del Guelfo Rosa
Cari Amici di Radio Spada,
La confusione imperversa e mi tocca tornare sul tema. Già avevo introdotto il discorso nel pezzo Il “primato della coscienza” mi fa orrore. Per non parlare della “libertà di opinione”. Ora devo passare ad un altro termine che in casa nostra è abusato fino al maltrattamento: “totalitarismo”.
In tempi di relativismo un tanto al chilo e di autodeterminazione tagliata male e spacciata peggio, tutto ciò che rimanda alla totalità fa paura. Il dramma è che tra i cattolici non si sappia da che parte stare, nemmeno nell’uso dei termini.
Pio XI in un magistrale discorso del 18 settembre 1938 (quasi introvabile ma ben registrato in Discorsi di Pio XI, a cura di D. Bertetto, v. 3. SEI, 1961, pp. 813-814) ci spiegava che “se c’è un regime totalitario – totalitario di fatto e di diritto – è il regime della Chiesa, perché l’uomo appartiene totalmente alla Chiesa, deve appartenerle, dato che l’uomo è la creatura del buon Dio”; d’altro canto chiariva in modo nettissimo i limiti del potere statale.
Sì, si tratta di un intervento serio, alto ed equilibrato che mette in guardia tanto dall’annientamento massificante dell’individuo quanto dall’opposto individualismo liberale. Due estremi in realtà molto simili e che oggi si riscontrano agilmente, un po’ dappertutto.
Sono parole attualissime: smascherano da un lato certi piccoli politici neo-totalitari che scambiano le libertà (anche naturali) dell’individuo per un fastidioso ostacolo e dall’altro mostrano per ciò che sono certe lagne similsessantottine.
Ve lo presento largamente, con grassettature mie.
Saluti.
[… ] La nostra prima parola ha relazione con un punto di dottrina importante. Avete annoverato tra i vostri grandi principi – l’abbiamo visto, e non poteva essere altrimenti per dei lavoratori cristiani – il rifiuto della tesi così frequente oggi, la quale dice che la collettività è tutto, e l’individuo è nulla. Avete fatto bene, perché la Chiesa non parla in questo modo; non è tale la dottrina della Chiesa. Si potrebbe riassumere così questa teoria, con una semplicità brutale: tutto allo Stato, niente alla persona. No, è suo privilegio, camminare, in qualche modo attraverso i popoli e i continenti, attraverso tutte le genti del mondo (non diciamo le razze), e di conservare in tutto, dappertutto questa direzione media nella quale consiste sempre la virtù, in medio stat virtus. La virtù è sempre nel mezzo né in un estremo, né nell’altro.
La Chiesa professa e insegna una dottrina che sottolinea i giusti rapporti tra collettività e individuo. Certamente (è l’evidenza stessa), a causa delle necessità della vita, dalla nascita alla morte l’individuo ha bisogno della collettività: per vivere, per sviluppare la sua vita. Ma non è vero che la collettività sia essa stessa una persona, una persona indipendente, che parla nome proprio. No la scienza come l’ignoranza, la scienza come la virtù sono proprie dell’individuo. Anche quando si parla dell’anima della collettività, è un modo di dire, che ha sì il suo fondamento nella realtà, ma che rimane una astrazione. E la collettività non può esercitare nessuna funzione personale, se non attraverso gli individui che la compongono: è l’evidenza, ma un’evidenza che, ai nostri giorni, non è più riconosciuta in molti ambienti. Si dice troppo, un po’ dappertutto in un modo o in un altro – e ci si è abituati a sentir dire – che tutto appartiene allo Stato, nulla all’individuo.
Oh! Cari figli, quale falsità in questa espressione: essa va dapprima contro i fatti, perché se l’individuo è realmente dipendente a tal punto dalla società, la società d’altra parte non sarà nulla senza gli individui se non una pura astrazione. Ma ci sono delle intenzioni occulte ben gravi; E quelli che dicono: tutto alla collettività, dicono anche che la collettività e qualcosa di divino; e allora ecco l’individuo divinizzato, ma in maniera nuova: è una specie di panteismo sociale. Ecco, cari figli, la lezione di catechismo elementare ci insegna. È il nemico dell’uomo che ha detto: Eritis sicut dii. Voi conoscete tutto quello che questa frase voleva dire, e come si è tradotta nei secoli che si sono succeduti sulla povera umanità peccatrice. Così si dice un po’ dappertutto; tutto deve essere dello Stato: ed ecco lo Stato totalitario, come lo si chiama: nulla senza lo Stato, tutto allo Stato. Ma in ciò vi è una falsità così evidente, che fa meraviglia che gli uomini, del resto seri e dotati di talenti, lo dicano e l’insegnino alle folle.
Infatti come lo Stato potrebbe essere veramente totalitario, dare tutto all’individuo e chiedergli tutto; come potrebbe dare tutto all’individuo per la sua perfezione interiore – poiché si tratta di cristiani – per la santificazione e la glorificazione delle anime? Perciò quante cose sfuggono alla possibilità dello Stato nella vita presente e in vista della vita futura, eterna! E in questo caso, ci sarebbe una grande usurpazione, perché se c’è un regime totalitario – totalitario di fatto e di diritto – è il regime della Chiesa, perché l’uomo appartiene totalmente alla Chiesa, deve appartenerle, dato che l’uomo è la creatura del buon Dio, egli è il prezzo della Redenzione divina, è il servitore di Dio, destinato a vivere quaggiù, e con Dio in cielo. E il rappresentante delle idee, dei pensieri e dei diritti di Dio non è che la Chiesa. Allora la Chiesa ha veramente il diritto e il dovere di reclamare la totalità del suo potere sugli individui: ogni uomo, tutto intero, appartiene alla Chiesa, perché tutto intero appartiene a Dio. Quanto a noi, bisogna ringraziare il Buon Dio di essere a una così buona scuola, in un sì bello e ricco splendore di verità. […]
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Foto di Yogendra Singh da Pexels