Si trascina da tempo l’aspra contesta fra i patriarcati di Costantinopoli e Mosca, una contesa originata dal riconoscimento da parte del patriarca Bartolomeo di Costantinopoli dell’autocefalia della “chiesa” “ortodossa” ucraina. La decisione, si capisce chiaramente, scaturisce dalla complessa situazione geopolitica che caratterizza l’Ucraina, su cui si scontrano l’Alleanza Atlantica e la Russia. Tuttavia tocca anche una questione importante per la società ecclesiastica: la primazia. Secondo Mosca infatti, Costantinopoli si vorrebbe arrogare una sorta di Papato in funzione antirussa. Avevamo già riportato il secco commento moscovita ad un eventuale “riunione” (ecumenista) fra cattolici e ortodossi: “La Chiesa ortodossa russa non accetterà l’unione di ortodossi e cattolici per iniziativa del patriarca Bartolomeo di Costantinopoli, che pretende di ergersi a supremo padrone dei destini dell’Ortodossia” (vedi qui).
Ebbene al culmine delle tensione, il concilio dei vescovi della “chiesa” “ortodossa” russa, che si terrà in novembre, pare fulminerà la scomunica contro Bartolomeo e gli altri prelati che riconoscono l’autocefalia ucraina. Lo fanno pensare le parole del patriarca Cirillo: “Il prossimo consiglio dei vescovi della Chiesa ortodossa russa valuterà quanto sta avvenendo nel mondo ortodosso e, se piace allo Spirito Santo e ai vescovi riuniti, adotterà una risoluzione della nostra Chiesa in relazione agli atti compiuti da Costantinopoli”. Dello stesso tenore altre dichiarazioni di prelati della “ortodossia” slava (vedi settimananews.it).
Simili pensieri sono stati espressi da Vladislaw Petrushko, professore di Storia della Chiesa all’Università Ortodossa San Tichon di Mosca, che in un’intervista ha dichiarato: “Forse è tempo di rivedere e ripensare in modo critico la 28ª regola del concilio di Calcedonia, che elevò la sede di Costantinopoli per un solo motivo: come capitale dell’impero romano di Oriente. È ora di prendere nota che Bisanzio non esiste più da oltre cinque secoli e che l’antica e gloriosa Costantinopoli è diventata da tempo Istanbul”.
Il canone in questione recita: “Giustamente i padri concessero privilegi alla sede dell’antica Roma, perché la città era città imperiale. Per lo stesso motivo i 150 vescovi diletti da Dio concessero alla sede della santissima nuova Roma, onorata di avere l’imperatore e il senato, e che gode di privilegi uguali a quelli dell’antica città imperiale di Roma, eguali privilegi anche nel campo ecclesiastico e che fosse seconda dopo di quella”.
Contro questo canone, intuendone la pericolosità per la pace e l’unità della Chiesa, si erse San Leone Magno il quale, dall’altro della cattedra suprema di governo di tutta la Chiesa, difese le antiche prerogative delle sedi apostoliche di Alessandria e di Antiochia, minacciate dalla cupidità dei presuli della sede non apostolica di Bisanzio.
Curioso appare che anche i Russi, dopo 1600 anni, si scaglino contro questo canone. Curioso e risibile per il fatto che mentre il primo dei Leoni aveva a cuore l’unità ecclesiastica e l’ordinamento dei patriarcati sotto la suprema giurisdizione di Pietro, sempre vivente e governante nei suoi successori i Romani Pontefici, i moscoviti hanno a cuore la loro idea di Chiesa senza capo.
Ma in una chiesa senza capo, come in ogni società, è naturale che sorgano le liti a riguardo della giurisdizione. Per questo nella contrapposizione delle autocefalie degli scismatici, ribelli alla suprema potestà papale, si realizza quanto disse san Girolamo: “La salvezza della Chiesa risiede nell’autorità del Sommo Pontefice, e se a lui non viene assegnato un potere superiore e incontrastato, nelle chiese si avranno tanti scismi quanti saranno i preti”.
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