Il 9 gennaio 1878 si presentava al tribunale di Gesù Cristo Vittorio Emanuele II, Re di Sardegna e primo Re d’Italia. La morte fu accompagnata da una polemica relativa agli ultimi suoi istanti ossia: il moribondo chiese o non chiese perdono al Papa? Di seguito la versione ecclesiastica.

Nell’Osservatore Romano, n. 8 dell’11 gennaio 1878, fu pubblicata la nota seguente: «Non appena il Santo Padre poté conoscere la gravità della malattia del Re Vittorio Emmanuele, si affrettò subito ad inviare un rispettabile ecclesiastico al Quirinale, non solo per informarsi dello stato della malattia, ma altresì per occuparsi dell’anima dell’infermo, affinché, chiamato a comparire davanti a Dio, fosse fatto degno della sua misericordia. L’ecclesiastico non venne introdotto; ma sappiamo d’altronde che il Re ha ricevuto i i santi Sacramenti, dichiarando di domandare perdono al Papa dei ( torti di cui si era reso responsabile».

Circolare indirizzala a Nunzi dall’Em.o CARD. SIMEONI sugli ultimi istanti di RE VITTORIO EMANUELE

Si è tanto parlato delle circostanze che hanno preceduto, accompagnato e seguito il grave avvenimento della morte inattesa di re Vittorio Emanuele, che mi sembra necessario farne conoscere a V.S. I.ma e R.ma almeno le principali, quelle cioè che possono avere qualche relazione sia cogli immutabili principii di nostra santa Religione sia colle condizioni nelle quali fu ridotto il Sommo Pontefice da’ suoi oppressori.
E pare tanto più necessaria questa comunicazione in quanto che la rivoluzione, lungi dal ravvisare in questo fatto un ammonimento di Dio, ne profitta al contrario per trarne i maggiori vantaggi possibili e mostrarsene trionfante, com’è suo costume, nello scopo di poter meglio attaccare la Chiesa ed opprimerla insieme al suo Capo supremo.
La rivoluzione non può agire diversamente da ciò che ha sempre fatto in riguardo all’incomparabile carità del Santo Padre, il quale non cessa un solo istante di essere il Vicario di Gesù Cristo e, mettendo da banda questa volta ogni altra considerazione, volle anzitutto pensare alla salute dell’anima del peccatore moribondo.
Questo sublime pensiero, che indusse il Santo Padre a mandare il sito proprio Sacrista al letto dell’ammalato, non fu apprezzato come si conveniva perché l’insigne Prelato non fu nemmeno ammesso alla presenza del Re, il quale nelle ultime ore di una vita sovraccarica di offese sì gravi verso Dio e la Chiesa, avrebbe certamente potuto trovare nella generosa iniziativa del padre comune de’ fedeli un potente sollievo ed una garanzia efficace per l’avvenire della sua eterna salute.
Tuttavia il Santo Padre, non limitando la sua bontà pastorale all’atto che abbiamo accennato, ordinò egualmente che in qualunque ora l’ammalato richiedesse i soccorsi della religione gli fossero amministrati, purché il sacerdote che ne ascoltasse la confessione ne avesse ottenuto un atto di riparazione pel male che aveva commesso. Malgrado queste benevole disposizioni del Sommo Pontefice, non fu concesso al cappellano del Re di confessarlo se non quando questi era giunto agli estremi.
Ognuno può evidentemente vedere come si volle in questa maniera ottenere un doppio scopo: impedire da una parte che il Re potesse firmare di propria mano l’atto richiesto come l’avea fatto in una circostanza simile nel 1869 al castello di san Rossore (di che poi non aveva tenuto in seguito alcun conto) ed ottenere d altra parte che gli fosse accordata la sepoltura ecclesiastica, al che i membri del governo rivoluzionario, i quali avevano risoluto di servirsi della persona dell’infelice loro Sovrano anche dopo la morte per compiere i loro perversi disegni, attaccavano non senza ragione una grande importanza.
Ed infatti riuscirono essi ad attuare in parte lo scopo che si erano prefisso perocché i più scrupolosi, rendendo le funebri onoranze a colui che per tanto tempo avea combattuto in tutti modi la Chiesa e calpeslatine i più essenziali suoi precetti, giungevano in qualche guisa a far credere che il combattere il Sommo Pontefice non escludeva dal seno della Chiesa colui che lo avea attaccato, sol perché avea agito per un pretesto politico qualunque. Non fu dunque che quando le cose pervennero al punto da noi accennato che il confessore poté vederlo, ma allora il Re non era più in istato di capire né di firmare alcuna ritrattazione.
Tuttavia dopo che il confessore del Re avea data l’assicurazione che il moribondo lo avea incaricato di manifestare a Sua Santità il pentimento del male che avea commesso e di sollecitarne il perdono, cosi il detto confessore sotto condizione di consegnare per iscritto e con giuramento una dichiarazione di quell’alto di ritrattazione all’E.mo Cardinal Vicario, ebbe dall’autorità ecclesiastica in vista del pericolo imminente in cui versava l’ammalato, ad amministrargli il Santissimo Viatico. La richiesta dichiarazione fu consegnata al Cardinal Vicario l’indomani della morte del Re e in seguito di questa dichiarazione fu concesso che il defunto venisse accompagnato dal Clero e ricevesse la sepoltura ecclesiastica.
A tal proposito convien notare che ne’ negoziati che precedettero le disposizioni prese per la sepoltura il Governo del preteso regno d’Italia non vi figurò per nulla, comprendendo esso assai bene che l’autorità ecclesiastica non avrebbe mai trattato né si sarebbe mai prestata a trattare con essolui.
Per tal modo il confessore del defunto fu incaricato di tutto e benché per questo mezzo la rivoluzione avesse cercalo di ottenere quanto poteva desiderare, cioè l’accompagnamento del Clero e la sepoltura ecclesiastica del cadavere, pur tuttavolta il Governo si vide costretto a trincerarsi dietro la persona del confessore, tanto era grande in esso il timore che i negoziati non riuscissero ad alcun pratico risultamento.
Assicurato della decisione presa dal Santo Padre dopo l’atto di riparazione che gli era stato sottomesso, il Governo avrebbe voluto che questa decisione avesse per effetto non solo d’autorizzare le pompe funebri concesse ad ogni privata persona che al punto di morte si è riconciliato colla Chiesa, ma ancora quelle che son dovute ad un re cattolico morto ne’ propri Stati e nel suo regno. Tutti gli sforzi possibili furono tentati per ottenere l’intento, ma invano: ché l’autorità ecclesiastica tenne fermo a non concedere se non quanto richiedevasi per un peccatore qualunque che fosse morto penitente ed a rifiutare tutto il resto. E fu per questo che il defunto non potė essere accompagnato al luogo della sepoltura se non dal curato e dal clero della sua parrocchia, composto di una diecina di semplici ecclesiastici. Non un Prelato, non un Vescovo, non un membro degli Ordini religiosi soppressi dalla rivoluzione e nemmeno le Confraternite furono autorizzate a prender parte al funebre corteggio. Sebbene a più riprese si fossero fatte le più vive sollecitazioni, l’autorità ecclesiastica non permise che si celebrasse neppure una Messa nel palazzo pontificio del Quirinale usurpato e rifiutò sempre il privilegio reale più volte invocato di celebrare i funerali in una delle tre basiliche patriarcali di Roma.
Mentre che il ministero si adoperava indirettamente per ottenere dall’autorità ecclesiastica le concessioni che desiderava, organizzava un’immensa dimostrazione sotto gli occhi del Papa per onorare l’uomo che lo aveva spoglialo de’ suoi Stati e de’ beni della Chiesa, l’uomo che per sette anni consecutivi avea lasciato oltraggiare pubblicamente in ogni occasione ed impunemente non solo la Chiesa, il Clero ed il Sommo Pontefice, ma ancora i più sacri principii di nostra santa religione, senza eccettuarne il culto de’ Santi, della Vergine e di Dio stesso. Tutti i rivoluzionarii d Italia furono invitati a prender parte a tale dimostrazione ed essi, grazie alle facilitazioni offerte dalle varie direzioni delle strade ferrate, poterono recarsi a Roma e dimorarvi riuniti parecchi giorni. Si intese cosi di fare una specie di nuovo plebiscito a favore dell’Italia una e contro il Papa, collo scopo d’ingannare di nuovo la pubblica opinione del mondo civile. Questo plebiscito parve senza dubbio cosi superfluo che vi si rinunziò di un tratto e allora alcuni Governi consentirono, chi per una chi per altra ragione e per le sollecitazioni de’ loro Inviati si staordinarii come ordinarii a prender parte ad una dimostrazione diretta, a loro insaputa voglio sperarlo, a rendere omaggio alla rivoluzione trionfante.
Da questa breve relazione V. S. comprenderà di leggieri i nuovi dolori aggiunti da tali procedimenti al cuore già tanto amareggiato del Santo Padre. Fortunatamente queste violenze che Egli subisce, oltre allo spingere gli animi nobili ed elevati a volgere sempre più i loro sguardi verso la sua sacra e venerabile Persona, non turbano né turberanno mai la coscienza ed il coraggio di Colui che deve servire di esempio e di lume a tutto il mondo cattolico. Ed è per questo che nella circostanza dell’innalzamento al trono del principe Umberto, Sua Santità mi ha ordinato di indirizzare a tutti i rappresentanti stranieri presso la Santa Sede una solenne protesta contro l’usurpazione di questo trono, che è suo, fatta dal figlio del defunto Re di Piemonte.
Il Santo Padre ha egualmente risoluto, quantunque con profondo rincrescimento di non ricevere alcuno de’ Principi delle Case regnanti o gli ambasciatori inviati qui per prendere parte al corteggio funebre, non avendo intenzione, con questa risoluzione, di offendere chicchessia, ma di provvedere alla propria dignità e di far rispettare il suo diritto per quanto da Lui dipende, persuaso del dovere che g’incombe di far sentire in ogni circostanza al mondo intiero la costante protesta della Santa Sede contro i fatti compiuti a detrimento della Chiesa di cui Egli ha la missione di tutelare il più scrupolosamente che si possa i diritti e gl’interessi.
Sebbene il Santo Padre non dubiti che i governi, i quali hanno inviato in questa circostanza i loro speciali rappresentanti, non abbiano mai inteso entrare ne’ propositi della rivoluzione, è un fatto che tanto i rivoluzionari quanto i cattolici del mondo tutto hanno interpretalo la condotta di que’ Governi come se tale fosse stata la loro intenzione. Non dovrà quindi recar meraviglia se in presenza di una sì grave offesa diretta contro il Capo Supremo della Chiesa, Sovrano legittimo degli Stati Pontificii, un tlal procedere possa contribuire a mantenere in que’ medesimi cattolici quel sentimento di disgusto che tal volta si manifesta in un senso poco gradito a certi Governi sia nella stampa sia nelle pubbliche assemblee.
Ognuno comprenderà facilmente come il Santo Padre abbia provato un immenso dolore vedendo misconosciuta la carità paterna di cui diede sì luminosa prova nella morte di re Vittorio Emanuele e nel vederla ricambiata, secondo il costume della rivoluzione con un atto d’ingratitudine veramente mostruoso perocché si fece servire questo stesso alto di bontà verso un moribondo penitente a glorificare gli stessi fatti di cui egli si era pentito secondo una testimonianza giurata ed in virtù della quale gli si erano accordati gli onori di una sacra sepoltura.
In conseguenza, prevedendo che questi maneggi debbano far nascere un grande scandalo e dar luogo ad un eguale confusione d idee, il Santo Padre mi ha ordinato di protestare fin da ora contro siffatti attentati per mezzo di V. S. presso il Governo di … riservandosi di rendere perfettamente edotta la Cattolicità intiera sopra ciò che è avvenuto allora quando avrà avuto conoscenza di nuove dimostrazioni tendenti a snaturare i fatti o ad indurre nello spirito de popoli un opinione nociva agl’interessi della Chiesa. Intanto, affinché i Governi co’ quali la Santa Sede mantiene relazioni diplomatiche sieno i primi ad aver conoscenza di ciò che precede la S. V. è incaricata di leggere questo dispaccio al signor ministro degli affari esteri del Governo presso del quale è accreditata e di lasciarne copia nelle sue mani.
Comunicandovi queste Istruzioni ho il bene di ripetermi co’ sensi della più distinta considerazione.

GIOVANNI Card. SIMEONI

Roma, 28 gennaio 1878



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