di Luca Fumagalli
Continua con questo nuovo articolo la rubrica infrasettimanale di Radio Spada dedicata all’approfondimento e al commento dei racconti di Padre Brown, il celebre sacerdote detective nato dalla penna di G. K. Chesterton, tra i più grandi intellettuali cattolici del Novecento. I racconti, a metà strada tra investigazione e apologetica, hanno per protagonista il buffo e goffo Padre Brown, interessato sia a risolvere i crimini che a salvare le anime dei colpevoli.
Per una disamina introduttiva sulla figura di Padre Brown – protagonista pure di vari film, sceneggiati per la televisione e, addirittura, fumetti – si veda il breve articolo a questo link.
Per le precedenti puntate… da “L’innocenza di Padre Brown” (1911): 1. La Croce azzurra / 2. Il giardino segreto / 3. Il passo strano / 4. Le stelle volanti / 5. L’uomo invisibile / 6. L’onore di Israel Gow / 7. La forma errata / 8. Le colpe del Principe Saradine / 9. Il martello di Dio / 10. L’occhio di Apollo / 11. All’insegna della spada spezzata / 12. I tre strumenti di morte. Da “La saggezza di Padre Brown” (1914): 1. L’assenza del Signor Grass / 2. Il paradiso dei ladri / 3. Il duello del dottor Hirsch / 4. L’uomo nel passaggio / 5. L’errore della macchina / 6. La testa di Cesare / 7. La parrucca violacea / 8. La fine dei Pendragon / 9. Il Dio dei Gong / 10. L’insalata del Colonnello Cray / 11. Lo strano delitto di John Boulnois
Prima di iniziare, per chi fosse interessato ad approfondire l’opera di G. K. Chesterton e quella di molti altri scrittori cattolici britannici si segnala l’uscita del saggio “Dio strabenedica gli inglesi. Note per una storia della letteratura cattolica britannica tra XIX e XX secolo”. Link all’acquisto.
Dodicesimo e ultimo racconto della raccolta La saggezza di Padre Brown (1914), La favola di Padre Brown (The Fairy Tale of Father Brown) ricorda nella struttura storie come All’insegna della spada spezzata, dove il sacerdote investigatore si trova a confrontarsi con delitti avvenuti nel passato. La vicenda, ambientata nella «pittoresca città-stato di Heiligwaldenstein, […] uno di quei minuscoli regni dei quali sono ancora formate certe parti dell’Impero Germanico», offre a Chesterton il destro per alcune considerazioni a proposito dello spirito germanico, uno strano – e pericoloso – impasto di pragmatismo e di inclinazione al fantastico (la fiaba, ad esempio, è definita «un qualcosa di incomprensibilmente tedesco»). Ad essere messa alla berlina è anche la scienza con le sue pretese snobistiche di comprendere ogni cosa e il suo facile asservimento al potente di turno: «Non vi sono uomini che amino portare le loro decorazioni quanto gli scienziati».
Al di là di una considerazione preliminare sui piccoli regni che compongono l’Impero – «L’impressione di puerilità è il lato più affascinante della Germania, quelle piccole pantomime di paterne monarchie nelle quali un re sembra familiare come un cuoco» – un primo indizio della vis polemica dell’autore nei confronti dell’animo tedesco lo si rintraccia già nelle righe iniziali, quando viene spiegato che Padre Brown, nonostante l’aspetto prosaico e la vita generalmente pratica, «non era privo di una certa sfumatura romantica, benché abitualmente, tenesse per sé i suoi castelli in aria come fanno molti ragazzi». Chesterton riconosce al fanciullo una capacità superiore di comprendere la realtà nei suoi aspetti meravigliosi e misteriosi – l’analogia con la poetica di Pascoli è d’obbligo – ma, allo stesso tempo, ne elogia il pudore intellettuale, quello che manca a certi pensatori teutonici che ammorbano il mondo con le loro balzane filosofie.
Scaldato dal sole di una bella giornata estiva, mentre sorseggia dell’ottima birra bavarese, Flambeau racconta a Padre Brown la singolare morte del principe Otto di Grossenmarck, ultimo regnante di Heiligwaldenstein in rappresentanza degli interessi imperiali, ucciso in circostanze misteriose circa vent’anni prima. La piccola città-stato era stata annessa alla Germania con grandi sforzi a causa della tenace opposizione di un gruppo di ribelli guidati dai tre fratelli Arnhold. La loro sconfitta fu infine causata dal tradimento di uno di questi, Paul, per ricompensa nominato ciambellano. Agli altri due fratelli toccò invece una sorte decisamente peggiore: Ludwig venne ucciso mentre Heinrich si fece eremita, vivendo in povertà tra le montagne della zona. Il principe, ossessionato dal timore di nuove rivolte, vietò le armi in tutto il regno e per tutelare la propria incolumità fece costruire per sé un sistema di stanze così intricato da sembrare un labirinto: «Nella sua ansietà di sfuggire alla tomba, egli aveva la volontà di chiudersi in un luogo molto simile a questa». Fatto sta che una notte, mentre a palazzo era stato convocato un manipolo di geologi per studiare la conformazione del territorio alla ricerca di giacimenti d’oro, il suo cadavere venne ritrovato nel bosco da una ragazza di corte, Hedwig, nipote del ciambellano: il principe era stato ucciso con un colpo d’arma da fuoco che lo aveva raggiunto direttamente alla bocca. Nessuno sapeva spiegarsi come mai si trovasse fuori casa da solo a quell’ora; strano, poi, che qualcuno avesse potuto introdurre una pistola a Heiligwaldenstein senza venir notato dalle guardie.
Padre Brown, dopo aver ascoltato pazientemente il resoconto di Flambeau, inizia ad avanzare una serie di obiezioni: il fatto che i fiori raccolti dalla ragazza avessero il gambo corto significa che sono stati strappati di fretta, senza alcuna cura, segno che qualcuno desiderava procurarsi un alibi. Anche per quanto concerne l’arma del delitto non si può navigare nel campo degli assoluti: «La scienza umana non può mai essere certa di simili faccende, […] non fosse che per la difficoltà della spiegazione e della connotazione. Che cos’è un’ “arma”? Tanta gente è stata uccisa con i più innocenti utensili domestici».
Troppe cose effettivamente non tornano e il prete si prende del tempo per meditare: «Sono in vacanza e non ho teorie. Soltanto che questo luogo mi rammenta delle favole, e, se non vi secca, vi racconterò una storia». Padre Brown rivela quindi a Flambeau, in forma di racconto, le sue idee a proposito del caso: accecato dalla cupidigia, il principe era uscito nottetempo nei boschi in cerca di Heinrich Arnhold, l’unico in grado di rivelargli il segreto su dove si nascondesse la famosa riserva aurea di Heiligwaldenstein. D’altronde il tentativo meritava di essere fatto anche perché l’eremita, ormai convertito al pacifismo, non avrebbe comunque costituito una minaccia. Quando però il principe si mise a parlare di armi, un inorridito Heinrich ordinò ai servi di imbavagliarlo con la sua stessa sciarpa e di ricondurlo sulla via di casa: «Otto aveva il vizio del suo tipo e della sua tradizione prussiana, che è quello di ritenere il successo non come un incidente ma come una qualità. Egli concepiva se stesso e i suoi simili come gente perpetuamente in conquista che sono perpetuamente conquistati. Di conseguenza, egli aveva una pessima conoscenza dell’emozione della sorpresa». Vittima dell’imprevisto, tornando a palazzo il principe non era riuscito a dichiarare la propria identità a una delle guardie, che, nel buio, aveva finito per ucciderlo con un colpo di fucile (ecco perché il doppio foro, uno nella sciarpa e l’altro in bocca). La sentinella – di nome Schwartz e destinata negli anni successivi a una carriera di successo – era riuscita in qualche modo a ottenere la complicità di Hedwig, che aveva recuperato il proiettile e che aveva dato l’allarme solamente dopo che l’uomo si era allontanato indisturbato, ritornando al suo posto. Se i due, all’epoca, fossero già innamorati è impossibile dirlo, quel che è certo è che tempo dopo convolarono a nozze: in quel bosco «vi fu una fiaba, dopotutto, orribile quanto lo era la sua causa».
Tuttavia la vicenda nasconde forse un retroscena ancora più squallido, e nell’epilogo Padre Brown si trova a osservare meditabondo un ritratto del ciambellano: «Io mi chiedo quale parte… Io mi chiedo se un uomo è meno traditore quando è traditore due volte…».