di Luca Fumagalli
Continua con questo nuovo articolo la rubrica infrasettimanale di Radio Spada dedicata all’approfondimento e al commento dei racconti di Padre Brown, il celeberrimo sacerdote detective nato dalla penna di G. K. Chesterton, tra i più grandi intellettuali cattolici del Novecento. I racconti, a metà strada tra investigazione e apologetica, hanno per protagonista il buffo e goffo Padre Brown, interessato sia a risolvere i crimini che a salvare le anime dei colpevoli.
Per una disamina introduttiva sulla figura di Padre Brown – protagonista pure di vari film, sceneggiati per la televisione e, addirittura, fumetti – si veda il breve articolo al seguente link: https://www.radiospada.org/2018/11/padre-brown-il-grande-sacerdote-investigatore-ideato-da-chesterton/
Per le precedenti puntate: “La Croce azzurra” https://www.radiospada.org/2021/03/il-mercoledi-di-padre-brown-la-croce-azzurra/?preview_id=68448&preview_nonce=0e78c0ea50&preview=true&_thumbnail_id=68461 “Il giardino segreto” https://www.radiospada.org/2021/03/il-mercoledi-di-padre-brown-il-giardino-segreto-storia-di-un-fondamentalista-ateo/ “Il passo strano” https://www.radiospada.org/2021/03/il-mercoledi-di-padre-brown-il-passo-strano-quando-il-sacerdote-investigatore-evito-un-delitto-e-forse-salvo-unanima/ “Le stelle volanti” https://www.radiospada.org/2021/04/il-mercoledi-di-padre-brown-le-stelle-volanti-il-pericolo-del-socialismo-e-il-pentimento-di-un-criminale/
Prima di iniziare, per chi fosse interessato ad approfondire l’opera di G. K. Chesterton e quella di molti altri scrittori cattolici britannici si segnala l’uscita del saggio “Dio strabenedica gli inglesi. Note per una storia della letteratura cattolica britannica tra XIX e XX secolo”. Link all’acquisto (il libro è attualmente in ristampa, tornerà disponibile tra un paio di settimane): http://www.edizioniradiospada.com/component/virtuemart/ecommerce/narrativa/dio-strabenedica-gli-inglesi-note-per-una-storia-della-letteratura-cattolica-britannica-tra-xix-e-xx-secolo-308-detail.html?Itemid=0
Tra i racconti meno memorabili della raccolta L’innocenza di Padre Brown (1911), L’uomo invisibile (The Invisible Man) è tuttavia il primo in cui Flambeau appare negli inediti panni del detective e non più in quelli del ladro gentiluomo. E’ lasciato quindi intendere che il francese, nello spazio intercorso tra questa storia e la precedente, intitolata Le stelle volanti, si sia finalmente deciso a dare ascolto alle parole di Padre Brown e a fare opera di riparazione agendo a favore della giustizia e non più contro di essa (giustizia, e non legge, che per Chesterton sarebbe parola troppo orizzontale e scialba per restituire appieno la radicalità della conversione di Flambeau). L’ex ladro – «benché la sua giovinezza sia stata burrascosa si può dire che ora sia un uomo assolutamente onesto, con un cervello che vale oro» – esercita la professione di investigatore privato ad Hampstead, presso un appartamento nel caseggiato Lucknow Masions.
L’uomo invisibile ha dalla sua un brillante inizio, saturo del funambolico surrealismo del miglior Chesterton, e una svolgimento concitato che cattura l’attenzione di chi legge. La vicenda prende infatti le mosse dalla proposta di matrimonio che un giovane artista scozzese, Angus, fa a Lucy, cameriera in una pasticceria («“Lei non mi dà il tempo di pensarci”, disse lei. “Non sono così sciocco”, rispose lui, “la mia è umiltà cristiana”»). La ragazza vorrebbe accettare, ma qualche tempo prima, per pura civetteria, aveva promesso la sua mano a chi, tra due buffi spasimanti, fosse tornato da lei dopo un anno dimostrando di aver fatto fortuna. Il suo era solo uno scherzo bonario, eppure i due hanno preso la cosa molto sul serio: di James Welkin, un tipo solitario, orribilmente guercio, Lucy non ha più alcuna notizia, mentre l’altro, Isidore Smythe, piccolo e buffo, è diventato sorprendentemente ricco a causa dell’invenzione di un automa meccanico in grado di sbrigare tutte le faccende di casa e ora sta per giungere alla pasticceria per averla in sposa. La fanciulla è comprensibilmente turbata, anche e soprattutto perché, a quanto pare, Welkin, nell’ombra, sta tramando per uccidere Smythe. Nonostante l’intervento di Angus – «si guardarono l’un l’altro con quella strana fredda generosità che è l’anima della rivalità» – non è possibile evitare il delitto e sarà ancora una volta Padre Brown, al seguito di Flambeau, a risolvere una vicenda oltremodo intricata.
Il racconto, contraddistinto da svolazzi lirici sulla «muta poesia di Londra» e sull’ «aura cristiana» che avvolge la pasticceria, nonché dai soliti aforismi paradossali – «Se egli era Satana in persona, egli ora è finito perché ha raccontato la cosa. Si diventa pazzi da soli, figliola mia» – vanta pure momenti particolarmente divertenti: come non sorridere, ad esempio, leggendo gli slogan pubblicitari di Smythe – «Premete un bottone ed ecco: un cameriere astemio», «Girate una manovella: ed ecco le cameriere che non fanno mai all’amore», «Una cuoca che non è mai bisbetica» – oppure passaggi come quello in cui le curve della strada sono descritte quali «spirali trascendentali, come dicono le religioni moderne».
Anche Padre Brown è nuovamente presentato nei toni dimessi di una figura apparentemente insignificante, tanto da sembrare uno dei mobili dell’appartamento rococò di Flambeau (descritto per apparire la quintessenza della vitalità, ovvero l’esatto opposto della dimora di Smythe, abitata da orde di inquietanti servitori meccanici): «L’alloggio, quasi ufficio, di Flambeau, era al pianterreno, e presentava sotto ogni aspetto un netto contrasto con i meccanismi e il freddo lusso alberghiero dell’alloggio dal “Servizio Silenzioso”. Flambeau, che era amico di Angus, lo ricevette in un bizzarro covo artistico dietro al suo studio, ornato di sciabole, archibugi, curiosità orientali, fiaschi di vino italiano, pentole di selvaggi, un vaporoso gatto persiano, e un piccolo prete cattolico dall’aspetto impolverato, che appariva particolarmente stonato». Più avanti il prete viene ritratto mentre «trotterellava dietro di loro con la docilità di un cagnolino», con lo sguardo assente «come se non nutrisse alcun interesse per l’inchiesta». Nell’epilogo, però, come di consuetudine i ruoli si ribaltano ed è Flambeau a implorare il sacerdote «con una strana e grave semplicità, come di fanciullo», di rivelargli la soluzione del caso.
Non si fanno attendere nemmeno le immancabili stoccate allo spirito francese, un misto di «ragione e violenza», e un benevolo rimprovero rivolto ad Angus e alla sua troppo fervida fantasia celtica – sebbene contenga sempre un’intuizione di verità – come era già successo ne Il giardino segreto per il personaggio del Colonnello O’Brien: «Angus guardò intorno per la stanza oscura piena di manichini, e da qualche angolo celtico della sua anima scozzese sentì venire un brivido. […] La materia si era ribellata, e quelle macchine avevano ucciso il loro padrone. Ma fosse anche vero, che cosa e avevano fatto poi? Mangiato! gli mormorò l’incubo all’orecchio».
All’inquietudine di Angus si lega la polemica tutta chestertoniana – qui in verità appena accennata – sui limiti di un tecnologia disumana che, paradossalmente, vuole presentarsi come alternativa all’uomo, una polemica che ha come bersaglio proprio i curiosi robot di Smythe: «Si aprì su una lunga e spaziosa entrata, in cui i soli oggetti che colpissero, parlando da un punto di vista normale, erano le alte figure meccaniche semi-umane, allineate da entrambi i lati, simili ai manichini dei sarti. Come i manichini, erano senza testa, avevano una notevole gibbosità sulle spalle e il petto protuberante; ma, a parte questo, non somigliavano a figure umane più di quanto non vi somigli un qualunque distributore automatico alto pressappoco come un uomo. Avevano due grossi uncini, a guisa di braccia, per portare i vassoi, ed erano verniciati in verde pisello, o rosso vermiglio, o nero, per evitare confusioni. Sotto ogni altro aspetto non erano che meccanismi come gli altri, e nessuno li avrebbe guardati due volte. […] Gli parve una fatalità lasciare l’omino solo tra questi domestici morti, che si animavano mentre la porta si chiudeva». Poco prima è lo stesso inventore ad ammettere gli «svantaggi» delle sue creazioni: sebbene efficientissime, non hanno la benché minima facoltà intellettiva, non hanno nemmeno la parola, e perciò «non mi possono dire chi abbia portato queste lettere minacciose nel mio appartamento».
Se, nell’epilogo, la soluzione del caso appare un po’ troppo semplicistica, il lieto fine rimane comunque stupendo, a sottolineare come la misericordia, pur non escludendo la giustizia, le sia infinitamente superiore: «Padre Brown camminò su quelle colline coperte di neve, sotto le stelle, per molte ore, con un assassino; e quello che si dissero i due non sarà mai risaputo».