Il 13 aprile 1947 Pio XII officiava la beatificazione del Contardo Ferrini (Milano, 4 aprile 1859 – Suna, 17 ottobre 1902), giurista e membro del Terz’Ordine di san Francesco. Il giorno dopo ne faceva l’elogio nel seguente discorso.
DISCORSO DI SUA SANTITÀ PIO XII
AI FEDELI CONVENUTI A ROMA
IN OCCASIONE DELLA BEATIFICAZIONE DI
CONTARDO FERRINI
Lunedì, 14 aprile 1947
Con singolare gradimento vi salutiamo, illustri Professori e diletti figli, che siete convenuti in questa eterna Città, madre del diritto, per venerare il novello Beato Contardo Ferrini, decoro delle Università italiane e specchio di vita cristiana, apparso a risplendere, come fulgido esempio di scienza e di virtù, negli Atenei del sapere. Molto opportuna, dunque, è stata l’opera della benemerita e a Noi carissima Università Cattolica del Sacro Cuore in Milano nel farsi promotrice di questa causa di Beatificazione, perché scienza e fede resero insigne il nostro Contardo, quella scienza che non osteggia la fede, ma della quale egli si fece un gradino per elevarsi più in alto verso Dio e la religione dei suoi padri, abbracciando, come in una sintesi della sua vita, la scienza umana e la scienza religiosa, per poggiare infine verso un’altra scienza sovreminente, la scienza della carità di Cristo: «scire etiam supereminentem scientiae caritatem Christi» [1]. Scienza umana, scienza religiosa e scienza della carità di Cristo: ecco i gradi del genio, delle virtù e della santità di Contardo. Ma la santità ha anch’essa un maestro, quel Maestro divino, che già disse ai suoi Apostoli «magister vester unus est Christus» [2]; e infatti alla scuola di Cristo Contardo apprese il valore del mondo e dell’anima, e pose i fondamenti di quell’intimo edificio spirituale, che andò costruendo negli anni della sua breve ma operosissima vita.
Egli aveva compreso che l’uomo è un «ens finitum, quod tendit ad infinitum»[3]; che ha un’anima immortale, la quale varca l’abisso che divide il mondo materiale dallo spirituale e, separandosi dal corpo, vola a posarsi sulla sponda dell’eternità davanti allo sguardo e al giudizio di Dio. A quell’alta meta egli tenne sempre rivolto e fisso l’occhio e il pensiero durante il suo terreno cammino, nutrendosi lungo la via con l’alimento del sapere e della scienza umana, storica e giuridica, ma facendo cibo vitale e sostanziale del suo spirito la pietà e le virtù attinte dalla rivelazione divina, per immedesimarsi con Cristo nel fuoco della sua carità.
Formazione scientifica del nuovo Beato.
«Cor sapientis quaerit doctrinam»: La mente assennata cerca il sapere [4]. Questo detto della Sacra Scrittura brilla come stella polare sulla vita e sull’opera del Ferrini, giovane studente delle scienze giuridiche. Appena egli ebbe terminato con ottimo successo gli studi secondari, si dedicò con assidua cura alla scienza propriamente detta. In una età, nella quale altri non di rado cominciano col darsi alla spensieratezza goliardica e agli eccessi della libertà universitaria, e così troppo spesso sciupano i loro più begli anni e le loro migliori forze, il Ferrini si applicò subito con raro fervore allo studio. Ben presto si manifestò in lui una spiccata tendenza per la ricerca scientifica, anzi in un campo che può sembrare, a chi non ne conosce il pregio, arido, lontano dal mondo e quasi non giovanile, e che allo studente, il quale deve contare con un sollecito avanzamento nella vita pratica, non promette che scarsi vantaggi esteriori: vogliamo dire il campo della indagine delle fonti e della storia del diritto romano. Ma il Ferrini portava con sé in questa impresa un ricco patrimonio: non solo, cioè, una profonda conoscenza delle lingue antiche e una buona padronanza dei più importanti idiomi moderni, ma anche un puro ed alto idealismo, che gli svelava e gli additava nel diritto romano un riflesso di quella legge naturale, che dallo stesso pensiero pagano fu considerata come qualche cosa di eterno e di divino, secondo la solenne attestazione di Cicerone: «Hanc igitur video sapientissimorum fuisse sententiam, legem neque hominum ingeniis excogitatam nec scitum aliquod esse populorum, sed aeternum quiddam, quod universum mundum regeret imperandi prohibendique sapientia» [5].
Una magnifica laurea all’Università di Pavia, madre gloriosa di numerosi giuristi, con una tesi sulla utilità che la storia del diritto criminale può trarre dai poemi di Omero e di Esiodo, formò il primo coronamento del suo lavoro. Con questo il giovane Dottore si acquistò anche una borsa di studio in una Università estera. Il sentimento poi e l’interesse, da cui era animato per la sua disciplina prediletta, lo indussero a far cadere la sua scelta sopra la Università di Berlino.
Pieno quindi il cuore di speranze, ma pur non senza trepide ansietà, il Ferrini nell’autunno del 1880 varcò le Alpi e si diresse verso la Germania, nell’allora splendida metropoli dell’Impero degli Hohenzollern, che, dopo la vittoria conseguita dieci anni prima, si era venuto elevando a Potenza mondiale; in Berlino che era anche il centro del protestantesimo germanico e della lotta che il Cancelliere v. Bismarck aveva mosso contro la Chiesa. Chi potrà dire quali prove quel giovane, fervido amante della sua fede avita e risoluto a conservare intatto il giglio della sua purezza, ebbe ad incontrare nel vortice di una città moderna e, nella sua grande maggioranza, non cattolica? Sappiamo però con certezza che egli, al termine dei suoi studi, tornò in patria consolidato e raffermato nella integrità della sua virtù virile, illuminato e rinvigorito nella fermezza della sua fede. Egli aveva potuto osservare coi suoi propri occhi la povertà spirituale di coloro che, fuori della vera Chiesa di Cristo, dovevano vivere senza il sostegno dei Sacramenti, privi del divino conforto della Ss.ma Eucaristia, «da quel convito di paradiso lontani e digiuni»[6]. Ma al tempo stesso aveva veduto da vicino, con tutto l’entusiasmo della sua anima giovanile, come una minoranza cattolica, nel turbine del Kulturkampf, poteva opporre con indomabile sicurezza di vittoria una eroica ed efficace resistenza, difendere non timida il Regno di Cristo e il suo Vicario in terra, tenersi stretta ed unita in fraterna concordia, e stabilire saldamente, non pavida di fronte a tutte le forze nemiche, una valida organizzazione delle proprie file. Con particolare fervore il suo cuore si sentiva attratto verso le grandi opere cattoliche di carità e di azione sociale, cui egli poté partecipare come membro attivo delle Conferenze di S. Vincenzo de’ Paoli. Tuttavia la sua precipua cura in Berlino era rivolta ai suoi studi di perfezionamento sotto la guida di quegli illustri maestri, che nel campo delle ricerche storiche e segnatamente storico-giuridiche, tenevano in quel tempo il primato.
Lo studio del diritto romano intorno al 1880
È cosa a voi ben nota, illustri e dotti ascoltatori, come, sul finire del secolo decimo ottavo, la scienza del diritto romano si era venuta orientando verso le concezioni della scuola del diritto naturale, per poi presto decadere verso la filosofia dell’illuminismo. Senza dubbio la sana dottrina del diritto di natura, quale era stata insegnata nel grembo della Chiesa dai rappresentanti della «philosophia perennis» e aveva raggiunto il suo apice nelle opere di un Tommaso d’Aquino e di un Suarez, avrebbe potuto avere una feconda efficacia anche sugli studi romanistici. Purtroppo però quella scuola era andata sempre più straniandosi dalle alte verità del pensiero cristiano e si era volta alle insostenibili massime degli enciclopedisti e dei filosofi illuministi. Chi potrebbe quindi meravigliarsi che essa non pervenisse a nulla di veramente e stabilmente proficuo? In tal guisa, dopo un breve e promettente impulso, quel movimento rapidamente declinò e si esaurì in infeconde controversie e in un malsano dommatismo giuridico.
Ben presto si manifestò la reazione. Già verso l’inizio del secolo decimo nono si era destata nella gioventù studiosa una forte aspirazione verso nuovi metodi e nuove forme. Distaccatasi dal freddo ed arido culto della ragione proclamato dalla filosofia dell’illuminismo, infiammata dall’entusiasmo nazionale, la giovane generazione colta si rifugiò con amore nella indagine della storia patria, specialmente della cultura medioevale, che con la sua poesia, col suo pensiero religioso, con le sue caratteristiche forme di vita e di diritto empiva in egual modo di soddisfazione e di gioia la mente e il cuore. Spuntò così l’età del romanticismo e con questo nacque anche un nuovo senso per la storia e la ricerca storica in ogni campo.
Cominciarono allora in Germania i geniali studi dei fratelli Grimm sull’antica lingua e letteratura tedesca e sulle antichità giuridiche dei popoli germanici; ebbe anche allora principio la grande opera «Monumenta Germaniae historica» destinata a riunire tutti i documenti della storia tedesca, comprese le raccolte delle leggi delle diverse stirpi germaniche; opera che rese preziosi servigi anche alla conoscenza della storia della Chiesa e del Papato nel Medioevo.
Così insigni lavori e progressi attuati nel campo delle fonti del diritto germanico esercitarono un potente impulso anche sugli studiosi del diritto romano, tanto più che dopo la celebre recezione del 1495 quest’ultimo costituiva la base dei diritto privato vigente in Germania. E fu di somma importanza che alla testa del nuovo movimento fosse un uomo di grande fama e sapere, il quale — al pari del Niebuhr negli studi e nelle ricerche sulla storia antica — era un autorevole cultore del diritto romano e al nuovo metodo storico diede una veste filosofica, per quanto non in tutto irreprensibile: Friedrich Karl von Savigny, considerato come il fondatore della « scuola storica » nella scienza giuridica moderna.
Su queste basi si sviluppò fra i romanisti in Germania una ricca e molteplice attività, che si può riassumere nei seguenti principali gruppi, dei quali occorre dare un brevissimo cenno per comprendere e quasi inquadrare l’opera e il contributo scientifico del nuovo Beato.
Il primo gruppo riguarda i lavori per le edizioni critiche delle fonti del diritto romano. Dopo che il Niebuhr nel 1816 ebbe scoperte e pubblicate le Institutiones di Gaio, tutta una serie di edizioni critiche venne alla luce, per le quali si resero, fra gli altri, particolarmente benemeriti un Theodor Mommsen, un Paul Krüger, un Otto Lenel, un Aemilius Seckel, un Wilhelm Studemund. Ma in più strette relazioni personali il Ferrini entrò con Alfred Pernice e Karl Eduard Zachariä von Lingenthal, investigatori e scrittori di avanguardia nel campo delle fonti del diritto romano-bizantino, i quali accolsero il giovane studente italiano con paterno affetto, lo curarono amorevolmente e lo incoraggiarono ed aiutarono a penetrare e approfondire quella vasta e difficile materia.
Il secondo gruppo concerne le esposizioni generali e le monografie sulla storia del diritto. Sommo fra tutti in questo campo primeggia il Savigny con la sua opera magistrale: «Geschichte des römischen Rechts im Mittelalter», cui seguirono numerosi altri dottissimi, quali lo stesso Mommsen, il Pauly, il Voigt, il Karlowa, il Krüger, il Conrat, il Wissowa; mentre alla estensione delle ricerche e delle trattazioni sui singoli punti contribuiva la lunga serie di Riviste, fra le quali celeberrima rimase la «Zeitschrift für geschichtliche Rechtswissenschaft», fondata nel 1815 dal Savigny stesso, e di cui la nuova «Zeitschrift der Savigny-Stiftung für Rechtsgeschichte», con le sue tre sezioni di diritto romano, germanico e canonico, è la continuazione.
Finalmente, valendosi di così ricco materiale storico, sorsero i grandi commenti del diritto romano: il «System des heutigen römischen Rechts» del Savigny; i commenti di un Glück, di un Bethmann-Hollweg, di un Puchta, di un Windsckeid, di un Dernburg, e le classiche opere del Mommsen, «Römisches Staatsrecht e Römisches Strafrecht». Quest’ultimo trattato venne alla luce quasi contemporaneamente con l’opera dello stesso nome del nostro Ferrini: «Diritto penale romano», la quale, a giudizio dei competenti e dello stesso Mommsen, non era, pur sotto diverso aspetto, di minor valore che quella del grande Maestro dell’antichità romana.
Il dotto, l’indagatore e il maestro
Tale era, descritto in rapidissimi tratti, il mondo scientifico, in mezzo al quale venne a trovarsi il nostro Beato, che, pieno di entusiasmo e di amore agli studi, dotato di mente acuta e di ferrea volontà, seppe non solo assorbire in sé e rendere fecondi i potenti impulsi al lavoro ricevuti dalla vita intellettuale in Germania, ma anche avanzare e crescere prontamente e sicuramente a maturità di perfetto indagatore e maestro. D’altra parte, le sue ferme convinzioni religiose e il suo spirito chiaroveggente lo preservarono da quelle opinioni ed esagerazioni, che fin dal principio cercarono di farsi largo fra i seguaci della scuola storica.
Già da tempo romanisti italiani di gran fama, come l’Alibrandi, il Serafini, lo Scialoia, vivamente deploravano che lo studio del diritto romano avesse perduto nella patria di ogni alta scienza giuridica in splendore e in potenza, e che il primato in tale campo fosse trasmigrato ad altri popoli. Nella giovane e forte anima del Ferrini ardeva la brama di lavorare instancabilmente fino al giorno che la figlia dimorante in terra straniera potesse essere degnamente e onoratamente ricondotta alla sua madre gloriosa. Quando egli nel 1882 fece ritorno in Italia, aveva raccolto in sé gli strumenti per così grandiosa opera, e se oggi nella scienza del diritto romano la patria di lui cammina di nuovo alla testa delle Nazioni, è merito, oltre che di altri insigni maestri, del nostro Beato.
Egli, che secondo la esortazione della Sacra Scrittura aveva cercato il sapere, adempiva anche l’altra parola dei Libri Santi: «Vir sapiens plebem suam erudit, et fructus sensus illius fideles sunt» [7], L’uomo sapiente istruisce il suo popolo, e i frutti della sua scienza sono durevoli.
«Plebem suam erudit»: egli divenne maestro della gioventù del suo popolo; a cui trasmise negli Atenei di Pavia, di Messina, di Modena, e poi nuovamente della sua diletta Pavia, i copiosi frutti del suo alto spirito, delle sue diligenti ricerche, del suo cuore generoso. I suoi modi distinti e riservati, la cristiana nobiltà di una santa vita, la sua maniera di porgere chiara e penetrante, il costante esempio di studioso indefesso e inflessibilmente retto gli guadagnarono dappertutto stima e ammirazione.
«Et fructus sensus illius fideles»: Ricca fu la messe che il nostro Beato produsse e raccolse come frutto del suo studio e del suo lavoro. In venti anni appena uscirono dalla sua penna oltre duecento pubblicazioni di carattere scientifico, fra cui opere di alta e durevole importanza; le quali tutte — anche quelle di minor mole — portano il sigillo della sua mente chiara, della sua vastissima cultura, della sua instancabile applicazione. Là voi trovate, accanto ad articoli su manoscritti inediti e su questioni particolari di diritto civile, ampie trattazioni circa le fonti e la storia del diritto romano, commenti alle Pandette e al gius penale romano, soprattutto poi quelle edizioni critiche delle fonti di diritto romano-bizantino, che resero il nome del Ferrini celebrato nel mondo scientifico, a cominciare dalla cosiddetta Parafrasi di Teofilo, attraverso i Digesti e i contributi alla reintegrazione dei Basilici, fino alle edizioni, venute alla luce dopo la prematura sua morte, del Libro Siro-Romano e del Tipucito in collaborazione con Giovanni Mercati, oggi onore e lustro del Sacro Collegio dei Cardinali.
È noto bensì che egli scriveva rapidamente e quasi in fretta (fretta di cui si risentiva talvolta l’esattezza delle citazioni); ciò non toglie tuttavia che i frutti delle sue opere, come furono da lui preparati e raccolti con perseverante e fedele lavoro, così sono essi stessi rimasti fedeli al loro autore, monumento perenne del suo veramente solido valore scientifico, imperituro contributo alla storia di quel diritto, che splenderà sempre fra i titoli indelebili di gloria del suo popolo e della sua patria. «Sunt iusti atque sapientes, et opera eorum in manu Dei» [8], I giusti e i sapienti e le opere loro sono nelle mani di Dio.
Lo studioso e il santo
In Contardo Ferrini, come in tutti gli uomini veramente grandi, il lavoro professionale e la vita intima erano congiunti in una indissolubile unità; perciò la sua figura di studioso diviene visibile in tutta la sua pienezza solamente nella luce del santo. La sua coscienza professionale era fin nelle sue più profonde radici illuminata e guidata da una pura fede e da un forte volere di servire la verità in tutte le sue manifestazioni, cercando Dio in ogni cosa e tutto dirigendo al Creatore e Signore secondo la santissima sua divina volontà.
Possono ben esservi stati dotti, che abbiano superato il Ferrini nella genialità dello spirito; altri che siano stati più di lui favoriti dalla sorte nelle loro ricerche. Ma nella perfezione e nella nobile purezza del genuino tipo dello studioso e indagatore, egli va certamente annoverato fra i migliori: uomo senza irrequietezza né violenza, riposante nella ferma e stabile armonia di tutte le sue forze spirituali, risultato di una vita di virtù e di preghiera. In lui tutto era diafana chiarezza, sicura tranquillità, serena letizia dello spirito, sincera dedizione e inalterato amore per la verità. Esteriormente sobrio e riservato, com’egli era, l’opera di lui però irradiava l’interna, contenuta fiamma dell’uomo, che ha dedicato la sua vita alla ricerca del vero e dietro il nobile volto di ogni scienza terrena cerca sempre l’eterna verità di Dio.
Questo amore della verità, genuino tratto distintivo dello studioso e del dotto, formava l’eccitamento e l’impulso dominante del suo lavoro; ad essa egli era dedito come a gran Dama con l’affetto e la devozione di un servitore fedele. Perciò egli nei suoi studi così volontieri risaliva di continuo alle fonti stesse, le esaminava e le scrutava con sapiente cura, affinché i fatti storici potessero parlare a lui il più possibile scevri di errore.
A ciò il Ferrini congiungeva una sana, vorremmo dire oggettiva umiltà, poiché si considerava dinanzi alla santità del vero non come un vanitoso saccente, ma soltanto come un modesto scolaro, egli che pure con la sua singolare conoscenza delle fonti e della letteratura, con la sua accuratezza e fedeltà nella indagine, con la sua acuta e pronta intelligenza, era divenuto padrone e Maestro della sua materia. La sua intima natura si riflette e si manifesta ancor oggi come in uno specchio nel suo stile, virilmente chiaro e lucido, calmo e oggettivo, semplice e schietto, ma animato dalla forza trascinante e irresistibile di un fervido ricercatore del vero e infaticabile lavoratore.
Sì; infaticabile lavoratore fu il nostro Beato. Al suo delicato corpo non usava alcun riguardo; non conosceva sosta né riposo; né mai fu che egli si lasciasse stancare o scoraggiare dal penoso minuto lavoro nello studio di difficili manoscritti; ché anzi allora assoggettava se stesso a più rigorosa disciplina. Quale meraviglia che da lui emanasse su quanti lo circondavano una potente forza morale, la forza di coloro che sono puri di cuore e che si sentono portati. sostenuti e mossi dallo spirito di Dio, la forza che essi attingono dal divin Redentore nella Ss.ma Eucaristia?
Contardo Ferrini era infatti — e questa è la qualità essenziale dell’animo suo — un santo. Santo, non come sovente se lo figura il mondo: un uomo estraneo alla vita terrena, incapace, inesperto, timido, impacciato. No. Il Ferrini era un santo del suo tempo, del secolo del lavoro vertiginoso, del secolo in cui la mente e la mano dell’uomo tendono a soggiogare tecnicamente e scientificamente la forza operosa di tutto l’universo sensibile.
Vita reale e fede soprannaturale
L’età nostra, che si chiama volentieri l’età del fatto reale, crede con ciò di dover rinunziare alla pietà e alla profondità del sentimento religioso, che si vorrebbe escludere come un irreale, infondato, superfluo ornamento della vita. Alcuni non riescono a comprendere come un uomo possa vivere nel mondo odierno, operare efficacemente e con frutto per il consorzio umano, e al tempo stesso essere un santo. Altri pensano che la vita interiore e la preghiera come « fatto mistico » siano in aperto contrasto con la dura lotta per la vita e col lavoro assillante dell’uomo moderno, che non ammette né misteri, né fede né timore di una vita futura. Per la fredda e scrutatrice ragione di un dotto, per lo spirito di un tecnico che vince e domina le leggi della natura, possono forse esistere un mondo soprannaturale e gli arcani della rivelazione? È la domanda che non pochi si fanno.
Qui il nostro Beato si fa avanti e risponde con un chiaro e risoluto Sì. Egli pronunzia altamente e pienamente questo Sì, che è la ferma sua professione di fede nella vita soprannaturale, nella rivelazione, nella santa Chiesa, come, d’altra parte, egli ha fiducia negli sforzi della scienza verso una sempre più vasta cognizione della verità. Egli è l’uomo della realtà moderna, ma anche il santo dell’ora presente; il mistico della unione con Dio, in cui era immerso, e insieme, per così dire, il mistico del fatto e della azione, di quella operosità, che non viene considerata, nel misconoscimento dell’ordine divino, come fine a se stessa o elevata a una sorte di surrogato della religione, ma che riceve stimolo e forza, dignità ed efficacia dal Creatore e Signore di ogni verità e non conosce che un solo altissimo fine: la gloria di Dio e il vero bene della umanità.
Diritto e legge separati da Dio. Vestigia terrent
Dio e il bene della umanità! Per il Ferrini il diritto con la sua storia e il suo svolgimento non era l’oggetto isolato di una ricerca scientifica, che trova in se stessa il suo appagamento, ma piuttosto l’applicazione della legge eterna, della legge morale divina alla realtà della vita umana, come una delle potenti colonne, che, fondate su Dio stesso, concorrono alla edificazione della società, al bene universale dei popoli.
Come avrebbe potuto essere altrimenti per il nostro Beato? Egli non poteva concepire che la legislazione, la storia e l’evoluzione del diritto fossero trattate come quegli affreschi e mosaici staccati dall’altare che adornavano ad insegnamento dei fedeli, per andare a perdere, fra le tele profane di un museo, la loro bellezza, la loro luce e quasi il loro stesso significato. Parimente diritto e legge, separati da Dio, sono come una cosa morta, come un ramo secco staccato dal ceppo vivente e vivificante, come una terra inaridita che non produce alcun frutto. Di quale fecondità, di quale profitto per la vera felicità di un popolo potrebbe essere una legislazione che non riposa sulla fede in Dio, che affetta d’ignorarla come inconcludente e superflua, o perfino si vergogna anche solo di pronunziare il santo nome del Signore? Allontanati da Dio, i corpi sociali e gli ordinamenti giuridici finiscono presto o tardi nel dispotismo e nella tirannide.
«Vestigia terrent!». Ecco, esclama il Salmista, che. coloro i quali si allontanano da Te periranno [9]. Felice invece il popolo, che ha per suo Dio il Signore! [10]
In un tempo in cui il mondo, diviso da Dio, sembra divenuto come impermeabile ad ogni influsso divino; in un tempo in cui alcuni sistemi filosofici deliberatamente si studiano di costruire sulla sabbia una morale e un diritto senza Dio; Ci è di sommo conforto che il Signore abbia dato alla Chiesa un Beato, il quale fu un Maestro, un Grande nel campo del diritto, ma al tempo stesso un uomo di Dio, un modello ammirabile per la elevazione soprannaturale del suo spirito e la santità della sua vita.
La scienza della carità di Cristo
Chinate dunque la fronte, illustri Professori e diletti figli, dinanzi alla immagine di Contardo Ferrini, elevato agli onori degli altari. Vivendo, egli non operò miracoli né portenti; il portento e il miracolo è egli stesso, che splende, esemplare di ogni virtù, alla venerazione del popolo. Chinate la fronte e meditate. Meditate in qual modo egli si fece santo, in un secolo in cui la carità di Cristo sembra bandita dalla società umana; in un secolo in cui la dottrina di Cristo e il suo Vangelo sono spesso disprezzati e scemati nella pratica della vita e della famiglia; in un secolo in cui è cresciuta bensì la scienza della natura e del mondo, ma anche quella che dalla natura e dalle viscere della terra trae e moltiplica le armi e le invenzioni per le lotte, le distruzioni e le stragi.
Meditate come con tutto il progresso che accompagna il corso della vita umana, l’uomo non ha qui una stabile dimora, perché è creato per un altro mondo, per un mondo spirituale, al quale tutti sono destinati, ma a cui tanto poco pensano i più. I santi sono gli eroi, che hanno il piede in terra e l’animo in cielo: Contardo Ferrini fu uno di questi, fin dalla sua giovinezza. Imparate da lui e dai suoi esempi a crescere nella scienza, che dalla terra si solleva al cielo e a Dio, e trasforma i passi della vita quaggiù in una somma di meriti per la vita, che di là da questa non ha più fine. Non vi insuperbisca la scienza profana; vi guidi verso l’alto la conoscenza delle verità della fede profondamente studiate e praticate; vi sublimi in Cristo la scienza della carità di Lui.
[1] Eph., 3, 19.
[2] Matth., 23, 10.
[3] Contardo Ferrini, Un po’ d’infinito.
[4] Prov., 15, 14.
[5] Cicer., De legibus, 1. II, cap. 4.
[6] Lettera a Vittorio Mapelli, 8 maggio 1881.
[7] Eccli., 37, 26.
[8] Eccli., 9, 1.
[9] Ps. 72, 27.
[10] Ps. 143, 15.
Fonte: vatican.va