di Luca Fumagalli
Continua con questo articolo l’approfondimento sulla vita e le opere dello scrittore scozzese George Mackay Brown (1921-1996), tra gli autori più interessanti e originali del panorama letterario cattolico del Novecento.
Per i contributi precedenti:
- Il bardo delle Orcadi: le opere e i giorni di George Mackay Brown
- «Una bellezza e una verità senza prezzo»: la conversione di George Mackay Brown, tra i più grandi autori scozzesi del XX secolo
- Un canto per le Orcadi: sfogliando l’autobiografia di George Mackay Brown, poeta del radicamento
- La comunità tradizionale e la lunga ombra del progresso nichilista: leggendo “Greenvoe”, il primo romanzo di George Mackay Brown
- “Magnus” di George Mackay Brown: note a margine di un capolavoro della letteratura cattolica scozzese
- “Lungo l’oceano del tempo”: il ritorno al reale in un romanzo dello scozzese George Mackay Brown
- “The Tarn and the Rosary”: la poesia e la fede in un racconto di George Mackay Brown
- Un racconto d’inverno: il mistero del Natale secondo George Mackay Brown
- “In quella grotta” di George Mackay Brown: le radici e la memoria in uno splendido romanzo per ragazzi
Per chi fosse interessato ad approfondire la figura di G. M. Brown e quella di molti altri scrittori del cattolicesimo britannico, si segnala il saggio delle Edizioni Radio Spada “Dio strabenedica gli inglesi. Note per una storia della letteratura cattolica britannica tra XIX e XX secolo”. Link all’acquisto.
Quarto e ultimo romanzo di George Mackay Brown a essere stato tradotto in italiano dalla piccola casa editrice Tranchida nell’ormai lontano 2003, Vinland, l’ultimo viaggio è un’opera suggestiva, frutto della maturità artistica dello scrittore scozzese che sarebbe scomparso solo quattro anni dopo la pubblicazione del libro, avvenuta nell’estate del 1992 per i tipi della londinese John Murray. Come scrive Maggie Fergusson, biografa di Brown, Vinland – questo il titolo originale del romanzo – «è così ambizioso nei suoi propositi che alcuni recensori ipotizzarono che si trattasse del gran finale di una carriera» (cosa che in realtà non fu, perché nel 1994 venne dato alle stampe Lungo l’oceano del tempo, ovvero Beside the Ocean of Time, a cui la critica riservò un’accoglienza ben più calorosa).
In Vinland, l’ultimo viaggio Brown, secondo un approccio consolidato, mischia il racconto storico a quello di formazione senza preoccuparsi troppo della perfetta aderenza della trama ai fatti realmente accaduti. Le sfasature cronologiche non sono rare e pure i caratteri delle figure storiche vengono piegati e idealizzati per assecondare le esigenze dell’autore. Ciò fa il paio con una narrazione che procede per paratassi, costruita con periodi generalmente brevi, ripetendo nomi e situazioni sulla falsariga delle saghe norrene (su tutte l’amata Orkneyinga Saga). Inoltre, digressioni più o meno lunghe si insinuano nel racconto in forma di leggende, tradizioni o veri e propri inserti poetici. Del resto, ricorda Carmine Mezzacappa nella postfazione all’edizione italiana del volume, «l’obiettivo centrale di gran parte dell’opera di George Mackay Brown è stato quello di creare un unicum tra Storia e Letteratura. Questo riflette quanto ha affermato lo storico della letteratura Cairns Craig, ossia che nella cultura scozzese la storia, la letteratura e il sentimento di identità nazionale sono inestricabilmente intrecciati tra loro».
La vicenda, ambientata intorno all’anno Mille, ha per protagonista Ranald Sigmundson, un ragazzo orcadiano di Hamnavoe (l’antico nome vichingo di Stromness, il paese natale di Brown). Dopo alterne fortune, Ranald si ritrova a fare parte di quella spedizione vichinga che, mezzo millennio prima di Colombo, raggiunse le coste americane. Tuttavia, a dispetto di ciò che lascerebbe intendere il titolo del romanzo, la scoperta dell’isola chiamata Vinland è solo il primo di una serie di episodi significativi destinati a segnare la parabola esistenziale del protagonista. Di nuovo a casa, e divenuto nel frattempo un influente proprietario terriero con moglie e figli, Ranald è coinvolto, suo malgrado, nelle faide e negli scontri tra i vari nobili locali per il controllo delle Orcadi. Prende parte alla disastrosa battaglia di Clontarf in cui muore il leggendario re irlandese Brian Boru, assiste all’assassinio di jarl Einar per mano del ricco Thorkdel ed è testimone impotente della scalata al potere di jarl Thorfinn, guerriero tanto coraggioso quanto cinico e spregiudicato.
Sullo sfondo degli avvenimenti politici si compie intanto il definitivo passaggio dalla civiltà nordica dei miti, delle imprese eroiche e del destino ineluttabile, a quella portata dai monaci: «Sono due i temi che dominano il romanzo», scrivono Rowena e Brian Murray in Interrogation of Silence, «il cristianesimo venuto a soppiantare il paganesimo e il tentativo di tagliare i ponti con la cultura vichinga» (per quanto riguarda questo secondo aspetto, sarebbe forse più corretto affermare che il messaggio cristiano, lungi dal fare tabula rasa della tradizione norrena, si innesta perfettamente su di essa). Emblematico del mutare dei tempi è l’episodio che vede per protagonista il comandante Hakon Treeman. Quando, al passaggio di un’imbarcazione che trasporta dei monaci, i suoi uomini gli suggeriscono di assaltarla – «È risaputo», dice qualcuno, «che i monaci trasportano inestimabili tesori» –, Hakon si rifiuta categoricamente: «Se mai essi possiedono tesori, questi sono conservati nel loro spirito, fuori dalla portata della nostra cupidigia». Preferisce piuttosto lanciare un urlo di saluto al quale il monaco più anziano risponde significativamente con la parola “Pax”, il sigillo di un nuovo ordine che avanza.
Ranald, ennesima incarnazione del tipico eroe di Brown, è proprio uno di quegli uomini che cercano, pur tra mille difficoltà, di lasciarsi alle spalle un passato di saccheggi e violenza per inaugurare un mondo fondato sulla giustizia, sulla comprensione e sul commercio pacifico. Un simile ideale, appreso in gioventù dall’esploratore Leif Ericson, è accompagnato dal sogno di poter tornare un’ultima volta a Vinland per incontrare di nuovo il giovane indigeno con cui aveva stretto amicizia, ma da cui si era dovuto in seguito separare a causa dell’avidità e dell’arroganza dei suoi compagni di viaggio. Disgustato dai giochi di potere di cui è stato testimone per lungo tempo, Ranald decide infine di non avere più nulla a che fare con la politica di piccolo cabotaggio di chi tenta in ogni modo di guadagnare uno strapuntino di potere, preferendo piuttosto concentrarsi sui propri affari e sulla propria famiglia (commettendo anche degli errori come, per esempio, quello che gli costa l’allontanamento di un figlio).
Ciononostante, è proprio quando il male sembra trionfare che la provvidenza interviene per riorientare ogni cosa verso il bene, e in Brown l’azione divina non è vuota teoria o vaneggiamento filosofico, ma una forza che segna irrimediabilmente lo scorrere del tempo per donargli un senso, per colorarlo con un’altrettanta concretissima speranza di redenzione universale. Per Dio davvero tutto è possibile: «Accadde, con il maturare dei tempi, che il nipote di jarl Thorfinn Sigurdson sarebbe stato quel Magnus, jarl delle Orcadi, che noi oggi conosciamo come San Magnus martire». Vale inoltre la pena notare che Thorfinn, al netto dei limiti, si dimostra un governante tutto sommato capace e che grazie ai suoi sforzi, oltre ad allontanare le Orcadi dalla sfera d’influenza norvegese per avvicinarle a quella scozzese, le isole ottengono il loro primo vescovo.
Ormai anziano, Ranald sperimenta un desiderio crescente di isolamento, di allontanarsi dagli affetti terreni per sentirsi più prossimo a Dio. Arriva a sovrapporre il suo viaggio a Vinland all’odissea di San Brandano, anch’egli smanioso di approdare finalmente in Paradiso. Significativamente, alla morte, la cappella che ospita il suo corpo ha la forma di una «piccola nave di pietra» e il canto dei monaci, mutuato dai salmi, ritorna sull’immagine di un Dio al timone del suo vascello in rotta verso occidente.
Ha dunque ragione la Fergusson quando scrive che ne La croce e la svastica – o Magnus, secondo il titolo originale – Brown «ha scritto una sorta di Nuovo testamento delle Orcadi», mentre Vinland è il «Vecchio Testamento». La riflessione autobiografica sulla fede e sulla letteratura dello scrittore scozzese trova infatti compimento nell’epilogo del libro: «La pace perfetta», ribadiscono i Murray, «è raggiunta dai vichinghi con l’adozione della fede e della pratica cristiana».
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