Chiacchierata col Guelfo Rosa.

RS: Allora, aboliscono?

GR: Cosa, il Motu Proprio di Ratzinger sulla Messa “tridentina”?

RS: Eh, pare.

GR: Ah, sono tranquillissimo. La questione è chiusa da 450 anni circa. San Pio V ha definito la cosa con la Bolla QUO PRIMUM TEMPORE. Ve la leggo: “In virtù dell’Autorità Apostolica, Noi concediamo, a tutti i sacerdoti, a tenore della presente, l’Indulto perpetuo di poter seguire, in modo generale, in qualunque Chiesa, senza scrupolo veruno di coscienza o pericolo di incorrere in alcuna pena, giudizio o censura, questo stesso Messale, di cui dunque avranno la piena facoltà di servirsi liberamente e lecitamente: così che Prelati, Amministratori, Canonici, Cappellani e tutti gli altri Sacerdoti secolari, qualunque sia il loro grado, o i Regolari, a qualunque Ordine appartengano, non siano tenuti a celebrare la Messa in maniera differente da quella che Noi abbiamo prescritta, né, d’altra parte, possano venir costretti e spinti da alcuno a cambiare questo Messale.” E alla fine chiudeva così: “Nessuno dunque, e in nessun modo, si permetta con temerario ardimento di violare e trasgredire questo Nostro documento: facoltà, statuto, ordinamento, mandato, precetto, concessione, indulto, dichiarazione, volontà, decreto e inibizione. Che se qualcuno avrà l’audacia di attentarvi, sappia che incorrerà nell’indignazione di Dio onnipotente e dei suoi beati Apostoli Pietro e Paolo”.

RS: Eh…

GR: Grazie, buona giornata. Se non c’è altro, avrei da fare.

RS: E ci lascia così?

GR: E che devo aggiungere? Per chi sa leggere, la cosa è chiara no? La Messa tridentina non è concessa da questo o da quello, non è lo stesso rito in forma straordinaria del pasticcio ecumenico – collaudato coi protestanti – partorito dalle nebbie della mente di Bugnini. È la Messa di sempre, è un dovere. Il resto è gossip. E badate, mi sono fermato a San Pio V, solo perché non ho tempo e voglia di riportare le condanne puntuali che stroncano la teoria e la prassi della “Messa montiniana”, pensiamo solo all’Auctorem Fidei. Con buona pace di Ratzinger & friends.

RS: Si prevedono sommovimenti.

GR: Abbiate pazienza ma qui gli unici sommovimenti che vengono sono circoscritti all’area gastrica, quando tocca leggere certe corbellerie. Se parliamo di Dottrina la cosa è chiusa. Se parliamo di sociologismi, psicologismi e politica di sagrestia invece cambiamo campo.

RS: È innegabile che il Motu Proprio abbia fatto scoprire a molti la Messa di sempre, e che diverse persone in buona fede abbiano fatto passi avanti grazie a quel provvedimento. Scritto male, con l’erroraccio dell’equiparazione tra i due riti, infetto dal neomodernismo ratzingeriano, certo. Ma la Provvidenza ha cavato il bene dal male. E molti, con genuinità, oggi seguono quel Messale. Questo è un fatto.

GR: Quelle persone, e ne conosco tante, hanno il mio rispetto. Ci mancherebbe. Molto meno rispetto invece ottengono da parte mia alcuni – non tutti, anche qui – loro capi e capetti. Vedete, faccio parte del gruppo che conosceva la Messa di sempre prima che il Motu Proprio arrivasse. Insieme ad esso ho visto arrivare tanti fedeli animati dalle migliori intenzioni, e – inevitabilmente – anche tanti pavoni in cerca pizzi per arricchire la loro coda, tanti “liturgisti” desiderosi di una tradizione da inframezzare agli adagi diocesani, tanti accomodatori di diavoli e acquesante e quadratori di cerchi, da far venire il capogiro. Del resto, è comprensibile: questo Motu Proprio si fonda su un equivoco, a esser buoni. L’equivoco per cui la Tradizione non regni ma venga tollerata. Una colorita e rispettabile variante ecumenica di un circo orrendo. E gli equivoci, si sa, durano il giusto.

RS: Vogliamo fare arrabbiare parecchi oggi?

GR: Per sentire ciò che fa loro piacere hanno già tanti altri. Alcuni se la prendono con chi – dicono – invoca il “tanto peggio, tanto meglio”. Errore, errorissimo! No, no. Qui non c’è peggio, c’è l’inevitabile sviluppo di una palese contraddizione: se – come dice Ratzinger – siamo di fronte a due forme dello stesso rito, per quanto una delle due forme venga poi definita venerabile, preziosa, da difendere, resta una variante straordinaria. E come tale viene e verrà trattata. Non c’è un peggio, a meno che il peggio sia l’estrinsecazione di una delle peggiori idee che il neomodernismo abbia partorito: ovvero ridurre la Tradizione alla forma straordinaria dell’anti-Tradizione.

RS: Come finirà?

GR: Molto semplice: se si tratta del solito falso allarme, continueremo a galleggiare fino al prossimo scoglio. Se invece Bergoglio andrà fino in fondo, vedremo una divisione, ma tutta interna al mondo Motu Proprio. Chi tra loro capirà il meccanismo di cui abbiamo parlato si organizzerà per andare – con vie che non si possono prevedere – verso la Tradizione, e la Provvidenza darà una mano. Gli altri, dopo sbuffi, mugugni, lagne e qualche sceneggiata pazza si riaccomoderanno in parrocchia ad allungare il ricamo di quella veste, a brontolare su quella casula di plastica, a chiedere l’uso dell’organo almeno due volte l’anno, anche a margine di un incontro ecumenico con gli indù nella sala parrocchiale. Qualche volta li rivedremo alla Messa di sempre, ma molto sporadicamente.

RS: La storia si ripete?

GR: Con forme diverse, per restare in tema. Se non ci fossero stati Mons. Lefebvre e Mons. de Castro Mayer oggi non esisterebbe nemmeno il Motu Proprio. La fiamma della Tradizione l’hanno tenuta accesa loro e quelli che con loro hanno avuto la forza di resistere, a costo di dolori e persecuzioni. La storia la fa sempre chi ha le idee chiare, e la fa anche per gli altri. Volenti o nolenti.



Immagine in evidenza: Lumen roma, CC BY 3.0, via Wikimedia Commons