Finalmente è giunta la reazione [1] del Cardinale Robert Sarah, ex Prefetto del Culto Divino, al motu proprio Traditionis Custodes.
Una reazione surreale!
Certamente i più divulgano parti dell’intervento come:

Un padre non può introdurre sfiducia e divisione tra i suoi figli fedeli. Non può umiliare alcuni mettendoli contro altri. Non può ostracizzare alcuni dei suoi sacerdoti. La pace e l’unità che la Chiesa pretende di offrire al mondo devono prima essere vissute all’interno della Chiesa.
In materia liturgica, né la violenza pastorale né l’ideologia di parte hanno mai prodotto frutti di unità. La sofferenza dei fedeli e le aspettative del mondo sono troppo grandi per impegnarsi in queste strade senza uscita. Nessuno è troppo nella Chiesa di Dio!

Noi però ci soffermiamo su altre parti:

Questa è senza dubbio la ragione per cui Benedetto XVI ha potuto autorevolmente affermare: “Nella storia della liturgia c’è crescita e progresso, ma nessuna rottura. Ciò che le generazioni precedenti ritenevano sacro, rimane sacro e grande anche per noi, e non può essere improvvisamente completamente proibito o addirittura considerato dannoso. È dovere di tutti noi preservare le ricchezze che si sono sviluppate nella fede e nella preghiera della Chiesa, e dare loro il giusto posto”. 
In un momento in cui alcuni teologi cercano di riaprire le guerre liturgiche contrapponendo il messale rivisto dal Concilio di Trento a quello in uso dal 1970, è urgente ricordarlo. Se la Chiesa non è capace di conservare la continuità pacifica del suo legame con Cristo, non potrà offrire al mondo “il sacro che unisce le anime”, secondo le parole di Goethe.
Al di là della disputa sui riti, è in gioco la credibilità della Chiesa. Se essa afferma la continuità tra quella che viene comunemente chiamata la Messa di San Pio V e la Messa di Paolo VI, allora la Chiesa deve essere in grado di organizzare la loro coabitazione pacifica e il loro reciproco arricchimento. Se si dovesse escludere radicalmente l’una a favore dell’altra, se si dovesse dichiararle inconciliabili, si riconoscerebbe implicitamente una rottura e un cambiamento di orientamento. Ma allora la Chiesa non potrebbe più offrire al mondo quella continuità sacra, che sola può darle pace. Mantenendo viva una guerra liturgica al suo interno, la Chiesa perde la sua credibilità e diventa sorda alla chiamata degli uomini. La pace liturgica è il segno della pace che la Chiesa può portare al mondo.

La continuità che si ricerca fra due riti, Eminenza, non c’è! Non può esserci!
Il rito nuovo nasce per ecumenismo, per fare la pace (che ossessione questa pace!) coi protestanti nemici della Messa Romana.
Lo disse Jean Guitton, amico intimo di Montini: “C’è in Paolo VI l’intenzione ecumenica di cancellare – o almeno di correggere, di attenuare – ciò che c’è di troppo [sic!] “cattolico”, in senso tradizionale, nella Messa, e di avvicinare la Messa cattolica – lo ripeto – alla messa calvinista”.
Con gioia lo proclamarono molti pastori protestanti, e l’abbiamo tante volte scritto.
Lo affermarono i cardinali Ottaviani e Bacci quando, in ordine alla messa di Paolo VI, parlano di rottura con il dogma definito a Trento: “Il Novus Ordo Missæ, considerati gli elementi nuovi, suscettibili di pur diversa valutazione, che vi appaiono sottesi ed implicati, rappresenta, sia nel suo insieme come nei particolari, un impressionante allontanamento dalla teologia cattolica della Santa Messa, quale fu formulata nella Sessione XXII del Concilio Tridentino”.
Furono dello stesso avviso i redattori del Breve esame critico del Novus Ordo Missae: “Il nuovo rito è dato quindi in partenza come pluralistico e sperimentale, legato al tempo e al luogo. Spezzata così per sempre l’unità di culto, in che cosa consisterà ormai quell’unità di fede che ne conseguiva e di cui sempre si parla come della sostanza da difendere senza compromissioni? È evidente che il Novus Ordo non vuole più rappresentare la fede di Trento. A questa fede, nondimeno, la coscienza cattolica è vincolata in eterno. Il vero cattolico è dunque posto, dalla promulgazione del Novus Ordo, in una tragica necessità di opzione”.
E l’opzione è: o la Messa Romana, vulgo di San Pio V, o la messa di Paolo VI.
Non è una scelta pacifica, ma la pace non è un valore assoluto: chi ha conservato il Messale Romano durante la persecuzione montiniana ha fatto la guerra, una guerra che ancora si combatte.

[1] Il testo integrale su sabinopaciolla.com
[2] Dichiarazioni a Radio-Courtoise il 19 dicembre 1993. La trascrizione completa si può leggere all’interno del nostro articolo Jean Guitton e la messa ecumenica … di Paolo VI.

Fonte immagine newliturgicalmovement.org