Dal canale di attualità della Fraternità Sacerdotale San Pio X (fsspx.news) riprendiamo questo articolo su una recente dichiarazione di papa Bergoglio.

Giovedì 10 giugno 2021 Papa Francesco ha ricevuto in udienza la comunità del Pontificio Seminario Marchigiano “Pio XI”, con sede ad Ancona. Ha incoraggiato i responsabili a imitare san Giuseppe per formare coloro che erano loro affidati, e i seminaristi a praticare la docilità.
In questo discorso del Papa ci sono giudiziosi incoraggiamenti. Un esempio è questa esortazione ai formatori del seminario ad imitare la figura di san Giuseppe: che pratichino essi stessi l’obbedienza, la devozione, la generosità e la castità, intesa come distacco da tutto.
O ancora, ai seminaristi, l’incoraggiamento di una vera docilità, virtù ben dimenticata nel nostro mondo, e che deve essere alla base della formazione sacerdotale.
Ma ci sono purtroppo alcuni elementi che sono delle vere deviazioni.

Un errore dottrinale
Il Papa porta ai seminaristi l’esempio di Gesù dedito ad obbedire a san Giuseppe e alla Vergine Santissima nella sua infanzia. Sviluppa: “Fin dalla tenera età, ha dovuto (…) porsi le grandi domande della vita”, spiega. Davvero?
Il Papa aggiunge: “Forse non abbiamo riflettuto abbastanza sul giovane Gesù, impegnato nel discernimento della propria vocazione, nell’ascolto e nella confidenza con Maria e Giuseppe, in dialogo con il Padre per comprendere la sua missione.”
In tale espressione, il Figlio di Dio sembra disconnesso dalla sua umanità. Perché, chi è che cerca un discernimento sulla sua vocazione? L’umanità di Cristo? Ma non ha una persona, nessun “io”. Potrebbe essere il Figlio di Dio stesso?

Un po’ di teologia
In Cristo ci sono due nature e una persona: la persona increata del Verbo, del Figlio di Dio. Questa persona divina, che è identica alla natura divina, assume una natura umana in Gesù Cristo, il Verbo Incarnato.
Va affermato che la persona divina del Verbo, l’unico “me” o “io” posseduto da Gesù Cristo, sa perfettamente che egli è Dio. Il Verbo di Dio incarnato è cosciente della sua incarnazione.
Il Verbo di Dio è così cosciente di sé anche nella sua natura umana. È l’unico soggetto cosciente di questa natura coscientemente assunta, e lo è dal primo momento della sua incarnazione. Questo è l’oggetto della nostra fede, ed è un vero mistero che nessuno può comprendere.
La natura umana non è una persona. A rigor di termini, quindi, non c’è coscienza umana in Cristo. Ci sono sentimenti umani, intelligenza e pensieri umani, volontà e voleri umani, ma che sono assunte dalla persona divina.
Quindi, affermare che Cristo doveva fare un discernimento umano o comprendere la sua vocazione significa: o pensare che Cristo avesse una coscienza umana indipendente, e quindi una persona umana, che è un’eresia.
O pensare che non poteva sapere, come Dio, cosa succedeva nella natura umana che gli era unita nell’unione ipostatica, che equivale a un’altra eresia: pensare che Dio possa ignorare qualcosa, ovvero che non sia Infinita Sapienza, che sa tutto.
Quindi, si deve affermare che Cristo sapeva perfettamente di essere Dio, poiché lo sapeva perfettamente la sua persona divina. La sua natura umana ne aveva una chiara percezione: infatti, fin dal primo momento del suo concepimento, la comprensione della natura umana di Cristo possedeva la visione beatifica.
In altre parole, vedeva Dio immediatamente, come i santi in Paradiso, e in una misura che nessun santo potrà mai raggiungere. Così, anche attraverso la sua intelligenza umana, la persona del Verbo Incarnato possiede il pieno possesso di Dio.
Come potrebbe allora Cristo aver bisogno di “discernere la sua vocazione” e di “dialogare con il Padre” quando ha una sola intelligenza, una sola volontà, una sola natura con suo Padre?

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