Sintesi della 668° conferenza di formazione militante a cura della Comunità Antagonista Padana dell’Università Cattolica del Sacro Cuore in Milano, non tenuta in seguito alla chiusura dell’Ateneo a causa dell’epidemia di Coronavirus, preparata nella festa di Cristo Re (31 ottobre 2021) e postata nella festa di San Carlo Borromeo (4 novembre 2021). La conferenza numero 669 è in fase di preparazione. Relatore: Silvio Andreucci (testo raccolto a cura di Piergiorgio Seveso).
Nella sua pregevole e ormai datata, ma pur sempre disposta a tornare di attualità, opera “La Rivoluzione conservatrice” in Italia (edizione Sugarco) Marcello Veneziani concorda con il giudizio di Francesco mCompagna secondo cui,dal Risorgimento sino ai nostri giorni, la politica estera italiana sarebbe stata permeata da una dicotomia tra una ” linea europeistica” (1) avente alcuni tra i suoi maggiori rappresentanti in Cavour, Giolitti, De Gasperi e una linea mediterranea seguita da Crispi e soprattutto dai principali esponenti della ” Rivoluzione Conservatrice” italiana.
La prima tendeva a far gravitare la politica estera italiana stessa verso il Nord e in particolare verso l’ ambito anglossassone, la seconda in direzione del Mediterraneo e del Nord Africa.
Avanzerei qualche riserva nei confronti del termine “linea europeista” e preferirei definirla come ” ideologia piemontese”(2) di cavouriana ascendenza. Infatti come bene ha sottolineato Veneziani nel suo saggio” Le due Italie”, l’ ideologia italiana non si caratterizzò affatto come ideologia chiusa e impermeabile ai fermenti culturali provenienti d’ Oltralpe, al contrario, mirava a porsi come faro in Europa e quindi non era affatto antieuropeista.
La rimarchevole differenza tra le due ideologie consisteva invece nel fatto che l’ ideologia piemontese privilegiava l’approccio con il patrimonio culturale anglossassone, invece l’ ideologia italiana o ” mediterranea” aveva principalmente valorizzato gli apporti culturali dell’ Antichità classica e spesso del cattolicesimo romani.
Eppure, Francesco Compagna(3) pur intuendo correttamente una distinzione di linee opposte che si dispiega a partire dal Risorgimento e che generalmente riscuote ampi consensi, non va al di la di un approccio generico; a parte il fatto che egli definisce impropriamente ” ideologia europeista quella che invero andrebbe definita ” ideologia piemontese”, egli non ha fatto lo sforzo di penetrare le radici ideologiche e culturali di questa distinzione. Egli non si cimenta di indagare gli ” avvenimenti in paragone con le premesse, arrestandosi ad osservazioni di ” ordine politico strategico”.
Quando si parla di “ideologia piemontese” si fa riferimento alla sua provenienza, tuttavia non bisogna dimenticare che essa ha certamente finito per estendersi oltre i confini geografici.
Disaminero’ ora le principali componenti di queste due ideologie che si sono dispiegate dal Risorgimento al dopoguerra e, pur entrambe di ascendenza risorgimentale, sono tanto differenti da aver determinato in qualche modo nella storia contemporanea una sorta di affastellamento fra “due Italie”.
L” ideologia piemontese” è senz’ altro di ascendenza cavouriana, proseguimento della politica anticlericale del “tessitore dell’ unità d’ Italia”, il conte Camillo Benso di Cavour e del suo collaboratore Siccardi, essa è un’importante fucina del processo di secolarizzazione della politica e cultura italiana(4).
Il principio cavouriano ” libera chiesa in libero stato” si è rivelato infatti uno specchio per le allodole, dal momento che con l’avallo a ua legislazione fortemente anticlericale, Cavour di fatto garantiva libertà di culto verso tutte le confessioni, eccezion fatta per il cattolicesimo.
Il suo liberalesimo tendeva dunque all’ immanentismo( è probabile che avesse sin dalla tenera età abbandonato la pratica cattolica, nonostante per convenzione sociale continuasse a proclamarsi cattolico) differendo dunque, ad esempio da quello di un Manzoni o di un Rosmini che, al netto delle loro DEVIAZIONI dottrinali, rifiutavano il sensismo e il razionalismo astratto e mantenevano il cattolicesimo trascendente.
Il progetto cavouriano di piemontizzazione dell’ Italia venne definita “politica del carciofo”. Se Cavour fu il fondatore dell’ ideologia piemontese, Giolitti, la cui cultura fu profondamente permeata da essa, potrebbe definirsi il suo notaio. Egli “trasformò la politica in politicantismo e spense gli ultimi afflati risorgimentali nella pratica amministrativa”(5).
Sull’ ideologia piemontese pesa la responsabilità di una sprovincializzazione della cultura italiana in virtù della sua impostazione cosmopolitica (non universalista, concetto ben differente). È un’ impostazione quindi che ” importa i valori dall’ Europa e dal mondo”. Esprimendosi e tendendo a una visione laica e immanentista della vita, essa si è abbeverata di razionalismo immanentista, di positivismo ed illuminismo. Se vi furono dei ” cattolici”, essi consentirono al ” giuseppinismo”, ovvero la politica illuminista del re d’ Austria Giuseppe II che tendeva a un controllo ministeriale delle questioni ecclesiastiche.
Anche la filosofia di Benedetto Croce, esaltante il primato della libertà come legge della storia al di sopra di autorità, radici, tradizioni, si riconnesse con l’ ideologia piemontese e fu responsabile di un percorso di deprovincializzazione della cultura filosofica italiana.
A mio avviso, il successo o meno dell’ ideologia piemontese fu storicamente legato a quello del crocianesimo e non è un caso che il declino della filosofia di Croce fu connesso al tramonto di Giolitti.(che dell’ ideologia piemontese accolse e proseguì l’ eredità).
Tra i “valori” importati d’ Oltralpe, vi fu sicuramente l’individualismo e soggettivismo etico radicale professati dalla Riforma protestante e ancora più calvinista. Tutti i rappresentanti dell’ ideologia piemontese guardarono con favore alla Riforma, soprattutto alla sua etica soggettivista che trapassa in spirito capitalistico( secondo la nota tesi di M.Weber) e giudicarono l’ arretratezza economica italiana rispetto ai paesi d’ Oltralpe conseguenza del fatto che la Riforma protestante, oggetto di rimpianto e di auspicio, non vi era penetrata.
L’ ideologia piemontese inoltre, per una sorta di un “reaganismo” o ” thatcherismo ante litteram d’ importazione, considera l’ individuo antecedente rispetto alla società che, sommatoria di individui, si riduce a una mera astrazione.
Nel bacino collettore dell’ ideologia piemontese confluirono la ” Rivoluzione liberale” di Pietro Gobetti(“padre dell’antifascismo), il ” Politecnico” fondato da Elio Vittorini(basato su di un’impostazione tecnocratica in cui confluirono marxismo e pragmatismo americano della scuola di Russell, Dewey e Hook), il liberalismo di Giulio Einaudi e il laboratorio politico di “Ordine Nuovo” fondato da Antonio Gramsci e successivamente diretto da Palmiro Togliatti e infine la scuola torinese, fucina del Partito d’ azione e dell’ intransigente e anticlericale programma di ” Giustizia e Liberta”.
Con l’ eccezione di Gramsci, immigrato a Torino, che “coniugherà la cultura laica e neoilluminista con la rabbia rivoluzionaria del sardo che ha perduto le sue radici”, tutti i principali rappresentanti dell’ ideologia piemontese, Cavour e Giolitti, Gobetti, Agnelli, Valletta, Olivetti, Einaudi, Bobbio furono originari di Torino o dintorni.
Fin dagli inizi del Novecento, la politica piemontese si caratterizza per un’ impostazione tecnocratica e per l’ ideale dell’ industrialismo, ma anche per un pianificato disegno di colonizzazione del Sud, di sradicamento delle popolazioni meridionali dalle loro tradizioni.
Così,” nella politica piemontese nasce agli inizi del Novecento il progetto della Grande fabbrica nella mente di Giovanni Agnelli” e nella ideologia piemontese” Valletta gestira’ la FIAT come un ponte verso l’ Europa industriale”(6).
Non bisogna poi dimenticare la grandiosa utopia tecnocratica di Adriano Olivetti e il suo progetto ” Comunita”.
Il progetto di colonizzazione del Meridione era evidente e, tuttavia, occorre prendere atto del fatto che il fenomeno dei flussi migratori dal Meridione al Nord Italia (che prese progressivamente piede a partire dal secondo dopoguerra) attesto’ l’ aspirazione di molti meridionali a respirare “aria di progresso” e di conseguenza la loro noncuranza dallo sradicamento dalle loro radici sostanzialmente rurali.
L’ ideologia italiana si definisce come una vasta cultura politica, letteraria e ideologica che si è snodata nel corso di circa un secolo, che rispetto all’ “ideologia piemontese”, permeata da individualismo e tecnocrazia, rivela invece un’ aspirazione organica e comunitaria, soprattutto nella misura in cui conflui’ nella cosidetta ” Rivoluzione conservatrice”.
Quali sono dunque i suoi tratti specifici? E’ una linea anticonservatrice, rifiuta cioè l’ immobilismo sociale(7). Dissocia dunque la linea della ” modernita’ da quella del ” progressismo” (come “docet” Georges Sorel nella sua nota opera ” Le illusioni del progresso”).
Apprezza il recupero della tradizione, ma dissocia il ” tradizionalismo” dal mero passatismo retrogrado e da una linea di filosofia politica antipopolare; al contempo, rifiuta il conservatorismo borghese.
Nell’ ideologia italiana e nella Rivoluzione conservatrice segnatamente, è centrale l’ aspirazione all’autentico compimento del ” socialismo” che, dissociato dal determinismo marxista, dal classismo e dall’ internazionalsmo, può realizzarsi in un percorso di ” Rivoluzione spirituale” nella forma di ” socialismo nazionale”.
Scrisse Veneziani” Rispetto al socialismo, è frequente la rivendicazione della sua eredità e anche della sua definizione, seppure talvolta correlata ad altre di segno diverso, come socialismo NAZIONALE o socialismo ARISTOCRATICO; si presenta cioè come ulteriore al socialismo, cioè ” post- socialista” ma non ” antisocialista”…quando il socialismo si separa dal materialismo e dall’ internazionalismo e quando il nazionalismo si separa dal conservatorismo puro e dal classismo borghese; quando il socialismo scinde l’ idea di giustizia sociale dall’ egualitarismo e quando la destra separa l’ idea delle differenze dalla difesa delle disuguaglianze sociali ed economiche, l’ incontro è possibile e talvolta necessario”(8).
In ultima analisi, è sul terreno della ” rivoluzione conservatrice” che storicamente è avvenuto il sodalizio tra “socialismo” e ” idea di nazione”
A tal guisa, secondo Veneziani, la filosofia di Giovanni Gentile, l’ attualismo, incarna perfettamente l’ ideologia italiana; l’ aspirazione a elaborare una cultura nazionale che invera il retaggio di Rosmini e Gioberti, come l’ idealismo hegeliano; ha il suo momento fulcrante nell’ ambito mediterraneo e si emancipa dagli apporti culturali extranazionali(9), aspira anzi a presentarsi essa stessa come faro in Europa.
Molto più problematico invece è il rapporto tra crocianesimo e gramscismo da una parte e l’ ideologia italiana dall’ altra.
Nella “filosofia dei distinti” la liberta’ diventa legge assoluta e ideale della storia, si emancipa in ultima analisi dall’ idea di autorità e dal patrimonio di valori tradizionali. La filosofia crociana ha rappresentato l” ideologia di transizione” non solo dal fascismo all’ antifascismo, ma anche dall’ ideologia italiana a quelle straniere.Non è un caso che il declino del crocianesimo abbia avuto come suoi epigoni culture filosofiche importate, destinate a esercitare in Italia un’ influenza dominante; esistenzianzialismo, strutturalismo, pragmatismo anglosassone, neopositivismo, etc.
Per quanto riguarda il gramscismo, il concetto di nazional- popolare che l’ autore dei ” Quaderni dl carcere” pur cerca di elaborare si involve in aporie, nella misura in cui la prospettiva culturale filosofica gramsciana aspira all’ emancipazione totale del ” popolo” dal cattolicesimo e dal patrimonio della tradizione ed è sostanzilmente permeata di illuminismo e materialismo storico.Gramsci ereditò dal Croce l’ appellattivo di ” padre del laicismo italiano”.
Dal dibattito sul socialismo sviluppatosi in Italia emerse il ruolo centrale della ” questione sociale ” e di quella ” meridionale. I forti scompensi tra ricchi e poveri, le sperequazioni tra Settentrione e Meridione erano certo drammatiche, ma la soluzione andava ricercata al di la di quell’ eternizzazione del conflitto di classe che permeava il marxismo; andava ricercata in una visione comunitaria e interclassista, che non accantonasse i problemi posti dalla modernita’ e dall industrializzazione, ma che al contempo rivitalizzasse i valori tradizionali in un contesto nuovo, in uno scenario sociale mutato. La “rivoluzione conservatrice” fu dunque essenzialmente ” rivoluzione spirituale” e come tale fu percepita da molti esponenti che pure provenivano dalle file dell’ anticlericaliamo.
Villari, Labriola, Pareto, Sorel, Gentile, Oriani furono solo alcuni protagonisti dell’ ampio dibattito che aveva come fulcro la possibilità di rintracciare un legame tra la modernità e il retaggio della tradizione(10).
Un altro dibattito centrale in Italia fu quello relativo al Risorgimento; se l’ideologia piemontese aveva esaltato il Risorgimento come una stazione del percorso che avrebbe portato alla secolarizzazione della cultura italiana, alla sua liberazione ” dalle ataviche catene del trono e dell’ altare”, l’ ideologia italiana e della” Rivoluzione conservatrice” avvertirono l’esigenza di portarlo a compimento e inverarlo(segnatamente Giovanni Gentile). Alcuni esponenti della ” Rivoluzione conservatrice” percepivano l’ esito del Risorgimento, la piemontesizzazione dell’ Italia, come una sorta di “Rivoluzione tradita”. Alcuni cattolici non presero posizione a priori contro l'” unità d’ Italia”, ma stigmatizzarono lo spirito liberale e massonico che aveva permeato la direttrice prevalente del processo del Risorgimento, lo Statuto Albertino, la tirannia di casa Savoia, l’ afflato al liberalismo e al democraticismo.
I ” cattolici intransigenti”, dopo l’ allentamento del ” non expedit” non furono certamente sordi alle istanze dei nazionalisti (il comun denominatore era l’ avversione verso massoneria, liberalismo e democrazia) ma mantennero sicuramente un margine di autonomia(11).
Oggigiorno, anche buona parte della storiografia antifascista ascrive il fascismo, non gia’ nella galassia dei movimenti politici reazionari o antimoderni (non è possibile infatti rintracciare legame di continuità alcuno tra i ” fascismi” novecenteschi e l’ “Action Francaise”di C.Maurras, che fu un movimento politico schiettamente reazionario e più in generale, la forma dell’ antimoderno dell’ 800′ non può essere rapportata alla ” Rivoluzione Conservatrice” del 900′ ) ma nella direttrice della modernità e della forma della ” Rivoluzione”.
Un certo cattolicesimo trovò un sodalizio con il nazionalismo rivoluzionario (che ebbe origini palesemente anticlericali, non certamente cattoliche, derivando dal sindacalismo rivoluzionario insegnato da Arturo Labriola in Italia e da Georges Sorel in Francia) in forza dei comuni avversari: massoneria, liberalismo e democrazie parlamentari.
Inveramento del Risorgimento, concezione della pedagogia come educazione a concepire la vita come missione ideale ( una certa influenza esercitò qui la fichtiana ” Dottrina del dotto”), visione comunitaria antiborghese, ma non egualitaria,” socialismo nazionale”, valorizzazione del patrimonio culturale della nazione italiana ( dalla classicità romana, al Rinascimento, dal Rinascimento a Gioberti) furono componenti fondamentali dell’ ideologia italiana.
Eppure essa fu tutt’ altro che omogenea, anzi, a dire il vero , fu composita e lacerata da non indifferenti contrapposizioni: in particolar modo, un vero e proprio ” fronte del dissenso” nei confronti del filosofo ufficiale del regime fascista, nonché ministro della Pubblica Istruzione, direttore dell’ Enciclopedia Treccani e fondatore di un cospicuo numero di case editrici: Giovanni Gentile. Questa presa di posizione contro Gentile costituisce un ” ampio capitolo interno al fascismo”, tuttora poco esplorato dalla storiografia, eppure non indifferente, che raggiunse livelli di acredine nei confronti del teorizzatore dell’ “attualismo” non inferiori al ” Contromanifesto” sottoscritto dagli intellettuali antifascisti.
Questo fronte antigentiliano includeva con motivazioni anche molto differenti i sindacalisti rivoluzionari, pensatori tradizionalisti e antimoderni, scrittori nazionalisti, cattolici monarchici e persino neopagani (è nota l’ incompatibilità di vedute,ad esempio, tra Giovanni Gentile e Julius Evola). Anche Gabriele d’ Annunzio avverso’ Gentile e si rifiutò di firmarne il “Manifesto”.
A proposito di Julius Evola, pur essendo stato il più importante esponente della ” Rivoluzione conservatrice” in una posizione di inveramentoopposizione rispetto al fascismo storico (le rimostranze del regime nei suoi confronti furono conseguenza soprattutto del suo anticattolicesimo, della sua critica al Concordato stato – chiesa) si dissocio’ non solo da Giovanni Gentile, ma dall’ ideologia italiana strictu senso.
Mentre l’ ideologia italiana aveva mirato all’ inveramento del Risorgimento, Julius Evola aveva rigettato, in nome dell’ antimoderno, tutto il bacino collettore dell’ idea di” nazione”, appunto partorita dalla modernità, quindi il Risorgimento stesso, ” traduzione nazionale della Rivoluzione francese”, figliolanza dell’ idea giacobina, espressione di un democraticismo decadente, di un liberalesimo antitradizionale(12).
La posizione di Evola rinvia alla forma politica del “reazionario”, dissociata dall’ ultramontanesimo di De Maistre, come da ogni riferimento cattolico o cristiano.
I suoi strali polemici investono processo post- risorgimentale e fascismo storico, che, concependo una via di sintesi tra nazionalismo e populismo, avrebbero deviato dalla categoria dell'”aristocratico- elitario” (qui la posizione di Evola rinvia inevitabilmente alla scuola degli” elitisti”, Pareto, Mosca e Michels) e accettato la categoria del ” plebeo”. Secondo Evola, il ” fascismo storico” si è realizzato come ” fascismo plebeo” e andrebbe oltrepassato in una forma di ” fascismo aristocratico”. L’ idealismo esoterico- magico di Evola è tronfio di allergia verso la forma politica del “nazional popolare”.
L’antinomia frontale tra Evola e Gentile è attestabile con buoni argomenti e difficilmente confutabile, nonostante i due filosofi siano vissuti in uno stesso contesto politico. Peraltro, non sono attestabili punti di incontro tra l’ “idealismo magico” evoliano e l “idealismo attualista” gentiliano e nell’ autore della ” teoria dello spirito come atto puro” manca qualsiasi riferimento ad autori come Nietsche, Michaelstaedter, Stirner, Weininger, che furono invece fondamentali nel percorso filosofico dell’ autore di “Cavalcare la tigre”(13).
“Gli anni del dopoguerra possono essere definiti l’ epoca in cui declina l’ ideologia italiana”. Poteva essere comprensibile una temperie di smarrimento nell’ immediato dopo guerra, una fase di riassestamento previa al riconsolidamento dell'” ideologia italiana”.Ma non si è trattato purtroppo di una ” crisi di espansione”, bensì del preambolo di una progressiva decadenza che sarebbe proseguita in caduta libera nei decenni a venire.
Quanto scrive Marcello Veneziani nel saggio ” La crisi dell’ ideologia italiana” ha il sapore di una profezia purtroppo che si è avverata.
Anno di grazia il 1992, trapasso dalla “Prima Repubblica” alla “Seconda Repubblica”, progressiva crisi della ” politica” intesa come topos di condivisione di valori nazionali e comunitari, incedere della corrosione del patrimonio pubblico e della sua svendita a lobbies private extranazionali, declino della classe media e di quella operaia, onnipervasivita’ della dimensione economicista e dell’ affarismo.
Non si tratta soltanto della diagnosi di ambienti politici nostalgici del ventennio, a ben vedere anche Norberto Bobbio, esimio caposcuola dell’ antifascismo azionista dipinge in una sorta di necrologio la temperie del secondo dopoguerra come cocente smentita della speranza riposta nella realizzazione di maggior “giustizia” e ” liberta’”.
Sulla crisi dell’ ideologia italiana pesano le già citate responsabilità del crocianesimo per una sprovincializzazione della cultura filosofica e letteraria nazionale che è andata di pari passo con un’ esterofila importazione di culture estere, segnatamente anglossassoni .
Il naufragio della filosofia di Giovanni Gentile, essendosi frantumato il nucleo originario dell’ attualismo gentiliano nelle direttrici della “destra ” e “sinistra” gentiliana, e accelerando questi epigoni del gentilianesimo lo scacco nichilista, i cui germi erano inequivocablmente già contenuti nell’ attualismo stesso(14).
Dopo che a Croce era succeduto un nuovo ” padre del laicismo”, Antonio Gramsci, il mondo cattolico ufficiale aveva percorso due strade, entrambe foriere di risultati inefficaci: quella del disimpegno politico e quella della subordinazione tout court al neoilluminismo gramsciano, sposando dunque una cultura neutralistica au dessus de la melee, in cui valori e fatti, fini e mezzi, ideali etici e comportamenti si sono divaricati.
All’ egemonia culturale gramsciana Marcello Veneziani ascrive la responsabilita’ di un progressivo processo di scristianizzazione della società italiana e di riduzione, nella miglior delle ipotesi, della religione alla sfera individuale.
Ma la stessa ideologia gramsciana ha finito per declinare, per involversi su binario morto; ne è conseguito un depauperamento dei progetti forti, un aggravarsi della crisi della categoria del politico, un incedere del consumismo e dell’ individualismo, in una cornice di crisi dell’ utopia e, al contempo, disaffezione della memoria storica, astorico avvitamento sul presente.
Quella nuova sudditanza del “partito dei cattolici” alla cosidetta ” civiltà tecnocratica” è bene attestata dalla non conformità pratica dei suoi esponenti ai valori etici pur professati in linea teorica.
Cari amici di Radio Spada e della C.A.P, buona lettura!
Note
(1) cfr. Marcello Veneziani, ” La rivoluzione conservatrice in Italia”, Sugarco, Milano, 1987,p.63
(2) Sarebbe ricerca oziosa, se non fuorviante, tentar di trovare un nesso culturale- ideologico tra l’ “ideologia piemontese” e il movimento regionalista” Pièmont autonomista”; quest’ ultimo è nato verso la fine degli anni 80′ e si è caratterizzato per un’ impostazione localista e regionalista,e assieme ad altri movimenti tra cui Lega Lombarda, Unione Ligure, Liga Veneta sorti nello stesso periodo è confluita nella Lega Nord di cui allora era segretario Umberto Bossi. Al contrario, l’ “ideologia piemontese” si è caratterizzata per un’ impostazione centralista e livellante e quindi per l’ aspirazione ad una piemontesizzazione tout court del Regno di Italia.
(3) Francesco Compagna (1921-1982) è stato un politico iscritto al PRI, nonché accademico.Fu professore di geografia all’ Università di Lecce,con notevoli competenze sulla storia del Meridione e ricoprì altresì diversi incarichi; ” Ministro dei Lavori Pubblici” dal 21 marzo 1979 al 5 agosto 1979 e dal 4 aprile 1980 al 18 ottobre 1980.” Ministro della Marina Mercantile” dal 18 ottobre 1980 al 28 giugno 1981, deputato della Repubblica Italiana dalla V all’ VIII legislatura.
(4) Tra gli aspetti più eclatanti della politica anticlericale del Cavour: il pronunciamento favorevole al decreto Siccardi del 1854 che prevedeva l’abolizione degli ordini religiosi che non si dedicassero all’ insegnamento, l’ assunzione del diritto di veto sulla nomina di vescovi ed ecclesiastici e perfino il diritto di interferenza per l’elezione pontificia
(5) Cfr.Marcello Veneziani, ” La rivoluzione conservatrice”,cit.,p.64
(6)ibidem
(7) ibidem,p.21-22
(8)ibidem,p.23
(9)in effetti, è attestabile con buoni argomenti che il declino del gentilianesimo si sia accompagnato a una crisi della ” ideologia italiana” dal punto di vista culturale e a una certa esterofilia
(10)c.f.r. Marcello Veneziani, ” La rivoluzione conservatrice”, cit.p.25
(11) sul rapporto tra nazionalismo- irredentismo italiano e “cattolicesimo politico molto acceso, nell’ era post-risorgimentale è possibile documentarsi approfonditamente attraverso l’ opera del Ganapini” Il nazionalismo cattolico.I cattolici e la politica estera in Italia dal 1871 al 1914″ edita per Laterza, prezioso documento soprattutto tenuto conto del fatto che dopo il conseguimento dell’ “Unita d’ Italia” la stampa del cattolicesimo intransigente non era abbondante
(12)Marcello Veneziani, “La rivoluzione conservatrice”, cit.,p.198
(13) Eppure non mancano intellettuali che riconducono il pensiero di Julius Evola nel solco dell’ attualismo, considerandolo una sorta di ” gentiliano minore”; cosi Antimo Negri, secondo cui Evola sarebbe stato un critico dell’ attualismo tuttavia rimasto prigioniero nell’ attualismo stesso; anche Ugo Spirito,Carlini e Sciacca usciti dalla Scuola di Gentile ricondussero negli anni 30′ il pensiero di Evola a quello di Gentile
(14) A mio giudizio, l’ opera di Michele Federico Sciacca, attraverso il recupero del realismo personalista cristiano ha consentito il superamento dell’ immanentismo gentiliano
Fonte immagine: Pixabay
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