di Luca Fumagalli
Per chi fosse interessato ad approfondire l’opera di Oscar Wilde e, con la sua, quella di molti scrittori cattolici britannici, si segnala il saggio, targato Edizioni Radio Spada, “Dio strabenedica gli inglesi. Note per una storia della letteratura cattolica britannica tra XIX e XX secolo”. Link all’acquisto.
«… la nota di sventura che, come un filo viola,
percorre la trama del Dorian Gray»
(Oscar Wilde, De Profundis)
Nina Antonia, saggista e scrittrice, è una dei tanti amatori che compongono la folta schiera dei cultori del decadentismo britannico. Del resto, proprio perché generalmente snobbati dagli accademici, gli autori dell’universo fin de siècle hanno spesso trovato i loro interpreti migliori al di fuori delle università.
Negli ultimi anni pure svariati saggisti cattolici hanno mostrato un crescente interesse per questi scrittori, sovente inteso a esaltare la dimensione spirituale delle loro biografie e dei loro lavori di contro a interpretazioni ideologiche purtroppo difficili da scalfire (emblematico, in tal senso, è il saggio The Unmasking of Oscar Wilde di Joseph Pearce che, smontando ogni presupposto per fare di Wilde un’icona LGBT, svela i retroscena del diuturno legame tra lo scrittore irlandese e la Chiesa). Si tratta, in altri termini, di una fuga dallo stereotipo e dagli aneddoti macchiettistici per tentare di restituire una visione a tutto tondo di carriere che, nella maggior parte dei casi, furono segnate da tremende contraddizioni.
Naturalmente quest’opera meritoria non è prerogativa esclusiva dei cattolici, ma riguarda, per così dire, tutti gli studiosi di buona volontà. Proprio in quest’ultima categoria si colloca Nina Antonia che nel 2018 ha dato alle stampe Incurable, un buon saggio, sebbene non esente da difetti, dedicato a Lionel Johnson, in grado di gettare nuova luce su alcuni aspetti controversi della biografia del poeta (il libro è stato eclissato solo di recente dal migliore Lionel Johnson. Poetry and Prose dell’amico e apologeta cattolico Robert Asch).
Tre le altre pubblicazioni della Antonia a tema decadentismo spicca un curioso libretto di una trentina di pagine, intitolato A Purple Thread: The Supernatural Doom of Oscar Wilde (2020), impreziosito dalle illustrazioni di Nathaniel Winter-Hébert.
Come da sottotitolo, A Purple Thread racconta in estrema sintesi la sfortunata vita di Wilde secondo una prospettiva “soprannaturale”, ovvero mettendone in risalto gli aspetti legati alla magia, al folklore, al mistero e all’esoterico in accordo con quelli che sono gli interessi della casa editrice della plaquette, legata alla rivista “Fiddler’s Green”. Ne scaturisce una narrazione di sicura presa, tanto breve quanto godibile, che tratta alcuni aspetti dell’esistenza dello scrittore irlandese normalmente poco considerati. Quantunque la chiave di lettura sia evidentemente parziale – perché nell’etichetta “soprannaturale” l’autrice non comprenda il cattolicesimo rimane un arcano – e non possa bastare, da sola, a esaurire la complessità di quello che fu, ed è ancora, uno degli uomini più controversi nella storia della letteratura occidentale, A Purple Thread offre comunque del materiale utile per contribuire a ridare tridimensionalità a Wilde, sia come uomo che come artista.
Sia William, il padre dello scrittore, che la madre, Lady Jane Francesca Agnes – che si firmava Speranza – furono studiosi del folklore irlandese e pubblicarono svariate opere sull’argomento. Non a caso il loro figlio venne battezzato Oscar Fingal O’Flahertie Wills Wilde: i primi due nomi, Oscar e Fingal, erano stati presi direttamente dai Canti di Ossian di Macpherson, un’opera nata dalla rielaborazione delle antiche liriche gaeliche.
Anche la dimora estiva della famiglia era legata, in qualche modo, alle leggende. Era situata a Moytura, sulle sponde del Lough Corrib, dove, secondo la mitologia irlandese, si trovava Tír na nÓg, la terra dell’eterna giovinezza, e dove il popolo dei Tuatha De Danann, guidati dal loro eroe Lugh, si scontrò con i fomoriani, il cui campione, il gigante Balor, possedeva un “occhio malefico” in grado di annientare le persone con semplice sguardo.
L’infanzia del piccolo Oscar fu dunque caratterizzata da un forte sostrato celtico che si mantenne intatto anche negli anni successivi, quando la sua immaginazione poetica si riorientò verso i più assolati lidi della Grecia e dell’Italia. Una dimostrazione sono i racconti dedicati ai giovani lettori, vere e proprie parabole di redenzione.
Nella famiglia Wilde non mancava nemmeno un lato più “gotico”: Lady Speranza aveva scritto un romanzo nero intitolato Sidonia the Sorceress e un prozio di Oscar, Charles Maturin, era l’autore del famoso Melmoth the Wanderer, l’inquietante storia di un uomo che vende la propria anima al demonio in cambio di 150 anni di piacere. Il libro è una delle fonti a cui Wilde attinse per Il ritratto di Dorian Gray, quasi una premonizione della sua stessa rovina, e dopo la scarcerazione, esiliato in Francia, adottò lo pseudonimo di Sebastian Melmoth, un’allusione al santo e al peccatore.
Pure tra i frequentatori di casa Wilde a Dublino vi erano cultori del “gotico” tra cui Sheridan Le Fanu, creatore dell’affascinante Carmilla, un vampiro al femminile che spianò la strada al Dracula di Stoker.
Sul versante della massoneria, Wilde attraversò una breve fase di fascinazione ai tempi dell’università divenendo membro dell’Apollo University Lodge di Oxford. Constance Lloyd, la moglie, nutriva invece una profonda passione per l’occulto, un interesse che la portò ad avvicinarsi all’Hermetic Order of the Golden Dawn e alla Theosofic Society. Entrambi ebbero inoltre modo di consultare a più riprese la popolare indovina Mrs. Robinson, che Oscar aveva simpaticamente ribattezzato «la Sibilla di Mortimer Street».
Per lo scrittore irlandese il proverbiale inizio della fine coincise con l’incontro con quello che sarebbe diventato il suo amante più celebre, Lord Alfred Douglas, detto “Bosie”, ultimo rampollo di una famiglia aristocratica funestata da suicidi e da episodi di follia brutale (per ironia della sorte in quel periodo Wilde prese l’abitudine di indossare un anello a forma di scarabeo, in stile egiziano, simbolo di creazione di resurrezione).
Nel 1893, invitato a una festa in cui era presente il famoso astrologo Cherio, si fece leggere da quest’ultimo il palmo delle mani ed ebbe così il primo indizio del tragico destino che lo attendeva: la mano sinistra profetizzava successo, mentre la destra era quella di «un re che sarebbe stato esiliato». Anche Mrs. Robinson – che più tardi gli avrebbe predetto «un lungo viaggio» nonché il trionfo nel processo contro il Marchese di Queensberry, padre di Douglas – almeno in un’occasione non lo tranquillizzò affatto: «Vedo una vita brillante fino a un certo punto. Poi scorgo un muro, e dietro di esso il nulla».
Mentre si trovava nel carcere di Reading, la notte in cui la madre morì Wilde ebbe uno strano sogno premonitore: la donna entrava nella sua cella, ma si non voleva togliere né il cappotto né il cappello. Frattanto Douglas, al sicuro in Francia, veniva a sapere dalla nonna Fanny, reduce da una seduta spiritica, che secondo il medium suo nipote «era circondato da potenti nemici», ma che, al contempo, «aveva buoni amici nel mondo spirituale».
Dopo la liberazione dello scrittore, non passò molto tempo prima che lui e Douglas tornassero a frequentarsi. Per un periodo risiedettero insieme a Napoli, vivendo in affitto a Villa Giudice. Per liberarsi dai ratti che infestavano la casa, un problema diventato insopportabile, arrivarono all’estremo di convocare una strega, a detta di Wilde «una sacerdotessa meravigliosa e potente».
A Parigi, il 7 aprile 1898, lo scrittore sognò Constance e capì che era morta. Quando, due anni dopo, anche per lui venne il momento di rendere l’anima al Creatore, un Wilde in stato di semi-coscienza confidò di essersi visto mentre banchettava con i morti. L’amico Reggie Turner, al suo capezzale, prontamente ribatté: «Sono sicuro che tu eri l’anima della festa».
Dopo la scomparsa di Wilde la sua “maledizione” sembrò trasferirsi su Lord Douglas che, fino alla fine dei suoi giorni, venne perseguitato dal fantasma dell’amante. Indipendentemente da quello che Bosie fece per rifarsi una vita – la conversione al cattolicesimo, il matrimonio, il figlio e la direzione di due periodici – ancora oggi è ricordato esclusivamente per essere stato la causa principale della tragedia della rovina irlandese (due dei suoi più virulenti critici del tempo furono lo scrittore Arthur Machen e il tristemente noto Aleister Crowlay, entrambi ex membri della Golden Dawn).
Ed è così, con un accenno al mito immortale di Wilde e al silenzio che, di contro, circonda l’umile tomba di Lord Douglas, che si chiude A Purple Thread.
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Fonte Immagini: le immagini a corredo dell’articolo sono state tratte dal libro A Purple Thread di Nina Antonia