di Luca Fumagalli

Prima di iniziare, per chi fosse interessato ad approfondire l’opera di Lionel Johnson e quella di molti altri scrittori cattolici britannici, si segnala il saggio, targato Edizioni Radio Spada, “Dio strabenedica gli inglesi. Note per una storia della letteratura cattolica britannica tra XIX e XX secolo”. Link all’acquisto.

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Sfibrato nel corpo e nell’anima, Lionel Johnson diede addio a questo mondo all’improvviso, nel 1902, quando aveva solamente trentacinque anni. Se furono in pochi a piangere la sua scomparsa, pure oggi gli estimatori di questo poeta elusivo, incline alla reclusione e attaccato alla fede almeno tanto quanto lo era alla bottiglia, continuano a costituire un circolo ristretto. Il suo nome lo si incontra più spesso sfogliando una biografia di Oscar Wilde, essendo lui il giovane che presentò allo scrittore irlandese il fatale Lord Alfred Douglas.

In verità Johnson, membro del Rhymer’s Club, fu un versificatore di talento, apprezzato, tra gli altri, da Walter Pater, da W. B. Yeats, da T. S. Eliot e da Ezra Pound, nonché da critici del calibro di Ian Fletcher. George Santayana lo definì «un ribelle spirituale […]. In parte Shelley, in parte Rimbaud, disprezzava il mondo e adorava l’irreale». Tuttavia non godette mai di quel successo che forse avrebbe meritato: le sue raccolte poetiche vendettero poco o nulla, costringendolo a guadagnarsi da vivere con il giornalismo e con la saggistica (fu autore del primo lavoro approfondito dedicato a Thomas Hardy).

Al termine degli studi universitari Johnson aveva rinunciato a quel sincretismo paganeggiante di gran voga tra i dandies del tempo per farsi cattolico, accolto nella Chiesa dal padre rosminiano William Lockhart, ex membro del Movimento di Oxford. Per lui, scrive Nina Antonia, «come per Oscar Wilde, il cattolicesimo aveva un fascino estetico affine al decadentismo. A differenza di Wilde, però, Johnson non era solo interessato allo spettacolo mistico della fede cattolica in epoca vittoriana, ma era un autentico credente». Sulla scia della conversione prese a occuparsi di teologia e scrisse alcuni dei componimenti religiosi più belli del tardo Ottocento, in cui si incontrano, in un felice sodalizio, la modernità di Gerard Manley Hopkins, le atmosfere di Ernest Dowson e le espressioni ricercate di John Gray.

Dai tormenti dell’ultimo decennio di vita – oltre a essere un alcolista, Johnson soffriva di insonnia e di allucinazioni – prese corpo “L’angelo oscuro” (“The Dark Angel”), la sua poesia più famosa. Si tratta di una lirica singolarmente potente, scritta nel 1893, un incubo ad occhi aperti in cui l’autore è costretto faccia a faccia con il proprio demone tentatore. Qualche critico, come Brian Reade, ha voluto vedere nell’essere diabolico descritto nel componimento un riflesso dell’alcolismo di Johnson o della sua (presunta) omosessualità, ma è più probabile che l’autore volesse riferirsi al peccato in quanto tale, raccontato in tutte le sue manifestazioni. “L’angelo oscuro”, nel suo approccio apofatico, è quindi la storia del conflitto tra bene e male che attraversa l’anima di ogni uomo, una battaglia che non può essere vinta senza l’aiuto divino.

Ecco, di seguito, il testo della poesia in traduzione italiana:

1 Angelo oscuro, con la tua dolente lussuria

2 per sbarazzare il mondo dalla penitenza:

3 angelo malizioso, che ancora eserciti

4 sulla mia anima una violenza tanto sottile!

5 Per tua volontà niente, pensiero o cosa,

6 rimane per me inviolato:

7 angelo oscuro, sempre in volo,

8 che non mi raggiungi mai troppo tardi!

9 Quando la musica suona, tu muti allora

10 l’argenteo suo in un fuoco soffocante:

11 né permetterà il tuo cuore invidioso

12 un piacere non segnato dalla tortura del desiderio.

13 Per tuo tramite, si volgono le muse gentili

14 in furie, o mio nemico!

15 E tutto ciò che è bello brucia

16 con fiamme di malvagia estasi.

17 Per colpa tua, la terra dei sogni

18 diventa un ritrovo di paure:

19 fino a quando il sonno tormentato appare

20 un impeto travolgente di lacrime inutili.

21 Quando la luce del sole splende sui fiori,

22 o increspa il mare danzante:

23 tu, con la tua schiera di poteri ammalianti,

24 mi assedi, mi confondi.

25 Nel respiro dei boschi autunnali,

26 dentro i silenzi invernali:

27 il tuo spirito velenoso si agita e cova,

28 O Signore delle empietà!

29 L’ardore della fiamma rossa è tuo,

30 e tua è l’anima d’acciaio del ghiaccio:

31 tu avveleni il giusto disegno

32 della natura con stratagemma ingiusto.

33 Mele di cenere, luminescenza dorata;

34 acque amare, che dolcezza!

35 o banchetto di turpe delizia,

36 preparato da te, Paraclito oscuro!

37 Sei il sussurro nel buio,

38 il tono allusivo, la risata ossessiva:

39 sei colui che adorna la mia tomba,

40 il menestrello del mio epitaffio.

41 Ti combatto, nel Santo Nome!

42 Eppure, ciò che fai, è ciò che Dio dice:

43 tentatore! se dovessi sfuggire alla tua fiamma,

44 avrai salvato la mia anima dalla morte:

45 La seconda morte, che non muore mai,

46 che non può morire, quando il tempo è morto:

47 Morte viva, in cui piange l’anima perduta,

48 eternamente tormentata.

49 Angelo oscuro, con la tua dolente lussuria!

50 Di due sconfitte, di due disperazioni:

51 Meno terrore, un cambiamento in polvere alla deriva,

52 rispetto alla tua eternità di cure.

53 Fai quello che vuoi, non lo farai,

54 Angelo oscuro! trionfa su di me:

55 solo, vado verso il Solo;

56 divino, alla Divinità.

Perfetto esempio dell’uso creativo che Johnson seppe sempre fare di materiale proveniente da fonti diverse, “L’angelo oscuro” dimostra pure come il poeta inglese fosse altrettanto abile a dare poi al tutto una forma organica e coerente, di taglio personalissimo. In questo caso i riferimenti vanno dal rito dell’esorcismo a San Paolo, dal Libro di Giobbe a Sant’Agostino, da Plotino a Lucrezio.  Gli elementi fondamentali della poesia sono invece ricavati dalla liturgia cattolica e, in particolare, la sua struttura a stanze e il metro devono parecchio al Veni creator spiritus, dove si fa riferimento a quello Spirito Santo di cui Johnson offre un’inquietante inversione («Paraclito oscuro!», v. 36).

L’angelo oscuro della lirica, un impeto di lussuria che non conosce rinuncia (vv. 1-2), è Satana, cioè il tentatore per eccellenza (vv. 3-4). Il suo «cuore invidioso» (v. 11) perverte ogni cosa, anche la migliore: «Per tua volontà niente, pensiero o cosa, / rimane per me inviolato (vv. 5-6); «Tu avveleni il giusto disegno / della natura con stratagemma ingiusto (vv. 31-32). Così, ad esempio, il suono argenteo della musica diventa un fuoco soffocante (vv. 9-10), le muse si tramutano in furie (vv. 13-14) e ciò che prima era bello prende ad ardere di malvagità (vv. 15-16); i sogni si fanno paure (vv. 17-18) e il sonno una sofferenza senza fine (vv. 19-20). Naturalmente pure il poeta, al pari di ogni uomo, non è immune al potere corruttore dell’angelo (vv. 7-8), da cui, tra l’altro, è impossibile sfuggire (vv. 25-28; 37-40). Il componimento prosegue quindi con una successione ossimorica – ripresa poi ai vv. 53-54 – intesa a sottolineare le mille e più contraddizione di uno spirito in lotta (come ricorda Ellis Hanson, Johnson, «al pari dei francesi suoi contemporanei, era particolarmente versato in una poesia della vergogna»). Il culmine lo si raggiunge con il «banchetto di turpe delizia» (v. 35), una riuscita descrizione del piacere effimero offerto dal peccato, un attimo d’estasi dietro il quale si cela lo spettro della dannazione eterna. 

Il v. 40 apre l’ultima sezione della poesia con un’invocazione a Dio, l’unico in grado di sopraffare l’angelo oscuro (in tal senso il v. 41, piuttosto ambiguo, costituirebbe un rimando all’«Abi immunde spiritus»). Nel finale, echi dell’Inferno dantesco (vv. 45-48) lasciano il passo a un’ipotesi di redenzione, a una trasfigurazione dell’anima che avviene, con imprevisto capovolgimento dei toni, per intercessione divina. Ecco allora che i tormenti del poeta si sovrappongono a quelli di Cristo in croce e, ieri come oggi, la sconfitta si tramuta miracolosamente in vittoria: «Solo, vado verso il Solo; / divino, alla Divinità» (vv. 55-56).

In conclusione, oltre a ringraziare Robert Asch, curatore del recentissimo Lionel Johnson: Poetry and Prose, per aver condiviso i suoi appunti, è doveroso ribadire che molte opere degli autori di quella che Yeats ribattezzò “la generazione tragica” meriterebbero davvero una maggiore considerazione da parte degli studiosi di formazione e cultura cattolica, il cui compito, in simili casi, dovrebbe essere innanzitutto quello di separare la verità dalle mistificazioni che, col tempo, sono andate purtroppo consolidandosi in leggende senza alcun fondamento (ovviamente un simile discorso non riguarda solo Johnson). Ne vale di certo la pena anche perché, come dimostra “L’angelo oscuro”, vi sono ancora numerose perle nascoste della letteratura che attendono, con fremente impazienza, di essere dissotterrate. 

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