Sintesi della 652° conferenza di formazione militante a cura della Comunità Antagonista Padana dell’Università Cattolica del Sacro Cuore in Milano, non tenuta in seguito alla chiusura dell’Ateneo a causa dell’epidemia di Coronavirus, preparata nella festa di San Bonaventura e postata nella festa di Sant’Enrico Imperatore (15 luglio). La conferenza numero 653 sarà sempre di Silvio Andreucci mentre le conferenze 654, 655 e 656 saranno di Simone Gambini Bolchi.
Relatore: Silvio Andreucci (testo raccolto a cura di Piergiorgio Seveso).
Le tensioni tra due potenze regionali notevoli del Medio Oriente, Iran e Arabia Saudita, risalgono almeno al 1979, anno in cui proclamando la rivoluzione sciita, l’ ayatollah Ruhollah Khomeini si proponeva di scalzare dal potere lo Shah Reza Pahlevi,che aveva incoraggiato il binomio di una politica autocratica e una cospicua penetrazione dei costumi occidentali in Iran(1).
Ma sì è trattato e si tratta effettivamente di una Guerra Fredda, inauguratasi a distanza di trent’anni da quel Congresso di Yalta che aveva sancito quella ben più nota tra USA e URSS?
La risposta è affermativa, nella misura in cui entrambe le potenze regionali non sono giunte ad uno scontro plateale diretto; si parla generalmente di un conflitto per procura”, manifestatosi attraverso i suoi addentellati in Irak, Libano, Pakistan, Afghanistan,Yemen ( più recentemente), nel Maghreb e perfino in Nigeria.
Le ragioni del conflitto non possono certo ridursi alla sola matrice di natura religiosa, ovvero la contrapposizione tra sunniti e sciiti; in merito a questo, mi limiterò a rilevare,senza entrare nel merito di una profonda analisi delle differenze tra le due confessioni che non è qui luogo di affrontare, che gli sciiti considerano successori legittimi del profeta Maometto solo i discendenti di Ali, spodestato da un golpe che aveva insediato la dinastia omayyade .
Lo sciismo iraniano appartiene alla particolare confessione dei duodecimani che credono legittima una dinastia di dodici imam, tra cui il dodicesimo si sarebbe occultato misteriosamente nell’ 839 d.c e la cui parousia in qualità di ” Mahdi” (Messia) avverrà alla fine dei Tempi (2). Comunque è significativo il fatto che nel Parlamento iraniano vi sia un seggio vuoto, con cui si intende appunto onorare il Mahdi che, con millenaristica attesa, gli sciiti attendono.
Sta di fatto che la persecuzione dei sunniti (che al contrario ritengono legittime le dinastie degli Omayyadi e Abbassidi) è atavica, durando ormai da molti secoli.
Ritornando alle matrici di un conflitto sviluppatosi in faide ormai decennali (3), la rivalità tra sunniti e sciiti è una spiegazione parziale, certamente da integrare con quella politica: Iran e Arabia Saudita intendono primeggiare per conseguire l’ egemonia geopolitica nel Medio Oriente e i primi movimenti tellurici che hanno innescato il conflitto vanno ravvisati nella rivoluzione teocratica khomeinista del 1979, volta ad esportare il modello sciita rivoluzionario anche al di là del mondo strettamente arabo.
Inoltre una chiave di comprensione adeguata degli attriti tra le due potenze regionali del Medio Oriente non può prescindere dalla situazione tuttora rovente in Terrasanta: sia l’Iran che l’ Arabia Saudita sono naturalmente interessati a fornire una legittimazione islamica alla lotta d’ indipendenza del popolo palestinese, anche se l’ Arabia Saudita in seguito, al cosiddetto ” patto di Abramo (4), è orientata come altre monarchie del Golfo a intensificare le trattative di affari con lo stato di Israele, nonché i compromessi ( per non provocare malumori a Washington, stretta alleata di Ryad) e in qualche modo a ridurre sempre più durante i vertici il riconoscimento dello stato della Palestina a una questione puramente circostanziale.
L’ Iran invece ha dimostrato un sostegno più assiduo alla ” causa palestinese”, finanziando e armando i miliziani di Hamas (nonostante Hamas sia un gruppo politico sunnita) e della Jihad palestinese.
Il nostro conformismo dominante non ha dato e, tuttora, non da l’ impressione di percepire questa ” Guerra fredda” per procura che dura ormai da poco più di quarant’anni e le analisi giornalistiche, e piu’ in generale mediatiche, si sono generalmente limitate a un’ informazione frammentaria,limitandosi a riferire di faide locali a sfondo etnico o religioso, senza pervenire mai al fondo di “Guerra fredda”; pure le ostilità tra le due potenze regionali del Medio Oriente dovrebbero quanto meno preoccupare l’ Occidente, se non altro dal punto di vista delle congiunture economiche sfavorevoli legate al prezzo del petrolio per il quale l’economia occidentale dipende in buona parte dal mondo arabo.
Indubbiamente, il mondo occidentale teme molto di più la teocrazia sciita iraniana che non quella Saudita wahabita e guarda con favore alle sanzioni degli Usa e dell’ Ue contro Teheran; quale il motivo di questi timori reverenziali nei confronti dei sauditi, cui molte nazioni europee (compreso il ” socialista” ministro spagnolo Sanchez) vendono supporto militare e logistico nel conflitto contro l’ etnia Houthi nello Yemen del sud?
La teocrazia wahabbita non ” preoccupa” più di tanto l’ Occidente, dal momento che, anche sotto la reggenza attuale di Bin Salman, è un regime feudale conservatore, che versa in un cronico immobilismo sociale; al contrario, la teologia sciita duodecimana che permea il regime iraniano è rivoluzionaria, antimperialista, ricorda per taluni aspetti la ” teologia della liberazione” sorta in America Latina: i Guardiani della Rivoluzione intendono esportarla, attenendosi al precetto del Corano secondo cui occorre rendere giustizia agli oppressi: respingendo al contempo il materialismo capitalista- individualista dell’ Occidentalismo e quello comunista-collettivista.
Inoltre, il fatto che nel nostro mainstream le violazioni di diritti umani ( linciaggi, condanne a morte, stato di polizia permanente) vengano soltanto riferiti alla Repubblica islamica iraniana, mentre raramente viene fatta menzione della ferocia che imperversa nei regimi wahabbiti del Golfo, è una smentita cocente alla dottrina dello scontro di civiltà tra Occidente e Islam che Samuel Huntington portò avanti a suo tempo.
Riporterò ora i momenti più salienti di questo “conflitto per procura” che, tuttora in corso, ha avuto addentellati persino nell’ Africa Nera e nelle Filippine
IL CONFLITTO DEL GOLFO PERSICO
Per conflitto del ” Golfo Persico” si intende il contenzioso tra Iran e Irak (1980-1988) scoppiato nel settembre 1980, allorché con l’ appoggio malcelato degli Usa (per quanto il Pentagono avesse sempre giurato la propria “neutralità” ed equidistanza dai contendenti), dell’ Occidente, delle monarchie del Golfo, dell’ URSS, del regno hashemita di Giordania le truppe di Saddam Hussein attaccarono l’Iran. Le motivazioni del conflitto erano di natura geopolitica e religiosa; i due paesi contendenti aspiravano a garantirsi l’egemonia sul golfo Persico e, sotto il profilo confessionale, la Repubblica sciita iraniana avversava l'”empio”, regime baathista irakeno, di ispirazione musulmana, ma laico e socialisteggiante; infatti lo sciismo duodecimano che ha permeato la Rivoluzione khomeinista considera di fatto invalidata qualsiasi autorità politica che contempli una distinzione tra l’ordine spirituale ( il Corano) e quello temporale.
Da quando l’ayatollah Ruhollah Khomeini aveva assunto le redini della nazione iraniana, l’Arabia Saudita non viveva più sogni tranquilli, al netto della più volte ricordata discriminazione confessionale tra sunniti e sciiti, per il fatto che vedeva accrescersi l’ aspirazione iraniana a diventare potenza regionale egemonica.
La tesi di una posizione di equidistanza tra i due contendenti da parte dell’ Occidente, insomma, non è convincente.
Il fomite dell’ integralismo islamico e del terrorismo veniva ravvisato principalmente nell’ impostazione della Repubblica islamica iraniana, che ambiva non già a rimanere circoscritta ma a espandersi in Medio Oriente e oltre, mentre peraltro l’Irak non versava in una situazione economica felice, da quando i caccia della Stella di Davide avevano bombardato nel 1981 il reattore nucleare di Osirak.
L’ aspirazione degli ayatollah a esportare la rivoluzione si intrecciava con l’ orgoglio di appartenenza all’ insigne civiltà persiana in rotta di collisione con il mondo arabo stesso, quasi unanimamente schierato a fianco del regime baathista irakeno; ad eccezione della Siria, anche essa governata da una filiazione del baathismo, presieduta da Hafez Assad, di ispirazione sciita alawita, acerrimo nemico di Saddam Hussein, delle milizie Hezbollah ( Partito di Dio) libanesi,finanziate da Teheran e aspiranti ad esportare nel paese” dei cedri” la rivoluzione khomeinista e dello Yemen del sud.
Il conflitto terminò nel 1988 grazie alla mediazione delle Nazioni Unite.
Saldamente al fianco di Teheran vi erano alcune organizzazioni militari di ispirazione sciita insediate nel Regno Saudita; ad esempio, l’ ” Hezbollah- al- Hajez ( “Partito di Dio nell’ Hajez”) nell’est del Regno, che si faceva portavoce dei diritti della minoranza sciita oppressa e al contempo si prefiggeva di esportare la rivoluzione dei Pasdaran nella Penisola arabica.
Fu attiva soprattutto nel biennio 87-89 con attacchi alla volta di importanti obiettivi strategici. Il partito cessò di esistere nel 1996, allorché i suoi membri accusati del bombardamento delle torri Khobar (5) furono arrestati e processati.
I leader del partito furono Abdelkarim Mohamed al Nasser e Ahmed Ibrahim al_ Mughassil.
Un altro movimento politico e militare si proponeva, all’inizio nello statuto di clandestinità, di istituire nel regno una rivoluzione sul modello dell’ Islam sciita ispirata al khomeinismo: l’ OIRAP ( Organizzazione per la Rivoluzione Islamica nella Penisola Arabica).
Fu radicale nel 1979 e negli anni immediatamente successivi alla Rivoluzione khomeinista, nondimeno una volta fallito il tentativo di esportare la rivoluzione, il leader Hassan Saffar ripiegò verso una politica moderata, volta al compromesso con il Regno Saudita. Al culmine di questa svolta, l’ OIRAP si è trasformato nel 1091 in un partito riformista, sino a quando nel1993 si sciolse definitivamente.
L’ OIRAP sì segnalò per aver patrocinato la cosiddetta ” Rivolta di Qatif” nel 1979( dal nome della cittadina in cui ebbe luogo): una vera e propria guerra civile tra la minoranza sciita e i collaborazionisti sunniti da una parte e la maggioranza sunnita dall” altra. Gli sciiti si rivoltarono per le vessazioni e discriminazioni cui erano soggetti nel Regno Saudita.
Ho già accennato a come questa Guerra ” sotterranea” si sia propagata nel corso degli anni anche nel Maghreb, ove fazioni rivali si sono appoggiate all’ una o all’ altra delle due potenze regionali del Medio Oriente.
L’Egitto (a parte la breve parentesi del regno di Mohamed Moursi che ha incontrato Mahmoud Ahmadinejad in uno storico summit che aveva portato a un’effimera distensione nei rapporti tra Iran e Egitto) ha rapporti burrascosi con la Repubblica islamica iraniana di fatto dal 1979 e invece è in ottime relazioni con il Regno Saudita, mentre la Tunisia sotto la Presidenza di Ben Ali giunse ai ferri corti con la Repubblica islamica iraniana, accusandola di patrocinare attentati terroristi sul territorio nazionale.
LA QUESTIONE DEL SAHARA OCCIDENTALE
Arabia Saudita e Iran, lungi dall’ astenersi da ogni ingerenza e neutralità, sono entrate in gioco anche nell’ ormai atavico conflitto che oppone la repubblica marocchina alla repubblica araba democratica del Sahrawi(6). La prima ha appoggiato le pretese del Regno del Marocco di un assoggettamento totale del Sahara Occidentale, territorio peraltro sostanzialmente desertico ma ricco di materie prime e risorse minerarie; invece l’Iran appoggia le istanze di autodeterminazione del Sahrawi, il cui leader attualmente in esilio presso la cittadina algerina di Tindouf è Brahim Ghali.
Gli attriti sono tutt’ altro che destinati a sopirsi e peraltro, nella primavera del 2018, il Regno del Marocco ha accusato la Repubblica islamica iraniana di di fornire missili e attrezzature militari alla guerriglia del Fronte del Polisario attraverso la mediazione dell’ Hezbollah libanese.
Ipso facto, all’ ambasciatore iraniano in sede a Rabat fu intimato di lasciare il paese. Al contempo, sia il Presidente iraniano Hassan Rouhani che l’Hezbollah libanese respinsero le rimostranze mosse da Rabat come accuse infondate.
IL RUOLO DELL’ ETNIA HAZARA E DELL’ HIZB- I- WAHDAT- I- ISLAMI IN AFGHANISTAN NEGLI ANNI 90′
Nei primi anni 90′ l’ Afghanistan configurava praticamente come un ” vestito d’ Arlecchino”, ovvero come un mosaico di clan, gruppi tribali e milizie in conflitto, uno stato di permanente tensione cominciato ancora prima della caduta definitiva del regime comunista filosovietico di Najjibullah (7).
La maggior parte dei gruppi di miliziani erano di religione sunnita e appoggiati dalle monarchie del Golfo e dai loro servizi segreti: l’ Harakat-i-Inkilab-i-Islami (” Movimento Rivoluzionario islamico”) che era permeato dai valori tradizionali della civiltà pashtun, in cui probabilmente aveva militato il mullah Omar; l’ Hizb-i-Islami che rappresentava l’ala più moderata di quel partito e che aveva allora come propria guida Yunus Khales; inoltre la formazione integralista di Hektamiar, appoggiata dai servizi segreti pakistani (ISI), lo Jamiat-i-Islami-yi-Afganistan, antagonista di quella precedente, affiliata come branca locale ai Fratelli Musulmani,i cui miliziani appartenevano per lo più all’ etnia tagika, cui si aggiungeva un comando di guerriglieri autonomi (Shura) che presiedeva le tre provincie dell’ Est dell’ Afghanistan, la formazione del tagliagole Dostum che controllava allora le sei provincie del Nord e infine nel Sud della nazione decine di Signori della Guerra, cani sciolti, dediti al banditismo.
L’ Hizb-i-Wahdat-i-Islami era l’ unico partito di ispirazione sciita nato nel 1988 grazie a una fusione di organizzazioni di etnia hazara, lingua persiana e origine mongola (8).
Nel 1994 il partito suddetto controllava le provincie del centro dell’ Afghanistan. Si trovava sotto il fuoco incrociato di tutte le altre organizzazioni sunnite e alla fine dovette soccombere e abbandonare le poche posizioni controllate: si trovò peraltro nell’ impossibilità di stringere alleanze durature con le altre organizzazioni e, per quanto ufficialmente protetto dall”’Iran, gli ayatollah non garantirono sufficiente supporto logistico e militare. Ancora oggi l’ etnia sciita degli Hazara è oppressa e discriminata e moltissimi dei suoi membri hanno dovuto emigrare.
SIRIA E YEMEN
Nel passato prossimo due conflitti hanno insanguinato il Medio Oriente, con conseguenze ben più devastanti delle pur funeste “Primavere arabe” che hanno imperversato nel Maghreb nel 2011: il conflitto siriano che ha preso piede nel maggio 2013 e quello che vede tuttora contrapposta l’ Arabia Saudita e l’ etnia sciita degli Houthi nello Yemen.
Sul primo conflitto la vulgata dominante, presentata come tesi incontrovertibile ( al punto tale che tesi con essa non convergenti si potevano reperire soltanto nei siti di controinformazione) era basata sull’ idea che Bashar Assad, pur legittimo presidente della Siria, nondimeno ,dipinto come autocrate “corrotto”, avesse l’intera responsabilità dello scoppio del conflitto, “reo” di più di un decennio di malversazioni e oppressione dei più elementari diritti democratici.
Una narrazione più che discutibile, nella misura in cui dipinge i miliziani dell'” esercito siriano libero” come ” ribelli moderati e trascura di considerare gli ingenti interessi dell’ Occidente, del Mossad, dei servizi segreti delle monarchie del Golfo stesse nel destabilizzare la Siria (9).
A fianco dell’ esercito siriano regolare si schierarono gli Hezbollah libanesi, la Repubblica islamica iraniana e la Federazione Russa (il cui apporto fu decisivo per evitare la capitolazione della Repubblica siriana e la costituzione di un Califfato sormontato dal vessillo nero dei tagliagole dell’ Isis).
Impegnata nel conflitto siriano fedelmente a fianco dell’ esercito siriano regolare e di Teheran contro i tagliagole di Isis, Daesh e al Nusra. anche una milizia sciita afgana, nata nel 2014: la Liwa Fatemyoun, il cui primo leader fu Ali Reza Tavassoli, cui succedettero Mustafà Sardarzadeh e Hussain Fedayeen, tutti e tre deceduti a seguito di conflitti a fuoco con l’ Isis.
È bene ribadire che la Repubblica islamica iraniana e la Repubblica siriana sono vincolate da un’ alleanza politico-militare pluridecennale, a motivo del prevalere della confessione sciita nelle due nazioni (declinata nello sciismo duodecimano in Iran e settimano in Siria). Lo stesso clan alawita cui appartiene il presidente Bashar Assad è musulmano scita.
Pure la decisione della Repubblica islamica iraniana di schierarsi a fianco dell’ esercito siriano regolare è stata tutt’ altro che automatica, nella misura in cui il presidente iraniano ha dovuto ponderare accuratamente benefici e svantaggi di questa deliberazione; realizzando alla fine che la caduta del regime di Assad, caldeggiata da Occidente e monarchie del Golfo, la destabilizzazione e balcanizzazzione della Siria, il trionfo dei jihadisti wahabbiti sarebbe stato disastroso perché avrebbe comportato uno status di anarchia e la certa persecuzione degli sciiti.
Hassan Rouhani dovette in quel frangente anche affrontare il malcontento popolare, dal momento che una cospicua percentuale degli iraniani lo accusava di investire in un conflitto esterno ingenti risorse che avrebbero potuto essere impiegate per risollevare la situazione economica interna.
Come riportavano l’ agenzia di stampa iraniana Fars e il quotidiano ” The New Arab”, nel corso di una visita non annunciata avvenuta il 26 febbraio 2019 del premier siriano Bassar Assad presso la guida suprema della Repubblica islamica iraniana, l’ ayatollah Khamenei, questi si complemento vivamente, definendolo “l’ eroe del mondo arabo”.
All’ Occidente e agli Usa non era riuscito in Siria quel golpe destabilizzante che avevano portato a frutto in Libia (con l’ assassinio di Muammar Gheddafi), in Tunisia (con la cacciata di Ben Ali) e in Egitto (ove il ” successo” della Primavera araba aveva portato all’ effimera elezione del leader della Fratellanza Musulmana Mohamed Moursi e all’ arresto di Hosni Mubarak).
Nel 2019 la coalizione tra Repubblica siriana, Iran, Hezbollah,e Federazione Russa aveva quasi completamente smantellato le roccaforti dei terroristi e nelle mani di costoro non rimaneva che la base di Idlib. Il prestigio della Repubblica islamica iraniana saliva alle stelle e per contraccolpo, la sconfitta di terroristi e ribelli significava una ferita difficile da riemarginare per la monarchia Saudita che ben prima dello scoppio del conflitto non aveva smesso di armare e finanziare fondamentalisti takfiri, salafiti e wahabbiti per detronizzare Bashar Assad
Il conflitto tra Yemen e Arabia Saudita si configura come una propaggine della cosiddetta ” primavera yemenita” che nel 2014 era culminata in una ribellione popolare contro l’ ex presidente Ali Abdullah Saleh e alla presa del potere da parte di un nuovo rais, Mansour Abderrabou Hadi che aveva instituito il proprio quartier generale ad Aden nel sud della nazione; sussegui una guerra civile tra i sostenitori dell’ ex presidente Saleh ( tra i quali il clan degli Houthi, che pure nel 2014 avevano preso parte all’ insurrezione antigovernativa, e quelli del nuovo leader Hadi).
Al seguito dell’ offensiva vittoriosa del Consiglio Politico degli Houthi che il 25 marzo 2015 avevano espugnato la città di Aden e costretto le forze governative di Mansur Hadi a fuggire e riparare in Arabia Saudita, i sauditi avevano promosso una coalizione (comprendente Emirati Arabi Uniti, Egitto, Giordania,e in un primo momento il Marocco) al fine di invadere lo stato yemenita e cacciare il Consiglio Politico degli Houthi dalle posizioni conquistate.
Lo status della nazione yemenita nel corso dell’ aprile 2021 era il seguente: il Consiglio politico Houthi controllava saldamente l’ area occidentale, le forze militari fedeli a Mansur Hadi la parte orientale, la zona costiera a sud era presidiata dal Consiglio di Transizione del sud e infine l’AQAP ( una milizia qaedista con sede nella penisola arabica) che aveva preso parte al conflitto sia contro gli Houthi che contro le forze governative di Mansur Hadi, si era impossessata di alcune roccaforti al centro e sulla costa.
Non è molto chiaro il ruolo dell’ Iran in relazione al conflitto; la comune appartenenza alla confessione sciita di iraniani e clan degli Houthi ( i primi sono di confessione duodecimana e riconoscono legittima una discendenza di dodici imam, mentre i secondi sono zayditi e riconoscono una discendenza di sette imam) consente di avvalorare l’ ipotesi di un supporto logistico e militare agli Houthi da parte di Teheran; ma costoro hanno sempre rivendicato la propria autonomia d’ azione.
In un conflitto innescato dal pronunciamento dei comitati popolari nel settembre 2014 contro Abdallah Saleh ( che quindi andrebbe definito più precisamente come ” autunno arabo”, anziché ” primavera araba”), gli Houthis hanno dimostrato da subito straordinario valore; nonostante i sauditi fossero di gran lunga più attrezzati dal punto di vista logistico e militare (anche in forza dell’ equipaggiamento di ” bombe intelligenti”(10)da parte di alcuni paesi europei), il Consiglio politico supremo Houthi è arrivato nel 2020 al controllo politico di tutto il paese, eccezion fatta per la regione di Marib .
Ma ha sempre rivendicato il marchio delle proprie imprese, che invece spesso la stampa medio-orientali interpretava come operazioni ” false flag”, cioè sotto falsa bandiera, orchestrate quindi da Teheran.
Del resto, non è un mistero che la Repubblica islamica iraniana sia stata accusata da Usa e sauditi di rifornire di armi la guerriglia degli Houthi, anche tramite la mediazione dell’ Eritrea (ove l’ Iran ha appostato da tempo una base militare..).
Accuse che l’ Iran ha sempre liquidato come infondate e rispedito ai mittenti.
Nel frangente attuale si intravvedono spirali di dialogo tra le due potenze regionali, contrapposte da una linea di faglia che sembrava stroncare inevitabilmente ogni apertura effimera ( così, la prospettiva di dialogo tra Teheran e Riyad che si era aperta nel settembre 2019 era fallita).
Anzi, dall’ aprile 2021 possiamo attestare l’ esistenza di un dialogo ufficiale ( 11) tra i due attori del Medio Oriente: il ministro degli esteri Mohamed Zarif ha visitato alcune monarchie del Golfo,ad esempio il Kuwait.Il monarca regnante Bin Salman,da parte sua, ha dichiarato improducente l’ostinazione alla barriera rispetto alla Repubblica islamica iraniana, per cui l’Iran non può più essere trattato alla stregua di una nazione estranea al Medio Oriente: diversamente,la conseguenza sarebbe l’ esacerbazione e cronicizzazione di tensioni che non possono avere via d’ uscita.
Alla radice di questa svolta , indubbiamente, anche l’ inasprimento della politica israeliana nei territori occupati; nonostante il “patto di Abramo” che ha incoraggiato la normalizzazione dei rapporti tra monarchie del Golfo e Israele, l’Arabia Saudita ha condannato gli eccessi di Netanyahu, condanna che si è rivelata un fattore decisivo per riannodare i rapporti con lo storico rivale nel Medio Oriente.
Cari amici di Radio Spada e della Comunità Antagonista Padana, grazie per l’attenzione
(1) Su Mohammed Reza Pahlevi (1919_1980), secondo e ultimo regnante della dinastia omonima, la quasi totalità della bibliografia oggi è in lingua inglese e peraltro difficilmente reperibile, a parte il suo testamento personale che recava il titolo originale ” Answer to History”, poi tradotta in italiano con il titolo “Risposta alla storia”
(2) Al di là delle scarne mie annotazioni, per una ricostruzione sistematica delle differenze dottrinali tra sunnismo e sciismo, rinvio al saggio di Tommaso Campanini ” Califfato e potere” in ” Islam e politica”, il Mulino, Bologna,pp. 87-148
(3) Occorre comunque tenere presente che, mentre l’ideologia khomeinista ha profondamente permeato l’ Hezbollah libanese e le milizie sciite della Resistenza popolare irachena, gli sciiti zayditi dello Yemen (struttura portante delle milizie Houthis), gli Hazara afgani ( componente essenziale del ” Wahdat” afgano) ,e la stessa minoranza sciita saudita hanno legami meno saldi con Teheran e tendono a rivendicare la propria autonomia d’azione
4) Per ” accordi di Abramo” si intende una dichiarazione congiunta che il 13 agosto 2020 venne stipulata tra Usa, Israele e Emirati Arabi Uniti, cui fece seguito nel settembre dello stesso anno, con lo stesso nome, un vertice tra Israele, Emirati Arabi uniti e Bahrein tenutosi presso la South Lawn della Casa Bianca .Si giunse di fatto alla normalizzazione dei rapporti diplomatici tra questi paesi arabi e lo stato di Israele (fino allora soltanto Egitto e Giordania riconoscevano lo Stato di Israele,in virtù di accordi avvenuti rispettivamente nel 1979 e 1994).
Anche l’ Arabia Saudita, pur non avendo preso parte agli ” accordi di Abramo”, si avviò sulla via di una progressiva distensione nei rapporti con lo Stato ebraico
D
(5) del bombardamento alle torri Khobar furono incriminati dall’ FBI tredici cittadini sauditi (appartenenti alla milizia dell’ Hezbollah al Hajaz ) e un libanese. L’ Hezbollah sciita, con questo attacco all’ areonautica militare statunitense in territorio Saudita, rivendicava l’ allontanamento delle basi militari Usa dall”’ Arabia Saudita
(6) Il conflitto si trascina di fatto dal 1975, allorché dopo il decesso di Francisco Franco, il Polisario ottenne l’indipendenza dalla Spagna; attualmente, l’80% del territorio è sotto la giurisdizione del Marocco,il restante 20% è alla mercé degli scontri tra le numerose componenti tribali Tuareg; l’ attuale presidente della Repubblica democratica araba del Sahrawi, Brahim Ghali (1963) si era già distinto come storico leader della lotta per l’ indipendenza dalla Spagna
(7) Maurizio Stefanini, I nomi del male, Boroli, Milano, 2007,p.86
(8) ibidem
(9) Una ricostruzione attendibile del conflitto siriano, fuori dai mantra della narrazione ufficiale, viene fornita dal giornalista Fulvio Scaglione in ” Siria.I cristiani nella guerra”, Paoline, Milano, 2019. Ove peraltro viene messa in risalto la refrattaria tendenza dei giornalisti a intervistare i cristiani autoctoni,portavoci di una versione differente da quella maenstream
(10) Il sottoscritto riporta la comica definizione del primo ministro spagnolo Sanchez; intendendo per ” armi intelligenti” quelle che si sarebbero limitate a colpire obiettivi militari, salvaguardando quelli civili
(11) Le considerazioni fanno riferimento all’ articolo recente di Annalisa Perteghella, pubblicato sul sito Spionline( 7 maggio 2021)
Fonte immagine: Jacob Reimann (FLICKR CC BY 2.0)