di Luca Fumagalli

Prima di iniziare, per chi fosse interessato ad approfondire la figura di David Jones e quella dei più importanti scrittori del cattolicesimo britannico, si segnala l’uscita del saggio “Dio strabenedica gli inglesi. Note per una storia della letteratura cattolica britannica tra XIX e XX secolo”. Link all’acquisto.

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Le opere poetiche di David Jones (1895-1974), all’epoca della pubblicazione, ottennero un vastissimo consenso di pubblico e di critica. Dylan Thomas, W. H. Auden, Basil Bunting, Hugh MacDiarmid, W. B. Yeats e Seamus Heaney sono solo alcuni dei tanti esponenti del mondo culturale britannico che spesero parole d’elogio per celebrare il talento lirico dell’autore gallese. Eppure quello di Jones seguita, e non solo in Italia, a essere tra i nomi meno noti del modernismo, la valanga rivoluzionaria che, in letteratura, diede il colpo letale all’Ottocento – con apripista del calibro di Eliot, Joyce e Pound – per percorrere vie non ancora battute. Il motivo è da ricercare soprattutto nella particolare forma poetica perseguita da Jones, «scissa», come scrive Fabio Pedone, «fra eccesso lirico e “disciplina della prosa”», e nel linguaggio ostico. Se a ciò si aggiunge la mole impressionante di immagini, simboli e riferimenti culturali che costituiscono l’ordito dei suoi lavori, tanto radicali quanto spiazzanti, ecco spiegato il motivo di un processo di assimilazione particolarmente lungo, per certi aspetti ancora in corso.

Jones, che condusse una vita ritirata, non fu solo uno scrittore, ma pure un incisore e un pittore di discreta fama. La sua biografia – meticolosamente ripercorsa da Thomas Dilworth in un massiccio volume del 2017 – fu segnata dall’esperienza sul fronte francese durante la Prima guerra mondiale. Servì tra i ranghi dei Royal Welch Fusiliers e trascorse in prima linea ben 117 settimane, più di qualsiasi altro scrittore suddito di Sua Maestà. Fu coinvolto con i suoi commilitoni nell’assalto al bosco di Mametz, durante la prima battaglia della Somme, nel 1916, e nell’attacco all’altura di Pilckem, a Passchendaele, nel 1917. Sopravvisse a una ferita e alla malattia, ma dal trauma della guerra non si riprese mai più. Tutto quello che vide e patì rimase con lui, come un’ombra, per il resto della vita. Iniziò a soffrire di crisi di panico, depressione e forme violente di agorafobia, arrivando addirittura a non sopportare il contatto fisico. Fu forse questo senso crescente di disagio una delle ragioni che lo spinse, nel 1921, a farsi cattolico (ad accoglierlo nella Chiesa fu il reverendo John O’Connor, il modello del Padre Brown di G. K. Chesterton). In seguito visse per un certo tempo nella comunità di Ditchling guidata da Eric Gill, divenne terziario domenicano e, ormai anziano, si distinse quale firmatario della petizione che portò al noto “Indulto di Agatha Christie” per preservare la Messa tridentina in Inghilterra e Galles.

David Jones
David Jones

Che le radici della sua conversione fossero legate all’esperienza della trincea lo testimonia lo stesso Jones. Stando al suo racconto, fu nel 1917 che cominciò a parlare di religione con il gesuita Daniel Hughes, il cappellano cattolico del suo battaglione, allora di stanza a Ypres. Padre Hughes prestò a Jones un libro di San Francesco di Sales «e fu proprio da quel momento che iniziai a pensare alla Chiesa cattolica». A colpirlo fu pure la Messa, celebrata in prima linea e servita da soldati zelanti, perlopiù di origine irlandese o italiana. 

Dal fango, dal dolore e dalle ceneri di quel conflitto che Benedetto XV definì «un’inutile strage», Jones trasse ispirazione anche per Tra parentesi (In Parenthesis), forse il suo capolavoro, pubblicato nel 1937 dalla casa editrice Faber & Faber e frutto di un lavoro di limatura più che decennale (a sponsorizzarlo fu T. S. Eliot, che firmò anche la nota introduttiva). Per la prima e unica edizione italiana, targata Mondadori, si è dovuto attendere fino al 2018, occasione dei festeggiamenti per il centenario della fine della Grande guerra.

Quello che sulle prime potrebbe apparire un insolito war poem si rivela essere, in realtà, una parabola universale di redenzione, un magnifico arazzo fatto di citazioni che vanno dai miti celtici e gallesi  alla Chanson de Roland, dall’Enrico V di Shakespeare alla Morte d’Arthur di Malroy, dalla Bibbia alle avventure di Alice narrate da Carroll, dalla liturgia cattolica ai famosi dipinti degli artisti rinascimentali, da La ballata del vecchio marinaio di Coleridge alle moderne canzoni popolari, quelle in voga nei caffè e tra le truppe, dalle liriche del gesuita Hopkins – altra fondamentale fonte di ispirazione per Jones – alle filastrocche gallesi. Il tutto si fonde con l’esperienza autobiografica dell’autore, che attinge al serbatoio della propria memoria per trarre episodi e personaggi che finiscono inevitabilmente per essere trasfigurati dalla sua penna, presi in un dialogo senza posa tra realismo, mito e visione, i cui confini, però, non sono mai nettamente distinguibili (da qui, come nel caso de La terra desolata di Eliot, la scelta da parte di Jones di corredare il testo con un ampio apparato di note esplicative). Si tratta, in altre parole, della passione per le «cose intrecciate» che lo scrittore gallese coltivò sin da piccolo.

L’edizione italiana del capolavoro di Jones (Mondadori, 2018)

Ecco perché lo stile, a metà tra la ruvidità della cronaca e l’iperbole eroica dell’epica, e il linguaggio, che spazia dalle rozze espressioni della truppa e dai colloquialismi “Cockney” fino all’antico gallese e al latino, sono parte integrante di quella “human chain” – per citare il titolo dell’ultima raccolta poetica di Heaney – che, lungi dall’essere solo un appello alla fratellanza tra gli uomini, per Jones diventa un confronto effervescente tra presente e passato, tra leggenda e realtà, tra popolo e individuo, senza per questo rinunciare alla verticalità della “catena” che lega terra e Cielo. L’uomo di Tra parentesi è dunque messo a nudo in ogni sua fibra, gli interstizi del suo essere sono accuratamente scrutati secondo quell’approccio integrale caro al filosofo francese Jacques Maritain, non a caso ammirato da Jones.

Del resto a quest’ultimo fu sempre particolarmente cara la nozione di “segno”, quella ri-creazione della realtà – una forma di re-incarnazione – che costituisce l’essenza dei suoi scritti e dei suoi dipinti migliori. Secondo lui, lo scopo dell’artista non era quello di rappresentare semplicemente un oggetto, quanto piuttosto di rivelare nel particolare la luce universale di Dio. Ciò rende ragione dell’amplissimo respiro della sua poesia il cui obiettivo principale, nel caso di In parentesi, «era la descrizione e la “significativa illuminazione” dell’esperienza della Prima guerra mondiale» (così Richard Griffiths). Questo aspetto contribuisce anche a differenziare il suo mondo da quello della poesia di guerra inglese, dove a prevalere è piuttosto un tentativo di risposta lirica individuale all’orrore del conflitto in atto, caratterizzato dalla satira contro lo stato maggiore e dell’esplicita indignazione morale per la mattanza dei soldati.

Che Tra parentesi non fosse letteratura qualunque lo testimonia, ad esempio, Evelyn Waugh, che in una recensione sul «Night and Day» fu tra i primi a tentare di definire i complessi connotati di quello che, a suo parere, aveva tutti i numeri per essere considerato un autentico capolavoro: «Non è facile da descrivere. Certamente non è un romanzo, dal momento che mancano i due aspetti essenziali della storia e del personaggio; non è quello che indica l’editore, ovvero un poema epico, poiché non presenta un destino umano completo. È un brano di cronaca interrotto da cori. […] È un libro sulla battaglia piuttosto che sulla guerra, [..] non somiglia per nulla a nessun altro libro che abbia mai letto». L’entusiasmo di Waugh è confermato nel 1938, quando, all’indomani della vittoria del prestigioso Hawthornden Prize, indirizzò a Jones un biglietto di congratulazioni: «Il tuo non è solo il tipo di libro che merita un simile premio, ma “è il libro”».

Il soldato semplice Jones nel 1915

Tra parentesi – il significato del titolo lo chiarisce Jones nella sua prefazione: «Per noi soldati non professionisti […] la guerra stessa è stata una parentesi […] e anche perché il nostro curioso genere di esistenza qui è in tutto e per tutto tra parentesi» – è preceduto da una dedica agli amici e «ai combattenti delle prime linee di parte nemica». La vicenda prende le mosse nel dicembre del 1915, momento in cui il battaglione lascia le cose inglesi per raggiungere la Francia, fino allo scontro nel bosco di Mametz, sette mesi dopo, con un finale che vede la mitica Regina del Bosco visitare i caduti e donare loro ghirlande per onorarne il valore. Ognuna delle sette parti in cui è diviso il volume è introdotta da una citazione tratta dal Y Gododdin, poema epico gallese che narra della battaglia di Catreath, combattuta intorno al 600: «Ce n’è abbastanza», sottolinea ancora Pedone, «perché il soldato Jones possa fare di questo oscuro e poco noto poema altomedievale il fulcro della sua opera di memoria. In strane sovrimpressioni, nella sua mente, le marce, le risate, le sofferenze di trecento uomini ubriachi di idromele che dal Galles andarono a incontrare una sanguinosa disfatta […] si fondono con l’odissea insensata della guerra meccanica e dei suoi giovani “adusi alle risate”, quasi un millennio e mezzo più tardi».

A ulteriore esemplificazione della dimensione ultrastorica di In parentesi – nonché dello stile peculiare di Jones – si riporta di seguito uno dei brani più celebri dell’intero componimento, quando Dai Greatcoat (Dai Granpastrano), everyman dei conflitti, secondo lo stilema anglosassone del boast, il vanto del guerriero, si fa portavoce della gloria e dei dolori di tutti i soldati che mai furono nella storia: «I miei padri furono con il Nero Prence del Galles / alla passione del / re cieco di Boemia. / Furono sotto le armi in questi campi, / è nelle storie che potete leggerlo, caporale – i ragazzi / Gower, erano – è scritto – sì. / E che ci dici di Matusalemme, Zuccherino? / Ero con Abele quando lo trovò il fratello, / sotto l’albero verde. / Ho costruito una latrina per Artaserse. / Ero la lancia nella mano di Balin / che fece guasta la terra di Re Pellam. / Io presi i sassi lisci del torrente, / fui con Saul / e suonai al suo cospetto».

“In Parenthesis” (Faber & Faber, 2018)

In un intarsio di frammenti finemente lavorati che creano dissonanze e inclusioni impreviste, In parentesi si conclude sulle note di un appello alla totalità dell’esperienza umana, tra miseria e grandezza, in una lezione schietta, di sicuro fascino, che, a partire dal particolare del Primo conflitto mondiale, si apre a tal punto da essere latrice di un significato universale: «La gesta questo dice l’uomo che era sul campo… e che scrisse il libro… l’uomo che non conosce questo non ha compreso nulla».