Il 21 ottobre 1633 pativa il martirio a Nagasaki, appeso per i piedi a testa in giù con il capo in una buca piena di letame, padre Giuliano Nakaura, sacerdote della Compagnia di Gesù, già membro della prima storica ambasceria giapponese in Europa. Partiti da Nagasaki il 20 febbraio 1582, Giuliano Nakaura, padre Diego de Mesquita, Itō Mancio, Martino Hara e Michele Chijiwa, ambasciatori dei daimyō (principi) cristiani tornarono in patria il 21 luglio 1590, dopo aver visitato il Portogallo, la Spagna e l’Italia fino a Roma dove protestarono l’obbedienza dei “reges Iaponiae” prima a Gregorio XIII, poi a Sisto V, che li accolsero con onore e affetto.
Ecco, descritto dal p. M. D’Elia SJ, il loro ricevimento nella Città Eterna.
Sedeva allora sulla Cattedra di san Pietro Gregorio XIII, già in età d’ottantaquattro anni. Contrariamente al suggerimento del Valignano [il gesuita organizzatore dell’ambasciata, NdRS] e quindi del generale dei gesuiti che avrebbero preferito “pochi onori e molta amicizia”, il Papa fu di parere che bisognava ricevere gli ambasciatori con tutti gli onori dovuti al loro grado.
[…] Arrivarono finalmente alla casa professa del Gesù, la sera del venerdì 22 marzo [1585, NdRS], tre anni e un mese dopo che avevano lasciato il Giappone.
[…] Il Papa volle riceverli la sera stessa in forma privata. Il giorno seguente, sabato 23 marzo, fu il giorno della solenne udienza. Di buon mattino tutti i quattro si recarono in carrozza a Villa Giulia, dove furono man mano ossequiati dalle famiglie dei cardinali e dai nobili romani. Tutti congratulandosi di un così lungo viaggio, aggiungevano i loro più sinceri auguri.
Finite le presentazioni, incominciò la sfolgorante cavalcata. Precedevano più di cento cavalleggeri in armi e la guardia svizzera con alabarde; poi veniva la nobiltà romana e non romana a cavallo; quindi seguivano i palafrenieri dei cardinali montati su delle mule, portando sulla schiena sospesi i cappelli rossi dei loro padroni, i quali aspettavano in Vaticano; dopo di essi venivano parimenti a cavallo, in ranghi di tre o di quattro, i familiari dei cardinali, i curiali e i nobili minori. Seguivano i tamburini e trombettieri che sonavano allegramente. Poi venivano i camerieri del Papa, gli scudieri, gli altri ufficiali di palazzo in abito rosso, seguiti dal luogotenente generale dell’esercito pontificio, Mario Sforza, e dal cerimoniere pontificio, mons. Francesco Mucanzio, anch’essi a cavallo. Allora venivano gli ambasciatori giapponesi con scimitarre al fianco, su magnifici cavalli ceduti dal duca di Sora, don Giacomo Buoncompagni, ornati di gualdrappe di velluto, guarnite d’oro. Gli ambasciatori vestivano alla giapponese con vestiti di seta policroma, sui quali erano rappresentati ricami in oro d’uccelli, foglie e fiori. In testa portavano cappelli di feltro con piume bianche.
Giunti a Piazza del Popolo, furono incontrati dal maggiordomo di Sua Santità e dagli alti prelati di corte. Il maggiordomo, mons. Alessandro Musotti, andò loro incontro e rivolse loro un breve discorso augurale in cui diceva tutta la gioia che sentiva il Pontefice per una loro venuta da terre così lontane per prestare ubbidienza alla S. Sede; che perciò egli insieme con la famiglia pontificia, era stato mandato loro incontro dal Papa, il quale li aspettava nel Palazzo Apostolico, dove in loro onore avrebbe tenuto un concistoro pubblico. Il discorso fu tradotto dal gesuita portoghese Mesquita. Risposero i principi che una così grande amorevolezza da parte del S. Padre nel riceverli in questa alma città li compensava a dovizia delle fatiche durate nella loro lunga navigazione per venire a prostrarsi ai piedi del Papa e rendergli ubbidienza a nome dei daimiò che li avevano mandati. Questa risposta fu tradotta in italiano dallo stesso padre Mesquita.
[…] Da Piazza del Popolo in poi i nostri giovani furono accompagnati nella loro cavalcata da due insigni personaggi. Don Mancio cavalcava tra il maggiordomo a destra e l’arcivescovo di Cipro a sinistra, don Michele tra l’arcivescovo di Cosenza, Petrignano, e quello di Milano, Visconti, e finalmente don Martino tra il vescovo di Vicenza, Priuli, e quello di Todi, Giannotti. Seguivano gli altri prelati minori.
[…] Giunti in Vaticano e scesi da cavallo, essi salirono nelle scale che erano vicine alla Scala Regia. Mentre gli ambasciatori facevano un po’ di colazione, il Pontefice non appena intese che i principi erano arrivati, scese nella sala dei paramenti, dove lo aspettavano i cardinali. Ivi, paratosi di rosso, preceduto dalla croce e dai cardinali, mosse verso la Sala Regia in sedia gestatoria, portando in testa una preziosa mitra.
Dopo che il Pontefice si fu seduto in trono, l’avvocato concistoriale annunziò l’ambasceria. Sei assistenti al soglio, preceduti dal prefetto delle cerimonie e da quattro mazzieri, andarono allora ad invitare gli ambasciatori che aspettavano in una sala vicina. Essi avanzarono l’uno dopo l’altro ciascuno in mezzo a due alti prelati, don Mancio tra l’arcivescovo di Cipro e quello di Benevento, don Michele tra l’arcivescovo di Cosenza e quello di Milano e don Martino tra il vescovo di Sebenico e quello di Padova. Introdotti nella sala e disposti adesso sulla stessa linea, mentre i prelati si erano messi ai lati, tre da una parte e tre dall’altra, i giapponesi e i prelati fecero le tre genuflessioni di rito, a misura che si avvicinavano al trono pontificio. Al loro lato si teneva il p. Mesquita che serviva da interprete. Saliti al trono l’uno dopo l’altro, baciarono prima il piede, poi la mano del Pontefice che li rialzò baciandoli in viso. Ciò fatto don Mancio presentò le lettere del daimiò di Bungo, dopo di averle baciate. Lo stesso fece don Michele per le due lettere del daimiò d’Arima e del Principe di Omura, da lui rappresentati. Il Papa passò tutte queste lettere al segretario dei Brevi, mons. Antonio Baccapaduli. Recitato un breve discorso in lingua giapponese che spiegava la scopo della loro ambasceria e che fu subito tradotto in italiano dall’interprete, i tre giovani andarono a sedersi in una tribuna loro riservata di fronte al Pontefice.
Letta la traduzione italiana delle lettere or ora presentate, il p. Gaspare Gonzales S.I., portoghese, incominciò il suo solenne discorso. Ascoltato con la più viva attenzione dall’augusta ambasceria, l’oratore fece risultare l’importanza di questa straordinaria ambasceria venuta dagli ultimi confini della terra, ed esaltò i consolanti frutti della missione del Giappone insieme con la pietà e lo zelo dei principi e la devozione al successore di s. Pietro, per venerare il quale non avevano temuto di affrontare i disagi e i pericoli della navigazione.
Il discorso commosse l’augusto uditorio; molti cardinali e lo stesso Sommo Pontefice piangevano di gioia nel sentire l’attaccamento di questi principi al trono di s. Pietro.
Il segretario dei brevi rispose in nome del Pontefice con poche parole, mentre il procuratore fiscale domandava dal canto suo che ad perpetuam rei memoriam fosse steso il documento ufficiale di questo solenne anno di ubbidienza. Dopo di ciò i principi furono ammessi di nuovo al bacio del piede, quasi in ringraziamento al Pontefice d’aver accettato questo loro atto di sottomissione e ubbidienza alla S. Sede. Lo stesso fecero pure l’interprete e l’oratore, e anche gli altri membri del seguito. Con ciò fu sciolto il concistoro e il Papa fece ritorno alla sala dei paramenti, accompagnato dalla sua nobile corte e dagli stessi ambasciatori. Indi il Papa li benedisse e si ritirò nei suoi appartamenti.
[…] Una medaglia venne coniata per commemorare il grande evento; sul retto si vedeva Gregorio XIII in piviale e sul verso si leggeva questa iscrizione: Ab Regibus Iaponiorum prima ad Romanum Pontificem Legatio et Obedientia.
L’ambasciata prese parte a varie Cappelle Papali: quella del 25 marzo alla Minerva per l’Annunciazione; quella del venerdì 29 marzo in San Pietro per la venerazione delle Reliquie della Passione da parte del Sommo Pontefice e dei Cardinali; quella della Domenica in Laetare per la consacrazione della rosa d’oro; quella della Domenica di Passione.
Morto Gregorio XIII il 10 aprile, il successore Sisto V dimostrò per i Giapponesi lo stesso affetto e la stessa considerazione.
Continuiamo a citare il Padre D’Elia
Il giorno della sua incoronazione, 1° maggio, il Pontefice volle che essi reggessero il baldacchino insieme con gli ambasciatori di Francia e di Venezia, col duca di Sora e con due marchesi romani. E quando il 5 maggio andò solennemente a prendere possesso della chiesa di S. Giovanni in Laterano, nella lunga e sfolgorante cavalcata che da S. Pietro moveva al Laterano, i principi precedevano a cavallo i cardinali e il Papa.
[…] Agli onori religiosi si aggiunsero pure gli onori profani, ciò il doppio conferimento dello Speron d’oro di S. Pietro e della cittadinanza romana onoraria in Campidoglio.
Fonte: La Civiltà Cattolica, 1952, vol. 1, quad. 2437, 29 dicembre 1951.
Immagine: La delegazione giapponese inviata in Europa nel 1582. In alto da sinistra a destra: Giuliano Nakaura, Diogo de Mesquita, Itō Mancio; in basso da sinistra a destra: Martino Hara e Michele Chijiwa (fonte wikimedia.org)