di Massimo Micaletti

Ci sono motociclette che alla loro presentazione hanno cambiato del tutto le regole del gioco, ridefinendo i parametri della categoria: una di queste è senz’altro la Honda CBR900RR. Nel 1992, Honda offre questa quattro cilindri supersportiva dalle caratteristiche eccezionali: 130 cavalli per 205 Kg di peso, ciclistica raffinatissima e soprattutto un passo molto corto con ruota anteriore da 16 pollici. La CBR è compattissima, sembra una centoventicinque anabolizzata, ed indica alle Case rivali che la strada è rimpicciolire, alleggerire ed estremizzare. Per avere un’idea di cosa abbai rappresentato questa moto, basti pensare che la sua diretta rivale, la Yamaha FZR 1000 ExUp, pesava trenta chili in più e aveva meno di cinque cavalli in più alla ruota, oltre ad essere molto più lunga.

La Fireblade – questo il nome che Honda attribuisce alla nuova arrivata, affiancandolo alla sigla di progetto – proprio come una lama taglia dunque il segmento in un prima e un dopo, portando sulle moto di serie le caratteristiche tecniche e di guida di una moto da corsa, facendo qualcosa di molto simile a quel che avevano fatto pochi anni prima le Case italiane con le 125 due tempi. Le concorrenti ne seguiranno l’ispirazione: nel 1996 Yamaha presenterà la YZF-R1, ancor più estrema della CBR900 e che nel cuore degli appassionati ne è la sola vera rivale; nel 1994 Ducati rivela la 916, snella, ancor più raccolta e con il tiro formidabile del bicilindrico a “L”. Suzuki e Kawasaki si aggiungeranno, proponendo sportive sempre più leggere, potenti e nervose mentre negli anni la Fireblade si addolcirà sempre restando potentissima ed efficace.

Le supersportive oggi sono ridotte al lumicino e le Case le producono più come bandiera tecnologica che per far numeri: molto più adatte alla pista che alla strada, dove soffrono e fanno soffrire, hanno duecento cavalli e pesano come la Fireblade se non meno. Ma hanno aiuti elettronici di ogni tipo (controllo trazione, antimpennata, abs) mentre le belve degli Anni Novanta non avevano nulla di tutto questo: rappresentavano, e rappresentano, un’idea di motocicletta che esiste ancora ed esisterà sempre, un po’ romantica, in cui la macchina e il pilota sono una cosa sola ma si sfidano reciprocamente.