Il 7 luglio 1946, nella consueta paradisiaca solennità della Cappella Papale, Pio XII proclamava Santa la beata Francesca Saverio Cabrini. Nata a Sant’Angelo Lodigiano il 15 luglio 1850, aveva fondato nel 1880 le Missionarie del Sacro Cuore di Gesù e nutriva il desiderio di partire missionaria in Cina. Leone XIII però nel 1889, invece che in Oriente, la inviò ad evangelizzare l’Occidente: fino alla morte, che la colse a New York il 22 dicembre 1917, operò un fecondissimo apostolato fra gli immigranti italiani in America e fra le tribù ancora pagane del continente, affrontando aspre lotte con massoni e protestanti e dando sublimi esempi di amoroso eroismo.
Di seguito l’omelia che il Sommo Pontefice pronunziò dopo averla ascritta nei fasti dei Santi.

Mentre le cose umane si susseguono le une alle altre e tutte poco a poco invecchiano, si rovinano e cadono, le glorie invece, le iniziative e le opere che partono dalla santità cri­stiana con l’andar del tempo non solo si mantengono, ma prosperano rigogliosamente so­stenute da una forza mirabile. A simiglianza «del grano della[ senape che … è il più piccolo fra tutti i semi … ma quando è sta­to seminato si sviluppa e diventa il maggiore fra gli albe­ri n (Marc. 4, 31-32), anch’esse ogni giorno s’accrescono e fini­scono per invadere tutto il mondo. Questa meraviglia, chedi frequente si verifica per di­sposizione della Divina Prov­videnza negli annali della Chiesa, oggi soprattutto riesce confortante in un momento in cui gli uomini abbisognano co­me non mai dello splendore e del frutto della santità. Noi ciò pensiamo con grande conforto mentre sotto l’influsso della divina grazia Ci è dato di ono­rare con l’aureola dei Santi la beata vergine Francesca Save­rio Cabrini. Ella fu un’umile fanciulla che si distinse non già per censo, ricchezze o po­tenza, ma per virtù. Fin dalla età più tenera ella conservò il candore dell’innocenza preser­vandolo accuratamente con le spine della penitenza; e con l’avanzare degli anni, spinta da un istinto e da un afflato su­perno, dedicò l’intiera sua vita al divino servizio e all’accre­scimento della divina gloria. Benché fosse di costituzione as­sai gracile, aveva l’animo do­tato di forza così singolare, che, conosciuta la volontà di Dio nei suoi riguardi, nulla tra­lasciava per compirla anche quando sembrava chiedere co­se ardue e superiori alle forze di una donna. Avvenne così che con l’aiuto della grazia l’umile istituto di suore da lei fondato in breve tempo si spar­se in Italia, in America e in molte altre città del mondo. Raccolse in case sicure la gioventù pericolante e l’educò ai principii retti e santi; con­solò l’animo dei carcerati, li confortò con la speranza eter­na, e li sollecitò a riprendere il sentiero buono e a rifarsi una vita onesta; consolò gli ammalati e gli infermi raccolti negli ospedali e n’ebbe cura assidua; agli emigrati special-mente che, lasciata la propria casa e da tutti abbandonati, conducevano una vita misera­bile e in continuo pericolo di perdere con la pratica cristiana la fede della Religione cattoli­ca, porse un’amica mano, un soccorrevole rifugio, un sollie­vo, un aiuto. Donde trasse, o Venerabili Fratelli e diletti figli, questa vergine tanta forza e così in­crollabile energia che le con­sentì di esplicare così vasta at­tività e di vincere difficoltà di cose, di viaggio e di uomini? Sempre occupatissima, donde le veniva quell’avvicinarsi se­reno e confidente alla mèta, senza che la turbasse il timore dei pericoli e lo. concitazione di una vita turbinosa? Dalla fede senza dubbio, che sempre vivida vigoreggiava nel suo cuore; dalla carità di­vina che l’infiammava; dalla preghiera incessante con la quale impetrava e otteneva da Dio, cui sempre era stretta-mente congiunta, quel che l’u­mana debolezza non poteva raggiungere. Anche in mezzo alle più assillanti cure e angu­stiata dalle vicende alterne delle cose, a questo ella tende­va e a questo mirava il suo I intendimento e il suo proposito senza che nulla potesse stac­carcela: piacere a Dio, da Lei sopra ogni cosa amato, e lavo­rare per la sua gloria per cui nulla le sembrava faticoso, nulla difficile, nulla al di sopra delle forze umane corrobori te dalla grazia. In ogni atteggia­mento emanava dal suo volto quasi una celestiale serenità e una luce superiore. Le suore che la seguivano come legisla­trice e maestra erano indotte dolcemente a imitare i santi esempi della vita sua, cosi che ella poteva far sue le esorta­zioni dell’Apostolo: «Imitate me come io imito Cristo» (1 Cor. 4, 16; 11, 1). Non soltanto però le suore ma tutti hanno motivo di os­servare e imitare le virtù di Francesca Saverio Cabrini. E quelli che oggi si lasciano trop­po facilmente e disordinatamente distrarre dagli avveni­menti esterni, imparino da lei che i beni dell’anima contano assai di più, e che tutto deve tornare a gloria di Dio e concorrere alla salvezza eterna. Nazioni e popoli imparino da lei – che amò d’ardentissimo amore la sua patria e profuse – i tesori della sua carità e della sua laboriosità anche ad altri paesi – che sono chiamati a costituire una sola famiglia; una famiglia che non deve di­vidersi in un’ambigua e torbi­da rivalità né dissolversi in eterne inimicizie per le offese arrecate, ma congiungersi nel fraterno amore che nasce dal comandamento di Cristo e dal suo divino esempio. Impetri ciò dal «Principe della Pace» (cfr. Is. 9, 6) e dal Padre di noi tutti questa novella Santa, di modo che, spenti gli odi e placati gli animi, regolate le relazioni pubbliche e private non nel desiderio sfrenato del proprio vantaggio ma nella giustizia e nell’equità, arrida al genere umano la pace vera da cui sorgerà il comune benes­sere ogni giorno più prospero.

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