denunciato come atteggiamento reazionario “piccolo borghese”) e soprattutto l’ antiedonismo dell’ Horkheimer non andavano più a genio all'”intelligenza” della contestazione.
L’ esito non poteva essere che l’ acquisizione pura e semplice dell’ idea strumentale di verità; criterio di giudizio ora non più la distinzione tra “vero” ( che in termini di metafisica classica è coestensibile all’ idea di ” buono e “falso”), ma primeggiava nella propaganda della contestazione l’ “originale”, l’ “eretico”, il “surreale”, l’ ” antiaccademico”, l’ “anticonforme”.
L’ uomo borghese realizzato allo stato puro; che non si sente accomunato al vicino dalla presenza del Logos, il principio in ragione del quale ciascuno ha diritto di aspettarsi amore e carità.
In forza dell’ idea strumentale, ciascuno sarà portato a trattare il prossimo come strumento/ ostacolo per la realizzazione del benessere personale.
Non si insistera’ mai abbastanza su di una contraddizione insita nel pensiero del Marcuse: la pretesa di fondare la società sul valore”universale” del piacere o della ” felicità” . Così parlò l’ autore di ” Ragione e Rivoluzione”:”senza la libertà e la felicità nei rapporti sociali degli uomini anche il più grande aumento della produzione e l’ abolizione della proprietà individuale dei mezzi di produzione rimangono legati all’ antica iniquità (11).
La felicità universale, dunque, un valore ancora più importante del socialismo reale; l’ aporia nella visione del Marcuse consiste nel fatto che il piacere non può costituire per se stesso un valore, ma è un mezzo o una condizione per poter ottemperare a dei valori… inoltre “piacere comunitario” o ” piacere universale” è una contraddizione ad adjectum, dal momento che il piacere per definizione è soggettivo.
Traducendosi in prassi, quel calderone ideologico confusionario del Sessantotto pensiero ( n cui coesistono in maniera disordinata K.Marx, M. Stirner, Mao Tse Tung, Marcuse, Nietzsche e l’ erotismo del Freud maturo che ha abbandonato l’ autoritarismo di ” Disagio della civiltà”) la rivoluzione depone il moralismo che le è essenziale (che corrisponde al momento messianico-escatologico) per tradursi in rivolta” senza causa”, non orientata teleologicamente, permeata dal puro anelito del ” distruggere per distruggere”.
Rinviando in questo modo all’ anarco- libertarismo furioso di Stirner ben più che a Marx, anzi oltrepassando il marxismo stesso; confermando perfettamente la previsione di Horkheimer secondo cui il “materialismo storico” non dischiude nessuna visione positiva, avendo come esito il dominio pantecnocratico all’ ennesima potenza.
Si potrebbe comprovare con buoni argomenti (anche se l’ argomento meriterebbe analisi più approfondite) che la contestazione del Sessantotto segna lo spartiacque tra l’era dei ” totalitarismi sacrali” del primo Novecento e il ” totalitarismo non sacrale” della dissoluzione che ha interessato la nazione italiana a partire dagli anni settanta del dopoguerra. Corrisponde alla fase di assestamento di una neoborghesia “antipuritana” e antitradizionalista ( su questo punto concordano anche paradossalmente Pier Paolo Pasolini, Augusto del Noce, Marcello Veneziani) che ha combattuto proprio i valori che potevano tutelare le libertà personali dal totalitarismo tecnocratico: Patria, Famiglia, Religione positiva, integrità del costume.
Nondimeno, una volta che sia venuta meno la materia delle negazioni, questo totalitarismo liberal dovrà necessariamente arenarsi sul binario morto di una “dissoluzione conservatrice”, sub specie ipocrita delle dichiarazioni e dei bollettini di progresso.
Note
(1) La bibliografia contemporanea sul Sessantotto-pensiero e sulla Scuola di Francoforte è naturalmente sterminata; sul Sessantotto vorrei invitare alla lettura di ” Rovesciare il Sessantotto”, Mondadori, Milano,2008 di Marcello Veneziani; opera che ben mette in luce come, dopo quarantanni, i proclami all’ insegna della dissoluzione dell’ antimoralismo del 68′ abbiano trionfato e si siano istituzionalizzati e cristallizzati in un ” politically correct” laicista cui il giornalismo, la pubblicistica, la didattica devono rigorosamente attenersi, pena andare incontro alla censura e all’ emarginazione. ” La Sconfitta delle idee”, Laterza, Milano, 2003 è un’ opera che può essere letta per integrare e approfondire i guadagni dell’ opera ” Rovesciate il 68′”. La crisi delle idee della classe intellettuale italiana è l’ epilogo della ” rivoluzione antipuritana sessantottina”. Ha trionfato l’ idea strumentale di ” verità”. Primato dell’ affarismo e del business, che hanno finito per deteriorare la cultura e l’ idea stessa di politica come partecipazione comunitaria e condivisione di valori. Segnalerei anche dello stesso autore l’ opera” Comunitari o liberal?( Laterza, Milano,2006).
Per quanto riguarda la il pensiero della Scuola di Francoforte rimando all’ opera di Gian Enrico Rusconi e Albert Schmidt “La scuola di Francoforte.Origini e significato attuale, De Donato, Bari, 1972, pregevole per carattere sistematico e ricca di apporti nel campo dell’ epistemologia, dalla psicologia e della filosofia della storia.
(2) cfr. Augusto del Noce, “L’età della secolarizzazione”, Giuffrè, Milano, 1970, pp.32-33.”Passando dal maestro Mao al maestro Marcuse ( autori che del resto non si possono conciliare) i rivoluzionari del movimento studentesco arrivano alla contraddizione pura.
Infatti, non è possibile conciliare l’ antipuritanesimo di Marcuse con il nazionalismo rivoluzionario di Mao ( a rigore, non si può essere maoisti senza essere al contempo cinese).il maoismo necessariamente rintraccia un legame con la tradizione prerivoluzionaria.
(3) Augusto del Noce,” L’ età della secolarizzazione, cit,, .33
(4) Il neopositivismo del secondo dopoguerra ha caratteri differenti da quello classico di Comte e affini che conservava, pur in forma secolarizzata, residui delle religioni positive; invece la civiltà tecnologica del secondo Novecento spegne, senza bisogno di persecuzione cruenta, la dimensione religiosa stessa
(5) Cfr.Augusto del Noce, l’età della secolarizzazione, cit, pp.111-135 e una riflessione vi viene dedicata anche da Orazio Maria Gnerre nell’ opera” Prima che il mondo fosse. Alle origini del decisionismo novecentesco, Mimesis, Milano, 2008, p.24
(6) Cfr Marcello Veneziani, Comunitari o liberal?, Laterza, Milano, 1999-2006, p.54 il cosmopolitismo come negazione dell’idea di comunità, quale luogo di condivisione di radici e identità culturale, é antagonista del Comunitarismo
(7) La ragione del raffreddamento dei rapporti tra Heidegger e Marcuse (che ne aveva apprezzato un tempo le lezioni universitarie) non fu soltanto una controversia di natura teoretica, ma anche il fatto che l’ allievo non aveva perdonato al maestro d non aver preso ufficialmente le distanze dal regime nazista; in verità, Heidegger ebbe un rapporto controverso con il regime hitleriano e confessò che gli sviluppi totalitari del regime stesso non avevano nessuna relazione con la sua ontologia dell’ Essere; ma Marcuse non si accontentò della giustificazione fornitagli dall’ autore di Essere e Tempo
(8) Del rapporto tra la filosofia di Schopenauer e quella dell’ Horkheimer si sono occupati: L.Ceppa con un saggio dal titolo” L’ influenza di Schopenauer sull’ ultimo Horkheimer”, pubblicato da A.Marini nella sua opera” Schopenauer ieri e oggi”, Il Melangolo, Genova,1991; G. Cosi in un articolo dal titolo” Religiosità e teoria critica in Horkheimer” pubblicato in” Rivista di filosofia neoscolastica,72(1980), pp.452-474; più recentemente Giacomo Maria Arrigo in un articolo dal titolo “Max Horkheimer e l’ ascesa schopenaueriana” sul sito “Filosofia e Nuovi Sentieri”.
9) Horkheimer rifiuta, al pari di Schopenauer, una metafisica dogmatica che contempli nella storia una teleologia immanente, perché questa direttrice fa perdere di vista il fatto che” la storia passa attraverso la miseria e la sofferenza degli individui”. Nondimeno, il primo Horkheimer, ancora fiducioso nella “dialettica dell’illuminismo”, non mette in discussione che la storia abbia realizzato una società migliore rispetto a quelle del passato. Cfr.M.Horkheimer, “Inizi della filosofia borghese della storia”, Stoccarda,1930,, p.93
(10)Cfr.Gian Enrico Rusconi- Alfred Schmidt,” La scuola di Francoforte”, cit., p.42. La solidarietà cui gli uomini sono chiamati per emanciparsi dal condizionamento storico del dominio richiama abbastanza il concetto di ” compassione”, centrale nell’ etica dello Schopenhuer; com-patire ovvero patire insieme
(11) Cfr.H.Marcuse, ” Filosofia e Storia critica”,in ZFS,VI,1937,3,p.632