Chiacchierata col Guelfo Rosa
RS: Una volta per descrivere una rivolta che fa poca paura si diceva “fare la rivoluzione col permesso della questura” e oggi lei ci fa titolare come sopra: vuole farci passare un guaio o le basta renderci più impopolari di quanto già non siamo?
GR: Bisogna infischiarsene di essere impopolari. E se qualcuno viene a farvi la lezioncina, rispondetegli serenamente che a fronte di tonnellate di chiacchiere facebookiane gli unici che hanno fatto una giornata cattolica integrale senza richiedere Green Pass sono stati quelli di Radio Spada. E che la giornata è andata pure bene.
RS: Torniamo alla rivoluzione e alla questura.
GR: Sì, sarò impopolare: siamo passati dalla rivoluzione col permesso della questura alla rivoluzione col permesso del vicequestore. Badate: non mi abbandono ad alcuna dietrologia e credo alla buona fede della poliziotta che ha invocato la disobbedienza civile dal palco romano, ma se vogliamo uscire dal solito derby simil-televisivo “anche il poliziotto ha la libertà di espressione – w la costituzione” vs “un servitore dello stato non doveva intervenire”, forse è il caso di fare mezzo passo avanti.
RS: E facciamolo.
GR: Ripeto: non credo che il movimento No Green Pass sia eterogestito con una congiura diretta. Nemmeno credo che i suoi (sfuggenti) vertici siano in malafede. Credo però che ci siano un paio di indicatori pronti a suggerirci che siamo di fronte all’ennesimo caso di opposizione effimera, confusionaria e attivistica. Quando una rivolta è armonizzabile con le istanze di chi fino a 5 minuti prima era dalla parte “del potere” c’è un problema. Ed è grosso. Badate: la critica filosofica di Cacciari al Green Pass ha risvolti che con la Tradizione non hanno nulla a che vedere, partendo da presupposti antitetici, in particolare per quanto riguarda – come faceva notare giustamente Pietro de Marco – il ruolo della sussistenza del “politico” e del suo potere frenante. Su queste pagine abbiamo spesso criticato le scelte governative, anche duramente, ma stiamo attenti a credere che sia sufficiente essere dall’altra parte per avere tutte le carte in regola. Non mi spaventa (seppur almeno curioso) un vicequestore che arringa le folle inneggiando alla disobbedienza, mi preoccupa – e molto – la forma di quella presunta disobbedienza, la sua matrice filosofica, il suo inquadramento metapolitico. Insomma: credo che le vie di quella disobbedienza, ora prendendo a riferimento un pensatore tutt’altro che cristiano con Cacciari, ora un attivista intellettuale come Bernard-Henri Lévy, ora una dirigente di polizia ancora in servizio, finisca per essere più un happening che una reale resistenza.
RS: Ci sta dicendo che non dobbiamo solo brontolare contro lo stare in maggioranza di Salvini e contro l’opposizione fiacca della Meloni ma persino contro le piazze?
GR: No, non dico di brontolare. Le piazze – penso in particolare ai ristoratori e a chi vive di ricezione turistica – presentano istanze che sono segno di una preoccupazione vera. Ciò che dico è che non dobbiamo scambiare un movimento che ha sempre più le caratteristiche di una lista di scopo con una sorta di volano della controrivoluzione. Dico – anzi ribadisco – che a volte, da qualunque lato si stia – si fa più opposizione a uscire dal coro “Covid! Covid!” che non stando dentro. Dico che non è il momento di improbabili appelli alla Reconquista ma del faticoso e guareschiano “salvataggio dei semi”. Dico che è il tempo di formare noi stessi capendo cos’è una famiglia e cos’è una società cristiana (Vademecum Cristiano. Manuale di guerra per essere fedeli a Cristo nella società dell’apostasia, San G. Bosco), e gestendo il governo delle nostre stesse vite (Il Governo di sé stesso. Le grandi leggi psicologiche (saggio di psicologia pratica), Padre Antonino Eymieu), che pensare troppo all’attuale governo del mondo, a scenari geopolitici e ad un’altra mezza vagonata di chiacchiere inconcludenti.
RS: Dice che finisce come coi Forconi?
GR: Il rischio c’è e anche all’epoca su RS lo si era scritto. I movimenti di popolo sono bellissimi ma a condizione che il popolo sia bellissimo, quindi formato e con le idee buone e chiare. Cose che così ad occhio non mi pare di poter dire per l’italiano medio contemporaneo. Credere di stare ai tempi della Vandea, dei Sanfedesti e dei Viva Maria è un doppio errore madornale, che porta non solo a scelte inutili ma dannose. Vedrete che intorno a tutta questa situazione nasceranno e cresceranno movimenti e partiti politici, con esiti che sono facili da immaginare.
RS: Abbiamo visto col Family Day.
GR: Sì, tema giusto e risultati quasi zero. A parte la produzione di qualche candidatura al parlamento o la nascita di un partito che ruota attorno a un personaggio televisivo, anche lì con conteggi da prefisso.
RS: Del resto un’opposizione invitata continuamente in tv è tendenzialmente un’opposizione che non fa paura a nessuno.
GR: Certo, ed è quello che sta succedendo anche ora. Quando gli inviti in tv di “quelli contro” passano da essere sporadici a frequenti, quando l’opposizione è interna ai media, la cosa tendenzialmente non preoccupa più “il potere”. Ci sono in giro gonzi che credono che certe trasmissioni presenti da oltre vent’anni nella fascia serale del servizio pubblico siano “contro il sistema”. Sì, certo contro il sistema dalle reti del sistema. Un po’ come la rivoluzione col permesso della questura o, se preferite, del vicequestore. Ovviamente con le migliori intenzioni.
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Foto: screenshot da AdnK