di Luca Fumagalli
Inizia con questo articolo una breve biografia in quattro parti del cardinale inglese Henry Edward Manning (1808-1892), l’amico-nemico di J. H. Newman, famoso per le posizioni dottrinali intransigenti e per essere stato con le sue opere a sostegno dei più poveri e degli emarginati uno degli ispiratori dell’enciclica Rerum Novarum di Leone XIII.
Prima di iniziare, per chi fosse interessato ad approfondire la figura di Manning e quella di molti altri intellettuali del cattolicesimo britannico si segnala l’uscita del saggio “Dio strabenedica gli inglesi. Note per una storia della letteratura cattolica britannica tra XIX e XX secolo”. Link all’acquisto (il libro, attualmente in ristampa, tornerà disponibile tra una paio di settimane): http://www.edizioniradiospada.com/component/virtuemart/ecommerce/narrativa/dio-strabenedica-gli-inglesi-note-per-una-storia-della-letteratura-cattolica-britannica-tra-xix-e-xx-secolo-308-detail.html?Itemid=0
«Manning mi sembrava (e ancora mi sembra) di gran lunga l’inglese migliore del suo tempo»
(H. Belloc, Cruise of the Nona, 1925)
1. La “leggenda nera”
Che i cattolici britannici ammirassero il carisma e le personalità di Henry Edward Manning lo dimostra la folla enorme che si riversò per le strade di Londra nel 1892 in occasione della sua morte e del funerale. Nonostante Manning fosse scomparso il 14 gennaio, lo stesso giorno del principe Alberto Vittorio, il dolore del popolo pareva tutto per il Cardinale: decine di migliaia di persone, perlopiù irlandesi ma anche inglesi di ogni estrazione sociale e credo religioso, vollero portare l’estremo saluto alla sua salma, consapevoli di aver perso una delle più grandi personalità dell’epoca (persino Oscar Wilde, durante l’università, conservava nelle sue stanze una fotografia del porporato). Il fatto è ancora più sorprendente se si pensa che Manning, Arcivescovo di Westminster e Primate della Chiesa cattolica in Inghilterra, incarnava agli occhi dei protestanti la quintessenza di quel “papismo” e di quel “clericalismo” che tanto disprezzavano. Secondo Gladstone la sua morte fu un colpo molto più duro per i cattolici rispetto a quella di J. H. Newman, avvenuta solo un anno e mezzo prima: «La cosa mi ha sorpreso». Se G. K. Chesterton ha lasciato una descrizione commossa di quando, da giovane, fu folgorato dalla visione di Manning, e il poeta Francis Thompson volle dedicargli un’ode funebre, Hilaire Belloc ne fu uno zelante figlio spirituale, e pure il controverso Baron Corvo nel suo Chronicles of the House of Borgia (1901) descrisse quella del Cardinale come una «vita di santa abnegazione, di umiltà intensissima, di mortificazione ascetica, di lavoro incessante per il bene spirituale e temporale di tutti gli uomini, senza distinzione di Fede».
Nessuno pareva quindi in grado di minacciare una reputazione così solida. Anche se non tutti erano disposti a considerare Manning un santo, intorno alla sua figura si concentrava l’affetto della maggior parte dei fedeli britannici. Peccato, però, che nel 1895 il giornalista Edmund Sheridan Purcell diede alle stampe una biografia in due volumi, Life of Cardinal Manning, in cui il cardinale era ritratto come un ecclesiastico consumato dall’ambizione, privo di scrupoli, disposto a tutto per ottenere ciò che voleva. Purcell non aveva una grande simpatia per Manning e si sentiva più affine a Newman, tanto che all’«illustre oratoriano» assegnò il ruolo di vero eroe del cattolicesimo inglese, costantemente impegnato a mandare in fumo i loschi piani dell’Arcivescovo di Westminster. Malgrado Life of Cardinal Manning fosse un lavoro raffazzonato, pieno di trascrizioni erronee e strutturalmente debole, aveva il pregio di essere una lettura estremamente godibile, tanto che in poco tempo divenne un best-seller (con malcelata soddisfazione di quell’establishment britannico contro la cui ipocrisia e indifferenza Manning si era più volte scagliato).
A rincarare la dose ci pensò nel 1918 Lytton Strachey che nel suo Eminent Victorians incluse una breve vita di Manning, frutto di un taglia e cuci delle parti più interessanti del lavoro di Purcell, insaporita con l’acidità demitizzante e antireligiosa del Bloomsbury Group. Tra indiscrezioni e supposizioni più o meno fantasiose, anche il libro di Strachey fu un successo, contribuendo a radicare definitivamente nell’immaginario collettivo lo stereotipo di un Manning quale ecclesiastico carrierista, spregiudicato e autoritario (un simile individuo è protagonista pure del romanzo di Robert Player Let’s Talk of Graves, of Worms, and Epitaphs, del 1975, maliziosamente dedicato proprio alla memoria del Cardinale inglese). Pure Arnold Lunn, prima di convertirsi al cattolicesimo, pubblicò nel 1924 un libro, Roman Converts, in cui non si faceva alcuno scrupolo a reiterare la “leggenda nera” su Manning.
D’altronde la reazione da parte cattolica fu inizialmente timida e poco incisiva: al pari di Purcell quasi tutti gli intellettuali inglesi legati a Roma avevano infatti scarsa simpatia per le posizioni intransigenti di Manning, preferendo piuttosto la moderazione di un Newman. Ecco perché oltre a Cardinal Manning: His Life and Labours (1921), di Shane Leslie, Cardinal Manning: A Biography (1985), di Robert Gray, e The Convert Cardinals: Newman and Manning (1993), di David Newsome, non sono molti i libri scritti allo scopo di ristabilire la verità a proposito della vita e delle opere di un Cardinale che seguita purtroppo a essere vittima di un giudizio scandalosamente distorto.
2. La formazione
Nato il 15 luglio 1808 a Copped Hall, una splendida magione di Totteridge – oggi nella cintura periferica di Londra – Henry Edward Manning era l’ultimo di otto figli. Il padre, William Manning, non solo era a capo di una fortunata impresa commerciale, ma sedeva anche tra i banchi del parlamento come deputato conservatore. Poco dopo la venuta al mondo dell’ultimogenito, frutto del secondo matrimonio con Mary Hunter, la sua carriera politica raggiunse l’apice quando, per un paio d’anni, tra il 1812 e il 1813, ricoprì il prestigioso incarico di governatore della Banca d’Inghilterra. Dal punto di vista religioso i Manning erano evangelici e William era uno degli uomini più in vista di quella upper-class che spendeva denaro ed energie per sostenere la causa della “Low Church”.
Nel 1815 la famiglia si trasferì a Sundridge, nel Kent, e nel 1822 il giovane Henry venne iscritto ad Harrow, una delle scuole più prestigiose del Paese. Di indole schiva e solitaria, non ottenne risultati rimarchevoli, se non nelle attività sportive, ma i suoi voti furono comunque abbastanza buoni per valergli, nel 1827, l’ammissione al Balliol College di Oxford.
Henry, poco incline all’ascetismo, alternava volentieri lo studio al divertimento e allo sport, trascorrendo ore in sella al cavallo, giocando a cricket o prendendo a pugni il sacco con i guantoni da boxe. Nonostante fosse un tipo solare, apprezzato sia dai compagni che dalle donne – pare fosse uno degli studenti più belli di Oxford – l’unica vera amicizia che il ragazzo strinse negli anni dell’università fu quella con il futuro primo ministro William Gladstone, destinata, pur tra alti e bassi, a durare per tutta la vita.
Nel 1829, in virtù delle sue apprezzatissime qualità oratorie, Henry venne eletto presidente della Union Debating Society. Rifiutò la nomina, preferendo prepararsi al meglio per gli esami finali, che affrontò ottenendo il massimo dei voti. In quanto figlio minore di un noto esponente del laicato anglicano, il giovane Manning sapeva di essere quasi di certo destinato a una carriera in ambito ecclesiastico, eppure, almeno per qualche tempo, fu seriamente tentato dalla politica. Nel 1831, però, la bancarotta del padre – che sarebbe scomparso quattro anni dopo – troncò sul nascere ogni sua velleità: «Chissà», scrive Robert Gray,«come sarebbe stata diversa l’Età Vittoriana se Gladstone avesse perseverato nella sua iniziale ambizione di diventare sacerdote e Manning fosse stato eletto in parlamento».
A questo punto, con l’azienda familiare in liquidazione, Henry fu lasciato libero di scegliere la propria strada. La famiglia vantava ancora importanti legami nella City e venne pure presa in considerazione l’ipotesi di una laurea in legge. Infine, dopo lunga e sofferta meditazione, il giovane si risolse definitivamente a prendere gli ordini anglicani: al suo tutore confidò che maturò la decisione mentre si trovava in una libreria, intento a sfogliare una raccolta dei sermoni di Wesley.
3. Marito e Arcidiacono
Al Merton College Manning ricevette un’educazione teologica confusa ed eterogenea, costretto a leggere «acri di autori anglicani» che mostravano più che altro l’incertezza dottrinale che regnava nella Chiesa d’Inghilterra. A questo periodo, data la vicinanza tra il Merton e l’Oriel, risale anche l’inizio dell’amicizia con John Henry Newman.
Nel gennaio del 1833, dopo l’ordinazione al diaconato, Manning venne mandato ad Upwalden, in Sussex, ad assistere John Sargent, già Rettore di Lavington e Graffham. In primavera si fidanzò con la figlia di quest’ultimo, Caroline, e quando il reverendo morì improvvisamente a maggio, la vedova fece di tutto affinché Henry potesse ereditarne l’incarico: fu così che il 9 giugno venne ordinato sacerdote dal Vescovo Maltby di Chichester, succedendo a Sargent come nuovo Rettore di Lavington. Una manciata di mesi più tardi, il 7 novembre, si sposò con Caroline.
Il loro felice matrimonio durò fino alla prematura scomparsa della ragazza, avvenuta il 24 luglio 1837 a causa della tubercolosi. Manning, che mantenne fino alla fine dei suoi giorni il più stretto riserbo su Caroline, volle dedicarle come ultimo omaggio una vetrata della cattedrale di Chichester. Fortunatamente non ha più alcun seguito l’illazione di Strachey secondo il quale il futuro cardinale col tempo arrivò a salutare la morte della moglie come una provvidenziale liberazione da un fardello che gli avrebbe impedito l’accesso al sacerdozio cattolico.
Il lavoro a Lavington mostrò immediatamente a Manning i limiti dell’impostazione evangelica, che dava eccessivo risalto all’individuo e alla sue emozioni. Questo fatto, in aggiunta alla pubblicazione del primo Tracts for the Times e alla nascita del Movimento di Oxford, lo spinse poco alla volta verso l’anglo-cattolicesimo di Newman e sodali. Manning condivideva il fervore con cui l’amico rivendicava per l’anglicanesimo un’autentica successione apostolica e il suo disprezzo per quelle idee liberali che si stavano diffondendo a macchia d’olio, permeando di relativismo e di caos morale la stessa Chiesa d’Inghilterra. Essendo lontano da Oxford, il Rettore di Lavington non fu mai una figura centrale del Movimento, limitandosi a sbrigare dei lavori di traduzione per Newman; ciononostante, oltre ad approfondire il pensiero cristiano dei primi secoli e a riscoprire l’importanza della tradizione per una corretta interpretazione delle Sacre Scritture, fece di tutto per diffondere le idee anglo-cattoliche nella sua parrocchia e in quelle vicine.
Ricordato per la profonda spiritualità e le sue meravigliose prediche, Manning ristabilì a Lavington la celebrazione liturgica quotidiana, visitava di frequente le case dei parrocchiani e non era raro vederlo passeggiare per il paese vestito in abito talare, a rimarcare la dignità del sacerdote. Inoltre si impegnò parecchio anche in campo educativo, ribadendo più volte, pubblicamente, che solamente alla Chiesa anglicana spettava il diritto di gestire il sistema scolastico del Paese (un’educazione senza religione gli sembrava una contraddizione in termini).
Nel 1938 compì il primo dei suoi numerosi viaggi a Roma. Ebbe occasione di incontrare Nicholas Patrick Wiseman, allora rettore del Collegio Inglese, ma non fu particolarmente colpito né dalla città né dai fasti del cattolicesimo. Se ne tornò a casa solamente col desiderio di contribuire al Colonial Bishoprics Fund per creare nuove diocesi anglicane nel resto del mondo.
Due anni più tardi Manning venne nominato Arcidiacono di Chichester per aiutare il Vescovo Shuttleworth nella gestione del clero diocesano e per supervisionare lo stato degli edifici ecclesiastici. Da allora prese l’abitudine di pubblicare annualmente una lettera aperta, denominata “Charge”, in cui metteva nero su bianco le sue riflessioni sullo stato della Chiesa inglese. I testi, brillanti e ben curati, iniziarono a circolare rapidamente facendogli guadagnare un numero crescente di estimatori in tutto il Paese.
Dal punto di vista teologico Manning fu debitore di Newman e del Movimento di Oxford, ma da nessuno, se non dal suo cuore, imparò la compassione per gli ultimi e gli emarginati: «La sua lotta contro il mondo», nota ancora Gray, «non fu condotta, come quella di Newman, a una distanza confortevole dalle sofferenze che il mondo stesso causava». Spirito troppo pratico ed empatico per ignorare il problema della povertà dilagante – lo ricorda anche Evelyn Waugh nella sua biografia di mons. Ronald Knox – il nuovo Arcidiacono diede il via a varie opere di carità, facendo della questione sociale uno dei suoi campi di battaglia prediletti.
Non per questo ignorava le polemiche teologiche che all’epoca stavano attraversando il mondo anglicano sul problema del rapporto tra Stato e Chiesa nazionale, le medesime polemiche che avrebbero portato, nel 1843, alla pubblicazione dell’ultimo Tract di Newman e all’allontanamento di quest’ultimo da Oxford (sebbene non ne condividesse le scelte, Manning andò spesso a visitarlo nel suo ritiro a Littlemore, convinto che le divergenze d’opinione non dovessero mai ostacolare una sincera amicizia). Conformemente al suo spirito pugnace, l’Arcidiacono entrò comunque a gamba tesa nel dibattito con un grosso tomo, The Unity of the Church (1842), dedicato a Gladstone. Il libro, un prodotto decisamente mediocre, rifletteva la confusione dottrinale dell’autore: se gli argomenti erano tutti contro l’anglicanesimo e, anzi, sembravano dare ragione alla Chiesa cattolica, le conclusioni erano invece misteriosamente a suo favore…
La vita di Manning prosegue domenica prossima con la Seconda Parte, intitolata La conversione.