Sintesi della 671° conferenza di formazione militante a cura della Comunità Antagonista Padana dell’Università Cattolica del Sacro Cuore in Milano, non tenuta in seguito alla chiusura dell’Ateneo a causa dell’epidemia di Coronavirus, preparata nella festa sant’Andrea Apostolo (30 novembre 2021) e completata nella festa della Trasvolazione angelica della Santa Casa di Loreto (10 dicembre 2021). La conferenza numero 672 è già in preparazione. Relatore: Silvio Andreucci (testo raccolto a cura di Piergiorgio Seveso).
E’ avvilente il trattamento che i posteri, purtroppo anche in buona parte del mondo cattolico, hanno riservato a Gustave Thibon, saggista, polemista e conferenziere, la cui cospicua produzione letteraria e filosofica spazia dall’ interesse per la fisiologia sociale a quello teologico. Il ” filosofo contadino” , pur vissuto quasi un secolo( è tornato alla Casa Padre nel 2001) è andato incontro al cupo destino di essere ampiamente dimenticato.
Gustave Thibon resta una figura di intellettuale ingiustamente sconosciuta al grande pubblico, nonostante non manchino i riconoscimenti internazionali conferiti dall’ ” Accademia Francese”: ” Grand Prix de Literature”(1964) e “Grand Prix de philosophie”(2000).
Aveva il ” filosofo contadino” esordito con un saggio di fisiocrazia sociale, ” Diagnostics”, che recava l’ introduzione del filosofo cattolico personalista Gabriel Marcel. Altri saggi rilevanti furono” Quel che Dio ha unito”, dedicato ai temi dell’ amore e del matrimonio”, ” Nietsche o il declino dello spirito”(1948), saggio dedicato al pensiero del filosofo tedesco, ” Simone Weil, come l’ abbiamo conosciuta”(1952), opera in cui il Nostro esplica le ragioni dell’ importanza del suo incontro e sodalizio con l’ intellettuale tedesca,quindi le opere tardive: ” Il nostro sguardo che manca alla uce(1970), l'”Ignoranza stellata”(1974), “Il velo e la maschera”(1985), l'”Illusione feconda”(1995).
La case editrici Volpe e D’ Ettoris comunque si sono premurate di divulgarne l’ opera e il pensiero, la prima pubblicando due suoi importanti libri, ” Ritorno al reale” e ” Diagnosi”, la seconda pubblicando un’ opera tra le più monumentali, ” Il tempo perduto, L’ eternità ritrovata”.
I primi saggi del Thibon sono prevalentemente a sfondo sociologico e politico, nelle opere successive, specialmente quelle tardive, il genere letterario prevalente è l’ aforisma e si tratta per lo più di opere a carattere asistematico. Il carattere ermetico, la non facile accessibilità ai suoi aforismi non possono comunque giustificare l’ oblio dell’ opera e della riflessione del flosofo contadino, permeata peraltro da un’ amara profezia sulla dissoluzione morale, frivolezza, dissacrazione, appiattimento sul culto degli idoli, smarrimento di unità, di logos, disprezzo della legge divina e vilipendio della natura umana, tutti aspetti che pemeano il nichilismo contemporaneo e che oggigiorno hanno conseguito il momento apicale. D’ accordo con Tolkien, Gustave Thibon afferma che, mentre nei secoli trascorsi il ” cristianesimo ha dovuto combattere contro la natura”, oggi esso piuttosto ” deve combattere per preservare la natura”; una diagnosi precoce di quel transumanesimo anticristiano e antinaturale che minaccia di imperersare nel futuro prossimo(1).
E’ risaputo che il filosofo- contadino dovette precocemente abbandonare la scuola e formare la propria cultura come autodidatta.Quali le ragioni di questa formazione culturale come autodidatta? Lavorava infatti nei campi di giorno, mentre con abnegazione e febbrile impegno studiava la sera.
Pare di poter escludere un influsso roussoviano. È improbabile che Thibon abbia letto l’ “Emilio” di Rousseau; l’ottimismo naturalistico roussoviano, secondo cui l’ educando mantiene la propria genuinità, facendo affidamento sul conatus libero delle proprie predisposizioni naturali e sentimentali, mettendo al bando scuola e formazione sociale, in quanto fonti di corruzione esulavano dalla forma mentis di Thibon.
In lui vi era equilibrio e compenetrazione tra sentimento e ragione, tra physis e paideia. Per lui J.J.Rousseau non poteva annoverarsi tra i maestri, piu in generale, la sua formazione fu scevra dagli influssi di tutti i filoni dell’ illuminismo.
Invero, Thibon dovette abbandonare la scuola per necessità materiali.
Dovette lasciare la scuola per impellenti vicissitudini…essendo dovuto partire il padre per la Grande Guerra. A malincuore dovette lasciare la famiglia sino alla fine del conflitto. Inoltre, quando a Parigi” ruggivano gli anni 20′”, orfano di madre, dovette emigrare all’ estero, in Inghilterra, Italia, America e Africa Settentrionale, in una sorta di vagabondaggio funestato da tribolazioni, miseria e solitudine che non ne scalfirono la tempra rocciosa.
Aveva riscoperto la fede cattolica dopo il ritorno a casa e al lavoro nei campi , secondo un percorso per alcuni aspetti affine a quello di C.Peguy (che proveniva dal socialismo dreyfusardo) e di Simone Weil (che proveniva dall’ anarchismo rivoluzionario).
Da allora, il suo animo ebbe sete di incontro con la Grazia e la Rivelazione Soprannaturale, aspetto fondamentale che mi conduce a ribadire la sua estraneità al deismo (che postula l’ esistenza di Dio come causa della natura, ma non ammette la Rivelazione) e dalla vaga e confusa religiosità naturale del Rousseau.
Ebbe a cuore il concetto cristiano di Fraternità, ripudiò quello massone, illuminista e giacobino di fratellanza..il legame fraterno tra gli uomini andava costruito verticalmente e non già orizzontalmente…secondo la concezione di un Logos Divino di cui tutti sono partecipi e in forza del quale si attendono Amore e Carità; non già sulla base dell’ appartenenza a ideologie o idoli secolari, il Partito, lo Stato etico assurto a Divinità, la dea scienza, etc.
Marcello Veneziani, tra i pochissimi intellettuali contemporanei che lo hanno commemorato in occasione del ventennio della scomparsa ebbe a definire Thibon il ” Nietzsche- cristiano”.
L’ influsso dell’ autore dello Zarathustra sulla concezione del filosofo- contadino è presente sin dagli studi primitivi e ne conservò in qualche modo la” forma mentis” anche in seguito alla riscoperta della fede cattolica; ma le analogie non vanno spinte oltre il lecito, perché la categoria immanentista della Volontà di Potenza che ha pretesa di creare ” nuove tavole di valori” e misconosce prometeicamente un confine tra il Bene e il Male non poteva certo essere accettata dal Thibon una volta convertitosi alla Rivelazione cattolica; è bensi vero che, grazie alla diagnosi dell’ autore dello Zarathustra, Thibon ebbe consapevolezza del declino dello spirito, aspetto funesto della modernità e del fatto che la “morte di un uomo” abbruttito da idola, vacue convenzioni sociali, false certezze (come il fideismo acritico riposto nelle scienze positive), omologazione nel branco della contemporanea società di massa, fosse un evento auspicabile.
Effettivamente, l’ “ultimo uomo” degenere prodotto della modernità meritava di morire.Tuttavia, per Thibon si trattava di porre non già il ” ragico” ma il Mistero come categoria fondante della filosofia
Se dalla prospettiva nicciana era possibile enucleare elementi positivi per dissociare la Verita’ Cattolica da un vacuo pseudo-cristianesimo imborghesito, tuttavia essa non dava una risposta al problema del male morale; anzi il “superuomo” , sulla falsariga di Prometeo, collocandosi al di là del bene e del male, decostruiva i fondamenti classici della scienza morale stessa e professava un radicale relativismo etico.
Thibon avrebbe trovato una risposta a tale problema piuttosto attraverso l’ incontro con i più insigni pensatori cattolici del 900′, C. Peguy, G. Bernanos (le cui salaci arguzie polemiche avrebbero lasciato indelebile traccia nel suo stile), Simone Weil.
Valuto’ positivamente anche l’ approccio con C. Maurras, ideologo dell’ ” Action Francaise”, la cui opera fu permeata da una sorta di “sociologismo cattolico” di matrice comtiana, ma che sinceramente si convertì al cattolicesimo negli ultimi anni di vita.
L’ incontro con la Weil segnò in maniera decisiva la sua vita e la sua concezione.
L’ aveva accolta nella sua fattoria nel corso dell’ estate del 1941, essendo lei impossibilitata a insegnare a causa delle discriminazioni razziali. Contribuì quindi a divulgarne l’ opera, a far pubblicare lo scritto ” La pesanteur et la grace” nel 1947.
Eppure il destino volle che Simone Weil cominciasse a essere rinomata presso il mondo cattolico, mentre il filosofo- contadino non avrebbe conseguito la pur meritevole fama e gloria presso i posteri.
Mentre Simone Weil professò ,a seguito della conversione, una sorta di cattolicesimo platoneggiante, non scevro di motivi gnostici e manichei, Thibon, sotto l’ influsso dello studio dell’ opera di San Tommaso d’ Aquino, avrebbe sostenuto l’ importanza del ” ritorno al reale”, o meglio,di un ritorno al ” realismo cristiano” che non separasse il corpo dall’ anima, lo spirito dalla materia, la Grazia dalla natura.
Il suo pensiero generalmente viene ascritto alla galassia dell’ identitarismo e del pensiero nazionalcattolico. Indefessa la sua apologia delle tradizioni, segnatamente di quelle rurali che la prorompente modernità, i cui ingredienti principali erano l’ industrializzazzione, la società di massa, che avevano quali correlati sul piano etico l’ agnosticismo, la secolarizzazione, il vacuo progressismo di matrice illuminista e giacobina, tendeva a corrodere.
La sua unica arma fu la penna per glorificare l’ epopea della Vandea cattolica, identitaria e contadina, oppressa dalla ragion di Stato giacobina e deprecò l’ insegnamento dei benpensanti ” dottori” della Sorbona, inbevuti di massonica e sovversiva acredine anticattolica che contribuirono a ottenebrare quel ruolo di ” nazione culla latina del cattolicesimo” che la Francia rivesti’ sin dal Medievo e che la Beata pasionaria Jeanne d’ Arc aveva strenuamente difeso sino al martirio.
A giudizio di Thibon, ” il mondo contadino era saldamente ancorato alle sue tradizioni, rispettava i ritmi delle stagioni, ne teaeva quella forza determinante che non lo faceva mollare mai”(1). E sempre serbava nel proprio animo il gesto degli agricoltori che tracciavano con la pala una croce sul terreno prima di recarsi al lavoro nei campi per consacrare la giornata lavorativa a Nostro Signore Gesù.
La ” società contadina” è ideale per la conservazione di radici, tradizioni, del tessuto di legami famigliari e, più in generale comunitari, ma la modernità, con il suo culto dell’ immediatezza e della velocità, ha contribuito progressivamente ad eroderla, sia nella declinazione del liberalcapitalismo che in quella dell’utopia marxista collettivista, entrambe accomunate dal culto della macchina, dell’ industrializzazione forzata e accelerata, volte a sostituire la dimensione della Trascendenza con quella del trascendimento storico incessante che fa piazza pulita di miti, idiomi, usanze tradizionali, ma al contempo, volte a rimpiazzare la categoria dell’ Eterno con quella del Futuro.
Nonostante la sua ammirazione per l’ opera di C.Maurras, il filosofo- contadino non si accontentava di un “cattolicesimo sociologico” e, con ogni probabilita’, la prospettiva di riduzione del cattolicesimo a “instrumentum regni” per la preservazione dell’ ordine sociale, come teorizzava l’ “Action Francaise” dovette apparirgli riduttiva.
Thibon infatti era cultore dell’Eterno, non già del passato tout court, non vi era dunque traccia nella sua concezione né di passatismo né di lacrimevole e sterile nostalgismo per epoche passate.
Nonostante stigmatizzasse le degenerazioni della modernita’ e segnatamente dell’ idea di ” progresso”, mai pensò di estraniarsi dalla storia e dal proprio tempo, in cui invero fu costantemente e profondamente impegnato e immerso.
Il “culto dell’ Eterno” non può essere assolutamente circoscritto nel semplice perimentro del ” culto del passato”, questa è una delle lezioni più profonde che Thibon ha voluto tramandare ai posteri. Con buona pace di certa sociologia positivista e di tutte le filosofie della storia misurate dall’ idea dogmatica di progresso lineare e irreversibile, il senso del Sacro e l’ aspirazione alla salvaguardia delle Radici non sono fenomeni transeunti di un’ epoca arcaica o infantile, ma strutture permanenti e metatemporali della coscienza.
Concordiamo assolutamente con quanto sostenuto da Marcello Veneziani nell’ introduzione alla sua opera non recentissima “L’ Antinovecento.Il sale di fine Millennio”:il senso delle radici, del sacro e della comunità sono strutture permanenti, insoffocabili, che possono eclissarsi, camuffandosi in altri surrogati, e riemergere anche in forme eeccentriche o esasperate….Ma si tratta di ancoraggi insopprimibili che pesano invitabilmente come presenze o anche come assenze, nella vita di ciascuno e della collettività”(2).
Non dovrebbe destrare granché stupore che nella pubblicistica cattolica contemporanea postconciliare non abbiano trovato e non trovino tuttora spazio le pur numerose opere e conferenze di Thibon…e assurgano a best seller invero opere di profeti e teorizzatori del più fumoso sincretismo pseudocattolico. È una pubblicistica piegata all’ esigenza del mondo contemporaneo secolarizzato e disperato di senso di liberarsi del giogo della Croce(3) per rimpiazzarne il vuoto con fatui idoli…sbarazzarsi del peso di quella Croce, di cui Thibon non si è mai sbarazzato, bandire il dolore e la sofferenza, cullarsi in un ottimismo ebete o in un compiaciuto sradicamento.
Ma in fondo le perle di saggezza di Thibon non andrebbero date ai porci…
(1) Tratto da un articolo dedicato dalla testata ” Il Primato Nazionale” a Gustave Thibon in occasione del ventesimo anniversario della sua scomparsa
(2) Cfr. Marcello Veneziani,” L’ Antinovecento.Il sale di fine millennio”,Leonardo, Milano, 1996, p.15
(3) ibidem,p.9
Fonte Immagine: http://Di Bohémond – Opera propria, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=3677500
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