Volentieri offriamo ai lettori questo estratto del  (Sezione II: Sant’Alfonso M. de’ Liguori, Glorie di Maria). E dire che c’è ancora chi non la vuol chiamare Corredentrice.


[…] E qui entra l’altro riflesso che rese il martirio di Maria immensamente maggiore del supplizio di tutti i martiri: poich’ella nella Passione di Gesù patì assai e patì senza sollievo. Pativano i martiri nei tormenti che loro davano i tiranni, ma l’amore a Gesù rendeva loro dolci ed amabili i dolori. Pativa un S. Vincenzo nel suo martirio, era egli tormentato sull’eculeo, scarnificato da uncini, bruciato da lamine infocate; ma che? Dice S. Agostino: Alius videbatur pati, alius loqui. Parlava con tanta fortezza al tiranno, e con tanto disprezzo dei tormenti, che pareva che un Vincenzo patisse ed un altro Vincenzo parlasse, tanto il suo Dio colla dolcezza del suo amore lo confortava in mezzo a quelle pene. Pativa un S. Bonifacio, gli era lacerato il corpo dai ferri, gli erano poste acute cannucce fra l’unghie e la carne, piombo liquefatto nella bocca, ed egli non si saziava nello stesso tempo di dire: Gratias tibi ago, Domine Iesu Christe. Pativano un S. Marco e S. Marcelliano, stando legati ad un palo con i piedi trafitti dai chiodi e dicendo loro il tiranno: Miseri, ravvedetevi e liberatevi da queste pene; essi rispondevano: Che pene ci nomini? Che pene? Noi non abbiamo mai banchettato più allegramente di questo tempo, in cui patiamo con gusto per amore di Gesù Cristo: Numquam tam iucunde epulati sumus, quam cum haec libenter Iesu Christi amore perferimus. Pativa un S. Lorenzo, ma mentre egli stava bruciando sulla graticola, era, dice S. Leone, più potente la fiamma interna dell’amore a consolarlo nell’anima, che il fuoco di fuori a tormentarlo nel corpo: Segnior fuit ignis qui foris ussit, quam qui intus accendit (In Nat. S. Laur.). Onde l’amore lo faceva così forte, che giungeva ad insultar il tiranno con dirgli: Assatum est iam, versa et manduca; Tiranno, se vuoi cibarti delle mie carni, già una parte è cotta, via su volta e mangia. Ma come in tanti tormenti, in quella lunga morte, poteva il santo così giubilare? Ah ch’egli inebriato, risponde S. Agostino, col vino del divino amore, non sentiva né tormenti né morte: In illa longa morte, in illis tormentis, illo calice ebrius tormenta non sentit (Tract. 27).

Sicché i santi martiri quanto più amavano Gesù, tanto meno sentivano i tormenti e la morte; e la sola vista delle pene di un Dio crocifisso bastava a consolarli. Ma la nostra addolorata Madre era forse così ancora ella consolata dall’amore al suo Figlio e dalla vista delle sue pene? No, ch’anzi lo stesso Figlio che pativa era tutta la cagione del suo dolore, e l’amore che gli portava era l’unico e suo troppo duro carnefice; poiché in altro non consisté tutto il martirio di Maria, che nel vedere e compatire l’innocente ed amato Figlio che tanto pativa. Onde quanto più ella l’amava tanto più il suo dolore fu acerbo e privo di sollievo. Magna est velut mare contritio tua: quis medebitur tui? Ah regina del cielo, agli altri martiri l’amore ha mitigata la pena, ha sanate le ferite; ma a voi chi mai raddolcì il grande affanno? Chi mai guarì le troppo dolorose ferite del vostro cuore? Quis medebitur tui? Se quello stesso Figlio, che poteva darvi sollievo, era col suo patire l’unica cagione delle vostre pene, e l’amore che gli portavate componeva tutto il vostro martirio? Sì, che dove gli altri martiri, come riflette Diez, si dipingono ciascuno con lo strumento di sua passione, S. Paolo con la spada, S. Andrea con la croce, S. Lorenzo con la graticola; Maria si dipinge col suo Figlio morto in braccio, perché non altri che lo stesso Gesù fu lo strumento del suo martirio, per ragion dell’amore ch’ella gli portava. Con poche parole S. Bernardo conferma tutto ciò che ho detto: In aliis martyribus magnitudo amoris dolorem lenivit passionis; sed B. Virgo quanto plus amavit, tanto plus doluit, tantoque ipsius martyrium gravius fuit (Ap. Crois., Vit. Mar., § 23).

È certo che quanto più s’ama una cosa, tanto più si sente la pena in perderla. Più certamente affligge la morte d’un fratello che d’un giumento; più la morte d’un figlio che d’un amico. Or dice Cornelio a Lapide che per comprendere quanto fu il dolore di Maria nella morte del Figlio, bisognerebbe comprendere quanto era l’amore che gli portava: Ut scias quantus fuerit dolor B. Virginis, cogita quantus fuerit amor. Ma chi mai potrà misurar quest’amore? Dice il B. Amedeo che nel cuore di Maria eran congiunti l’uno e l’altro amore al suo Gesù, l’amor soprannaturale con cui l’amava come suo Dio e l’amor naturale con cui l’amava come suo figlio: Duae dilectiones in unum connexae erant, et ex duobus amoribus factus est amor unus, cum Virgo Filio divinitatis amorem impenderet, et in Deo amorem nato exhiberet (Hom. 5, de laud. V.). Sicché di questi due amori se ne fece un solo, ma un amor così immenso, che Guglielmo di Parigi giunse a dire che la B. Vergine amò Gesù quantum capere potuit puri hominis modus, quasi che una pura creatura non fosse più capace d’amarlo. Unde, dice Riccardo di S. Lorenzo, sicut non fuit amor sicut amor eius, ita non fuit dolor sicut dolor eius. E se l’amor di Maria verso del Figlio fu immenso, immenso ancora dovette essere il suo dolore in perderlo con la morte: Ubi summus amor, dice il B. Alberto Magno, ibi summus dolor.

Quindi immaginiamoci che la divina Madre stando a vista del Figlio moribondo sulla croce, giustamente applicandosi le parole di Geremia, dica a noi: O vos omnes qui transitis per viam, attendite, et videte si est dolor sicut dolor meus (Ier. I, 12); O voi che passate la vita in questa terra e niente mi compatite, fermatevi un poco a guardarmi or ch’io vedo morirmi avanti gli occhi questo Figlio diletto; e poi vedete se fra tutti gli afflitti e tormentati si trovi dolore simile al mio dolore. Sì che non può trovarsi, o Madre addolorata, le risponde S. Bonaventura, dolore più amaro del vostro, mentre non può trovarsi figlio più caro del vostro: Nullus dolor amarior, quia nulla proles carior (De compass. Virg., c. 2). Ah che non v’è stato mai al mondo, ripiglia S. Lorenzo Giustiniani, figlio più amabile di Gesù, né madre più amante d’un figlio che Maria. Se dunque non vi è stato al mondo amore simile all’amore di Maria, come mai può trovarsi dolore simile al dolore di Maria? Non fuit talis filius, non fuit talis mater: non fuit tanta caritas, non fuit dolor tantus. Ideo quanto dilexit tenerius, tanto vulnerata est profundius (Lib. 3, de laud. Virg.).

Ond’è che S. Idelfonso non dubitò d’asserire esser poco il dire che i dolori della Vergine superarono tutti i tormenti dei martiri anche uniti insieme: Parum est Mariam in Passione Filii tam acerbos pertulisse dolores, ut omnium martyrum collective tormenta superaret (Ap. Sinisc., Mart. di Mar., cons. 36). E S. Anselmo aggiunse che gli strazi più crudeli usati coi santi martiri, furono leggeri, anzi niente a rispetto del martirio di Maria: Quidquid crudelitatis inflictum est corporibus martyrum, leve fuit aut potius nihil comparatione tuae passionis (De exc. Virg., c. 5). E parimenti scrisse S. Basilio che come il sole avanza nello splendore tutti gli altri pianeti, così Maria con la sua pena avanzò le pene di tutti gli altri martiri: Virgo universos martyres tantum excedit. quantum sol reliqua astra. Conclude un dotto autore (il P. Pinam.) con un bel sentimento: dice che fu così grande il dolore che soffrì questa tenera Madre nella Passione di Gesù, ch’ella sola poté degnamente compatire la morte d’un Dio fatt’uomo.

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Immagine in evidenza: William-Adolphe Bouguereau, Public domain, via Wikimedia Commons