di Vito Plantamura
Zucchero e glutammato. Se è questo che la gente mangia al fast food, il sapore che gusta qualsiasi cosa ordini, e gli piace, non c’è da stupirsi che pure al cinema possano rifilargli sempre la stessa minestra: dagli ultimi, inguardabili capitoli di guerre stellari ai vendicatori (eh sì, uso i termini italiani), da missione impossibile a crociera nella jungla, sembra di avere davanti un solo, grande film, dal gusto omogeneo, indistinto. E finto, dannatamente finto.
Ma questo era stato vero anche per i precedenti film di James Bon interpretati da Daniel Craig, attore che, per altro, ha sempre avuto il grave torto di non essere abbastanza bello per le specifiche esigenze del personaggio (eh no, il fisico palestrato non conta). Allora, però, qual è la novità di No time to die, da cui nasce l’esigenza profonda, culturale e lato sensu politica di questa recensione? Superficialmente, si potrebbe essere tentati di pensare che la grande novità di quest’ultimo episodio della serie sia che il protagonista muore. O che sia affiancato da un nuovo 007, che è una donna nera, invece che un maschio bianco. Dettagli. Invece, la sconvolgente verità è che, per la prima volta, James Bond viene respinto della belloccia di turno (per altro, lei sì bella davvero). La sensuale Bond girl Ana de Armas, infatti, con garbo, educazione, e un pizzico di imbarazzo per il malinteso, respinge James a debita distanza; e allora Bond, piccato, le chiede di voltarsi mentre lui si cambia d’abito: neppure 007 fosse un’educanda.
Certo, Craig era partito malissimo, in Casinò Royale, con un capo donna e soprattutto con una Vesper che sì andava a letto con lui, ma preferiva ancora il suo amante marocchino che, come veniva spiegato meglio nel successivo capitolo della saga, era solo un seduttore seriale che aveva abbindolato la donzella per strumentalizzarla ai suoi fini: quest’ultima, quindi, al nostro eroe, che l’amava veramente, preferiva un altro, che per lei non provava nulla. Insomma, lui ama lei, che sta con lui per ripiego, ma in fondo ama l’altro, che però, essendo un cattivo ragazzo, gioca coi suoi sentimenti. Un grande classico. Solo che lui dev’essere Pinco Pallino, l’impiegato perdente; non può essere James Bond, la superspia vincente: altrimenti, poi, noi Pinchi Pallini i suoi film che li guardiamo a fare?
Non v’è dubbio, però, che con quest’ultimo capitolo si è andati molto, ma molto oltre. In apertura, vediamo un Bond che non riesce a godersi appieno la sua nuova relazione a lungo termine (e già Bond in una relazione a lungo termine è una contraddizione, come dimostrò, a suo tempo, lo sfortunato episodio interpretato da Lazenby) perché, a distanza di tanti anni (e film), ancora pensa alla sua amata, defunta Vesper. Poi il due di picche, il palo, il rifiuto. Chiamatelo come volete, ma è un qualcosa che proprio non si può vedere. Infine, il sommo sacrificio, visto che la sua vita si svuota di significato perché sa che, per complesse ragioni fantascientifiche sui cui è inutile soffermarsi, non potrebbe mai più toccare la sua amata (e la loro figlia, la cui esistenza aveva appena scoperto) senza ucciderla.
A questo punto della trattazione, però, il benevolo lettore mi perdonerà una breve nota autobiografica. Di recente, ho svuotato un vecchio armadio della mia stanza di quando ero bambino, trovandovi tante cose interessanti. Tra cui una nutrita serie di letterine di adoranti fidanzatine estive che si struggevano per le mie mancate risposte. Ero cinico? Ero crudele? Avevo il cuore duro? Manco per niente. Credetemi, non avrei motivo di mentire, a quell’età -tredici, quattordici anni- ero il bambino più dolce e buono del mondo, una specie di maritozzo alla panna. E allora il mio comportamento come si spiega? Semplice, ero un fan sfegatato di James Bond. Licenza di uccidere, Dalla Russia con amore, Missione Goldfinger, Operazione tuono: film straordinari, letteralmente uno più bello dell’altro, da gustare tassativamente di lunedì (e se siete troppo giovani per ricordarvi il tempo del film del lunedì, tanto peggio per voi). Ma ve lo immaginate James Bond, quello “vero” (sì, insomma, Sean Connery), che risponde alla lettera della fidanzatina? S’intende, però, che da parte mia c’era anche una grande immaturità. Poi uno cresce, matura e, ovviamente, cambia modelli maschili. Oggi come oggi, infatti -alle soglie dei cinquant’anni-, il mio mito è il prof. Sassaroli di Amici miei. Insomma, quello della catena d’affetti -tra amante, moglie, cane formato gigante, bambine e governante tedesca, severissima, in uniforme- che non si può spezzare. Quello cioè che, lasciato dalla bellissima, incantevole, giovane moglie, ammette candidamente di aver sofferto, di aver sofferto come un cane… per quasi tre quarti d’ora. Immenso prof. Sassaroli, maestro di vita.
Ma torniamo a quest’ultimo film della serie di 007. Che modello di uomo propone ai bambini di oggi? Fondamentalmente, uno sfigato. La cui intera vita ruota intorno alle donne, da cui dipende emotivamente e dalle quali viene trattato come un Mario Rossi qualsiasi, tra alti e bassi, nonostante l’invidiabile status di superspia e le Aston Martin da sogno, più costose di un appartamento in centro, in cui le scarrozza: per cui, Mario, tu, con la tua millesei, fatti due conti e stai a cuccia. Il vero messaggio del film è questo.
Insomma, se il ’68 -per le note ragioni- ha ucciso il padre, il 2021 doveva completare l’opera con il totale snaturamento di James Bond, l’ultimo grande personaggio maschile vincente sull’altro sesso: la transizione verso una società matriarcale lo richiedeva. Compiuto il suo dovere, James Bond è morto. Appena in tempo, devo aggiungere io, ché, di questo passo, il prossimo episodio ci avrebbe proposto un Bond che insegue una belloccia respingente per tutto il film -per la quale lui è solo un caro amico-, le salva la vita con eccezionale abilità e spezzo del pericolo, in modo che un altro ganzo possa agevolmente godere di lei (mamma mia: tremo all’idea di avergli appena fornito uno spunto).
Mala tempora currunt sed peiora parantur. O, se preferite, parafrasando il noto motto, Marx è morto, Bond è morto, e pure io non mi sento molto bene.
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