Presentiamo ai lettori, diviso nelle sue varie parti, il testo dell’intervento video Gerusalemme vista dal Monte degli Ulivi. Uno sguardo sul grande ordine e sul grande disordine tenuto da A. Giacobazzi per il canale “Media” della Fraternità Sacerdotale San Pio X. Troverete di seguito informazioni più ampie (con fonti, riferimenti e approfondimenti) che per brevità non potevano stare nei filmati. Nel complesso, per la realizzazione del lavoro sono stati utilizzati e citati diversi libri stampati dalle Edizioni Radio Spada, ne elenchiamo di seguito alcuni:

Buona lettura!


II.

Nel volgere lo sguardo alla Terra Santa e all’intera regione del Vicino Oriente si incontra immediatamente il grande tema delle cosiddette fedi abramitiche, espressione decisamente ambigua che tende a identificare in maniera sbrigativa l’origine comune di Ebraismo, Islam e Cristianesimo.

Oltre alle mille condanne che la Dottrina cattolica offre rispetto a certe semplificazioni di stampo ecumenista, c’è effettivamente da chiedersi cosa separi il Cristianesimo dalle altre due fedi. La risposta, in parte accennata in precedenza, è chiara: la mancata accettazione del grande ordine rappresentato dal miracolo intellettuale, storico–sociale del compimento dell’Antico Testamento nel Nuovo, con la conseguente nascita della Chiesa. Si badi: questa impressionante realizzazione include in sé ulteriori (numerosi) miracoli, da quelli di Cristo stesso ad altri, che proseguono fino ai giorni nostri. I suoi “meccanismi” sono così perfetti e chiari da sembrare gli ingranaggi di un orologio di precisione che, al momento opportuno, fa scoccare l’ora del Messia.

Il cuore della questione è dunque chiaro: essendo Cristo il centro della Storia, la risposta ultima alle domande dell’uomo, il principio e il fondamento di ogni cosa, si vedrà chiaramente che tutta la partita dell’umanità, tanto nei singoli quanto nelle società, si gioca di fronte alla sua venuta, alla sua identità (Vero Dio, Vero Uomo; Seconda Persona della SS. Trinità) e alla sua presenza, la Presenza Reale di Dio tra noi.

Come già ribadito, la Provvidenza per confermarci con forza tutto questo ci ha dato una perfetta e magnifica disposizione di fatti, che si è miracolosamente compiuta di fronte ai nostri occhi: si tratta dunque di osservarla, per capire che tanto sono immense la verità e la chiarezza proprie del suo ordine, quanto è profondo l’abisso di errore e di tenebre che si incontra rifiutandola.

Il fanciullo misterioso: i pagani aspettavano Cristo

È bene chiarire immediatamente un passaggio fondamentale, spesso dimenticato: ovvero è ragionevole credere che il mistero della SS. Trinità «fu rivelato ad Adamo, e da lui più o meno puro, più o meno esplicito si propagò fra tutti i popoli, che man mano comparvero a signoreggiare la terra»[1]. L’Aquinate, del resto, sottolinea che «prima di Cristo il mistero della Trinità fu creduto come il mistero dell’incarnazione, e ciò esplicitamente dai maggiorenti, e in maniera implicita e quasi velata dalle persone semplici»[2]. Non solo il popolo eletto, ma in un qualche modo tutta l’umanità – con maggiore o minore forza e chiarezza[3] – attendeva Cristo e, potremmo dire, lo agognava.

Concede infatti il Ballerini «che la notizia dei veri soprannaturali e rivelati sia giunta in qualche modo alle orecchie dei gentili, i quali ne fanno sentir l’eco di mezzo ai loro miti ed alle loro leggende, e qualche volta anche di mezzo alle trattazioni dei loro più insigni filosofi»[4]. Citate dallo stesso autore[5], si possono leggere le parole del Monsabré: «Alcuni sapienti orientalisti scopersero presso gli Egiziani, gli Indiani, i Cinesi e i Persiani tracce del dogma della SS. Trinità nelle formule misteriose, le quali per la mutua loro somiglianza sembrano manifestamente collegarsi ad una comune origine».

In modo simile ci si spiega il duplice cammino dell’annuncio sull’Uomo – o meglio sull’Uomo–Dio, il Messia – che sarebbe dovuto arrivare: «L’eco dei vaticini messianici si diffuse pure nel mondo pagano assai prima della venuta di Cristo. Solo dobbiamo qui distinguere un doppio filo conduttore dell’idea messianica presso i Gentili: quello che la deriva dalla primitiva rivelazione tradizionalmente trasmessa alle susseguenti generazioni e quello che la deriva dalle successive rivelazioni fatte al popolo Ebreo. Nel primo caso l’idea messianica si presenta per lo più avvolta nel mito e nella favola, per le gravi alterazioni a cui soggiacque la primitiva rivelazione. In fondo però della mitologia pagana si sente sempre l’eco del pensiero religioso dei primi secoli. È classico a questo proposito il mito di Prometeo come ci viene descritto in Eschilo. Nel secondo caso invece l’idea messianica si presenta assai più chiara e determinata, quale ci vien data appunto dalle nuove rivelazioni fatte al popolo Ebreo. […] Dio stesso dispose, come abbiamo già visto, che “gli Egiziani, gli Assiri, i Persiani, i Greci, i Romani s’impadronissero successivamente della Giudea, affinché intendessero tutti le grandi voci del passato e dell’avvenire, la verità delle origini e delle promesse” (Dechamps, Appello e Sfida). Onde lo stesso Svetonio (In Vespas. IV, 3) e lo stesso Tacito (Histor. lib. V, 13) ci parlano di una comune e antica e costante persuasione, secondo la quale l’Oriente risorgerebbe e dalla Giudea verrebbe fuori un conquistatore del mondo. E mettendo in versi latini stupendi il canto greco della Sibilla cumana, Virgilio alla sua volta poetava di un fanciullo misterioso, la cui nascita avrebbe portato sulla terra il regno della giustizia e dato al corso dei secoli un nuovo indirizzo»[6].

E se Svetonio, Tacito e Virgilio intravedevano qualcosa di importante all’orizzonte, se i più svariati popoli erano raggiunti dal risuonare della primitiva rivelazione, ancor più nettamente la doveva accogliere il popolo eletto, che proprio per questo scopo ebbe la sua vocazione. Vediamone dunque l’ordine.


[1] Don G. Zerboni, Il manuale del parroco ossia spiegazioni del Vangelo per tutte le domeniche e solennità dell’anno e discorsi morali per le feste di Maria Santissima, di Quaresima e pei venerdì sulla passione, Volume II, edito presso Serafino Majocchi, 1871, p. 341.

[2] S. Th., IIa-IIae q. 2 a. 8.

[3] Abate Nicolas Joseph Laforêt, I dogmi cattolici esposti, provati e difesi dagli assalti dell’eresia e dell’incredulità, Volume I, tip. all’insegna di S. Antonino, 1863, p. 41-45: «Fino dai primi secoli del cristianesimo furonvi scrittori di cose attinenti alla religione, come ve ne ha parecchi anche ai dì nostri, i quali pensano, che nelle tradizioni di certi popoli antichi rinvengansi alcune orme incerte del dogma della Trinità; ma questi scrittori argomentano ben diversamente da voi [razionalisti], e, a parer mio, hanno dalla loro la logica e la storia. Ecco pressapoco come la ragionano in questa ipotesi. Tutti gli uomini provengono da un medesimo stipite ed hanno lo stesso Dio per autore. Iddio, creando l’uomo, dovette rivelargli la sua destinazione e i mezzi per conseguirla; perocché senza di ciò non vi sarebbe stata né provvidenza, né attinenza di sorta fra il Creatore e la sua più nobile fra le creature di quaggiù. Fuvvi dunque una primitiva rivelazione, qual che ne sia stato il modo, fuvvi una manifestazione di Dio all’uomo. Ma qual era il contenuto di questa rivelazione? I sacri monumenti non ci permettono di dirlo con precisione; dall’insieme però siamo indotti a credere che Dio facesse intravedere all’uomo il mistero della propria essenza infinita sussistente in tre persone distinte: essendo l’uomo destinato al perfetto ed eterno possedimento di questa essenza, pareva conveniente che, avuto riguardo allo stato di perfezione in cui dovette essere costituito originariamente, Dio gli facesse almeno presentire l’ineffabile arcano della sua sovrannaturale destinazione. Non conveniva forse che all’uomo, creato per vedere faccia a faccia e possedere in eterno Iddio com’è in sé stesso, vale a dire in tre Persone, fosse rivelato, almeno fino ad un certo punto, questo sublime mistero? Ciò posto, chi vieta il pensare che gli uomini fino dalla cuna della società siano stati depositari di una nozione di esso mistero, non dirò chiara e precisa, come quella che ce ne dà il Cristianesimo, ma di una nozione qualunque, sia pure scura e imperfetta quanto si voglia? Il perché, la umana famiglia dispersa in seguito in tutti i punti del globo non può forse aver serbato qualche vaga memoria di una dottrina che ricevette alla cuna? Io non vo’ nulla decidere intorno al grado di cognizione con cui l’umanità poté custodire il deposito di questo mistero; so per altro che l’uomo presto dimentica le cose, e in specialità quelle del mondo sovrannaturale; e solamente volli qui proporre una quistione che mi sembra meritare l’attenzione di ogni uomo assennato. Inoltre non potrebbe sostenersi con alcuni Padri della Chiesa che i popoli pagani, presso i quali credesi di rinvenire qualche traccia di dottrina intorno alla Trinità, ne siano debitori alla tradizione del popolo ebreo che Dio volle inviare quale splendida face in mezzo alle tenebre del mondo antico? In tal guisa ragionano molti scrittori di cose religiose per spiegare come possano trovarsi nei monumenti di qualche nazione pagana certe vaghe idee intorno alla Trinità. Le quali, a lor credere, o derivano direttamente dalla rivelazione primitiva, o dalla tradizione ebraica, con cui molti saggi dell’antichità poteron benissimo avere avute delle attinenze. Io non so che vi sia da opporre a sifatto ragionare, e perciò non arrivo ad intendere quale argomento si voglia trarre dalle tradizioni dei popoli, che conservarono un barlume di dottrina intorno alla Trinità, contro la origine divina del dogma cattolico. Chiunque volesse assalirci con armi di tal sorta, disconoscerebbe per fermo le leggi della storia e quelle della logica insieme».

[4] G. Ballerini, Breve Apologia del Cristianesimo, Edizioni Radio Spada, 2020, p. 315. Aggiunge di seguito: «Ma – lo si noti bene – noi non saremmo mai giunti a scoprire nessuna relazione tra quei miti o quei concetti dottrinali ed i nostri dogmi, se già non avessimo nella Bibbia o nella sacra Tradizione, chiara ed esplicita l’idea del dogma rivelato».

[5] Monsabré, Esposizione del Dogma, confr. XI, pag. 176-178. G. Ballerini, Breve Apologia del Cristianesimo, Edizioni Radio Spada, 2020, p. 370.

[6] Prosegue il Ballerini con la seguente citazione: «L’imperatore Costantino, assistendo al Concilio di Nicea, lesse tradotta in greco la quarta egloga di Virgilio, nella quale questo poeta, inneggiando alla prossima sperata nascita di un fanciullo, pronosticava che con esso sarebbe nato altresì un nuovo ordine di cose; sarebbe cioè ritornata l’età del vergine costume; che da quel fanciullo deriverebbe una nuova progenie donata dal cielo alla terra, onde por termine alla età del ferro, e introdurre nel mondo una nuova età di pace e di oro. Orbene, diceva Costantino, come mai si può spiegar questo pronostico di Virgilio, poeta pagano, se non col dire che egli approfittò delle tradizioni ebraiche, degli scritti delle Sibille e dei letterati alessandrini intorno alla nascita del Redentore del mondo? Contro l’asserto di Costantino insorsero molti dotti, ma i Padri antichi condividevano il giudizio di lui. Ai Padri antichi si unì poi Dante (nel Paradiso), Michelangelo che ne formò uno dei suoi capolavori nella Cappella Sistina; e il Cantù, che dapprima divideva il parere contrario, finì col dichiarare che l’interpretazione data da Costantino e ammessa dai Padri, è l’unica possibile per chi ama la verità», così Monsignor Carlo Bertani nel suo libro: Vita di Maria santissima (Monza, Paolini 1902, pag. 75).


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Immagine in evidenza: Trionfo della religione cristiana, Tommaso Laureti, Public domain, attraverso Wikimedia Commons