di Luca Fumagalli
Della vita e dell’arte di Aubrey Beardsley ci siamo già occupati in un altro articolo: QUI.
Per chi fosse interessato ad approfondire la figura di Beardsley e quella di molti altri intellettuali del cattolicesimo britannico, si segnala l’uscita del saggio “Dio strabenedica gli inglesi. Note per una storia della letteratura cattolica britannica tra XIX e XX secolo”. Link all’acquisto.
Perfetta incarnazione dello spirito fin de siècle e poseur senza ritegno, Aubrey Beardsley (1872-1898) è stato uno degli artisti più dirompenti al tramonto dell’epoca vittoriana. Nonostante sia morto quando non aveva compiuto ancora ventisei anni – «all’età di un fiore» come rimarcò Wilde –, la sua breve carriera artistica, durata poco più di un lustro, fu sufficientemente brillante da valergli l’apprezzamento del pubblico e della critica, nonché una fama che ancora oggi continua. Tuttavia i suoi disegni a penna, rigorosamente in bianco e nero, abitati da Pierrot danzanti, gnomi deformi e donne fatali, non mancarono di suscitare anche nugoli di polemiche, da più parti giudicati perversi e osceni (al pari dei suoi scritti, compreso il romanzo incompiuto Under the Hill).
Meno nota è invece la parabola spirituale dell’artista inglese che, iniziata in seno all’anglicanesimo, lo portò infine a farsi cattolico. Nondimeno si trattò di un percorso tortuoso, reso ancora più problematico dall’ambigua attitudine che Beardsley dimostrò sempre nei confronti dell’autorità, al contempo ammirata e derisa.
Lui a la sorella Mabel – di un anno più grande – erano stati abituati, sin da piccoli, a recarsi in chiesa ogni domenica. Al contrario di tanti coetanei, costretti dalle minacce dai genitori, loro vi andavano con la gioiosa spensieratezza di due amanti della musica e della liturgia. Non a caso preferivano le parrocchie anglo-cattoliche dove le cerimonie erano molto curate dal punto di vista formale, con incenso e paramenti sacri a imitazione del modello romano. La frequentazione di simili ambienti, oltre alla buona abitudine di un confessione regolare, insegnò al piccolo Aubrey la devozione per la Madonna. Il suo legame e quello della sorella con la chiesa dell’Annunciazione di Brighton era così stretto che, almeno per un certo periodo, il reverendo George Chapman fu per loro una sorta di secondo padre.
A partire dal 1889, quando le cattive condizioni economiche della famiglia lo costrinsero a lavorare come impiegato per una compagnia di assicurazioni, Beardsley scoprì nella religione una consolazione e una fuga dalla monotonia dell’esistenza. All’epoca frequentava la chiesa anglo-cattolica di San Barnaba, nel quartiere londinese di Pimlico, il cui parroco, Alfred Gurney, era un appassionato di musica e di letteratura.
Con l’ingresso nel mondo dell’arte, Beradsley ebbe occasione di incontrare diversi cattolici più o meno rispettabili quali Robert Ross, famoso per essere stato il primo amante di Wilde, Vincent O’Sullivan, Henry Harland – con cui collaborò alla direzione dello «Yellow Book» – e il conte Eric Stenbock, un oscuro letterato paganeggiante che divenne presto suo mecenate. Pure il critico che ebbe il merito di riconoscerne per primo il talento, ovvero Aymer Vallance, era un ex prelato anglicano che si era convertito alla Chiesa di Roma.
Beardsley non si curava affatto dell’ortodossia cristiana dei propri disegni. A causa della tubercolosi di cui soffriva sin da ragazzo, sapeva che la sua vita non sarebbe durata ancora a lungo, perciò l’unica cosa che andava cercando era un rapido successo. La conseguenza è che nelle sue opere l’ossessione per il sesso e per lo squallore dei bassifondi divenne via via sempre più evidente: dopo la morte del fratello, Mabel scrisse a W. B. Yeats che lui «odiava le persone che negavano l’esistenza del male, ed essendo così giovane riempiva le sue immagini di male. Aveva una passione per la realtà». Se le opere di Beardsley avevano senza dubbio l’obiettivo di scioccare un pubblico che preferiva non guardare in faccia la vita, fatta anche di sporcizia e miseria, quanto sostenuto dalla sorella sa un po’ troppo di facile giustificazione. Rimane comunque il fatto che la sensualità dei disegni di Beardsley è il più delle volte grottesca e ripugnante, un unicum nel panorama dell’arte erotica del XIX secolo.
Nel 1894, pur rimanendo formalmente anglicano, Beardsley smise di frequentare la parrocchia di San Barnaba per recarsi regolarmente a messa al Brompton Oratory, sede degli oratoriani di Londra. Con tutta probabilità si limitò a seguire la moda del momento dato che le eccezionali conversioni di Ernest Dowson, Lionel Johnson, Paul Verlaine e J. K. Huysmans avevano finito per elevare il cattolicesimo a credo per eccellenza dell’artista decadente.
L’anno seguente, dopo il polverone sollevato dal processo a Wilde, Beardsley visse un momento di profonda crisi, infastidito dagli attacchi della stampa e ormai consapevole di come, a tirare troppo la proverbiale corda, si corra seriamente il rischio di spezzarla con esiti drammatici. Soprattutto, a tormentarlo era la radicata convinzione che arte e morale non potessero andare d’accordo; d’altronde non si era mai nemmeno lontanamente sognato di ammantare i suoi lavori di una qualche spiritualità, e allo stesso tempo fu immune da quella fascinazione per l’occulto che caratterizzò invece molti intellettuali dell’epoca.
Su suggerimento della sorella – nel frattempo fattasi cattolica – si mise allora in contatto con Marc André Raffalovich, un ricco letterato francese di famiglia ebraica, non molto più anziano di lui, autore di alcuni studi pionieristici sulle inversioni sessuali (anch’egli sarebbe entrato nella Chiesa di Roma nel 1896). Tra i due nacque un profondo legame e Raffalovich non ci pensò due volte a supportare l’amico pure con degli assegni periodici. Tramite lui, Beardsley ebbe poi l’occasione di conoscere Padre Charles de Laposture, un gesuita di Boscombe, e John Gray, ex poeta decadente destinato a diventare parroco a Edimburgo i cui Spiritual Poems gli furono di grande conforto.
Il 31 marzo 1897 Beardsley venne finalmente accolto nella Chiesa cattolica dal gesuita David Bearne. In quel periodo si trovava a Bournemouth, nel Dorset, nella speranza che l’aria salubre della costa potesse giovare a una salute in rapido declino. Da lì scrisse immediatamente a Raffalovich, a Gray e a Mabel per annunciare loro quello che considerava «il passo più importante» della sua vita.
Non vi è alcun dubbio sulla sincerità della conversione di Beardsley, tra l’altro confermata da coloro che lo conobbero bene così come da successivi studiosi del calibro di Matthew Sturgis. Anche il poeta Lionel Jonhson, con cui fu sempre in pessimi rapporti, non aveva riserve: «Posso dire, empaticamente, che la sua conversione fu un’opera dello spirito e non un cambiamento mezzo sincero ed estetizzante, nemmeno una sorta di esperienza o esperimento emozionale: divenne un cattolico con vera umiltà ed esaltazione dello spirito, disposto a sacrificare molto».
Traferitosi in Francia, Beardsley prese a interessarsi alla figura di San Tommaso d’Aquino, colui che tentò di accordare il pensiero pagano con la Fede cristiana, e prese a leggere gli scritti di Sant’Alfonso Maria de’ Liguori. Divenne inoltre amico di diversi sacerdoti a cui confidò il desiderio di inaugurare un nuovo periodico cattolico, e non era raro vederlo recarsi alla chiesa parigina di Saint-Sulpice – la sua preferita – per lunghe sessioni di preghiera. L’artista William Rothenstein, una vecchia conoscenza, notò un profondo mutamento nei suoi modi di fare: «Tutti gli artifici erano scomparsi. […] Era gentile e affettuoso».
Agli inizi del 1898, intuendo una fine ormai prossima, Beardsley implorò l’editore Leonard Smithers di distruggere tutti i suoi disegni osceni, una richiesta che Smithers, notoriamente spregiudicato e avido di denaro, fece solamente finta di assecondare.
L’artista inglese spirò poco tempo dopo, il 16 marzo, con il conforto dei sacramenti, convincendo anche la madre ad abbracciare la Fede cattolica. Mabel scrisse a Ross che era morto «come un santo, […] pieno di amore, pazienza e pentimento».
Fonti: M BENKOVITZ, Aubrey Beardsley, Hamish Hamilton, Londra, 1981; M. STURGIS, Aubrey Beardsley: A Biography, Flamingo, Londra, 1999.