di Luca Fumagalli
Prima di iniziare, per chi fosse interessato ad approfondire l’opera di Evelyn Waugh e quella di molti altri scrittori cattolici britannici si segnala la pubblicazione del saggio “Dio strabenedica gli inglesi. Note per una storia della letteratura cattolica britannica tra XIX e XX secolo”. Link all’acquisto.
«Ancora una volta, un filo, o più verosimilmente un gancio, è stato tirato e sono tornato a Brideshead!»
(M. Johnston, Brideshead Regained)
Durante il 2003, centenario della nascita di Evelyn Waugh, fioccarono diverse iniziative volte a celebrare il grande scrittore britannico. L’attore Stephen Fry, ad esempio, presentò al pubblico il film Bright Young Things – basato sul romanzo Corpi vili – mentre Andrew Davies dichiarò di stare lavorando alla sceneggiature di un adattamento cinematografico di Ritorno a Brideshead. La pellicola, diretta da Julian Jarrold, arrivò nelle sale solamente nel 2008 e il risultato, a onor del vero, fu abbastanza deludente.
Sempre nel 2003 Michael Johnston, recensore e documentarista radio ormai in pensione, diede alle stampe per i tipi della Akanos, la sua piccola casa editrice, il romanzo Brideshead Regained, un seguito di Ritorno a Brideshead inteso come tributo a Waugh. Dato che la pubblicazione del libro non aveva ottenuto il consenso degli eredi dello scrittore – pare addirittura che Alexander Waugh, nipote di Evelyn, sia arrivato a definire Johnston un «illetterato» – tra questi ultimi e l’ex documentarista si aprì un breve contenzioso legale. Johnston fu costretto a ritirare dal mercato le 1500 copie fisiche del romanzo, la cui vendita, da quel momento, fu resa possibile solo online. Infine sulla copertina di ogni volume venne incollata un’etichetta che segnalava che il romanzo aveva visto la luce senza il consenso dagli eredi di Waugh.
Al di là della querelle legale, dal punto di vista artistico Brideshead Regained è un libro mediocre. Difatti se “riscrivere” un capolavoro è una pratica abbastanza diffusa – esempi illustri ve ne sono molti, da Shakespeare a Milton –, decisamente più arduo è produrre un qualcosa che sia all’altezza dell’originale, specie se si ha a che fare con un autore come Waugh, nella cui prosa, difficilmente replicabile, mischia senza soluzione di continuità serio e faceto, alto e basso (o sacro e profano, per citare il sottotitolo di Ritorno a Brideshead).
Il romanzo di Johnston – diviso in due parti che riecheggiano nel titolo l’ “Et in Arcadia Ego” del libro di Waugh – segue le vicende di Charles Ryder, neopromosso “artista di guerra ufficiale”, durante il Secondo conflitto mondiale. Dapprima Charles viene inviato in Nord Africa, dove esegue un ritratto di DeGaulle, si improvvisa spia e dipinge a fianco di Churchill. In un monastero tunisino ritrova pure Sebastian che, riappacificatosi con l’amico, può finalmente morire sereno. Dopo lo sbarco in Normandia, Charles è trasferito in Europa ed è testimone degli orrori commessi nel campo di concentramento di Bergen-Belsen. Nell’epilogo, ambientato a guerra conclusa, il funerale dell’anziana “Tata” Hawkins è per lui l’occasione per tornare a Brideshead. Lì incontra brevemente, e per l’ultima volta, la famiglia Flyte.
Nel corso delle sue avventure, oltre a Cordelia, Julia e a personaggi storici descritti in maniera un po’ troppo macchiettistica, il protagonista incrocia alcune tra le figure che hanno reso immortale Ritorno a Brideshead. Il primo in cui si imbatte è il cugino Jasper, che vanta quell’ottusa operosità utile per fare carriera al ministero, mentre “Boy” Mulcaster, all’opposto, si conferma un aristocratico annoiato e spendaccione, fondamentalmente incapace di affrontare la realtà (quando mette incinta l’amante non trova altra soluzione che farsi prestare da Charles i soldi per un aborto clandestino). Ritornano pure il sig. Ryder, freddo e distaccato come sempre, l’odioso Rex Mottram e Anthony Blanche, il dandy omosessuale di Oxford, ritrovato in fin di vita a Bergen-Belsen. Inoltre viene approfondito il complicato rapporto tra Charles, i suoi due figli e l’ex moglie Celia, a cui deve buona parte della propria fortuna come artista. Nel rievocare nomi e vicende di Ritorno a Brideshead Johnston si concede il lusso di inserire persino un “cameo” dello stesso Waugh: a un certo punto, infatti, si scopre che Charles ha sul suo letto un romanzo dello scrittore inglese e che quest’ultimo, stando alle più recenti notizie, è impegnato in una missione in Yugoslavia.
Per temi e ambientazioni Brideahead Regained più che un semplice seguito di Ritorno a Brideshead appare quindi come un impasto tra il capolavoro di Waugh e la trilogia Spada d’onore, dove a prevalere è il classico tema waughiano di un vecchia e nobile Inghilterra destinata purtroppo a scomparire. D’altronde tra il Charles di Johnston e Guy Crouchback sono molte le affinità, a partire dal desiderio di essere finalmente impegnati in prima linea in una guerra che per loro si fa ogni giorno più noiosa e logorante.
Tuttavia, come già accennato, l’esito complessivo è poco soddisfacente. Molte sono le carenze del romanzo, a partire da un impianto strutturale potenzialmente intrigante – con tre distinti piani temporali che si alternano – ma che alla lunga frana nella ripetitività. Allo stesso modo anche lo stile, che pure cerca di imitare il piglio satirico di Ritorno a Brideshead, risulta troppo piatto e monotono, il tutto condito con descrizioni di una sensualità marcata che di certo Waugh non avrebbe tollerato. Per quanto concerne la trama, poi, l’impressione è che, in fin dei conti, accadano davvero poche cose e che queste siano descritte troppo sbrigativamente, condensate alla bell’e meglio in una manciata di pagine.
La colpa più grave di Brideahead Regained rimane comunque quella di tradire l’anima apologetica del capolavoro di Waugh che si chiude – è bene ricordarlo – con la conversione al cattolicesimo di Charles («Recitai una preghiera, un’antica formula, di recente appresa»). Al contrario, Johnston mostra al lettore un Ryder la cui nuova sensibilità religiosa rimane confinata in una dimensione intima e privata. Non appartiene ufficialmente a nessuna denominazione cristiana e, di conseguenza, continua a non accostarsi ai sacramenti. Per di più, davanti all’orrore dei campi di concentramento nazisti, sembra di nuovo propenso a negare l’esistenza di Dio («Ci può essere un Dio? E Dio lo saprebbe?» sono le ultime parole che chiudono la vicenda).
Ecco allora che così facendo, privando i protagonisti di Ritorno a Brideshead di una loro verticalità spirituale – medesimo errore del film di Jarrold – la storia si riduce a un dramma sentimentale particolarmente cupo e angosciante, dove, per paradosso, la religione concorre a ostacolare la felicità degli uomini, una felicità che, come ovvio, secondo una simile prospettiva non può che essere esclusivamente terrena.