A seguito di una richiesta di chiarimento giuntaci da una lettrice, volentieri pubblichiamo questo articolo.
La Bibbia lo afferma in maniera netta: “Con quelle stesse cose per cui uno pecca, con esse è poi castigato” (Sap 11, 10); i Santi lo confermano, tanto nelle loro sentenze quanto nelle rivelazioni private (pensiamo a Sant’Agostino: “A confronto del fuoco dell’inferno, il fuoco che conosciamo noi è come se fosse dipinto”). Ma sappiamo bene che è all’autorità della Chiesa che spetta il ruolo di vagliare una dottrina: nel caso della pena del senso si espressa in modo chiaro.
Lo si può vedere in innumerevoli fonti, una raccolta di queste la si trova nell’Enciclopedia Cattolica voluta da Pio XII (vol. VI, col. 1946-1947) dove si afferma la nozione di “pena del senso” ribadendo che è chiamata così perché “prodotta dalle cose sensibili, divenute strumento della divina vendetta”. Non solo: poche righe dopo si aggiunge che la Scrittura e la Tradizione “enumerano, a preferenza il fuoco, che per un complesso di dati positivi è comunemente ritenuto reale, non metaforico”.
Questa misteriosa ma necessaria punizione del senso è ribadita in molteplici testi di cui citiamo solo alcuni esempi: pensiamo al Dizionario di Teologia Dogmatica del Card. Parente (p. 90, voce: Dannato), al Compendio del catechismo di perseveranza di Mons. Gaume (vol. 2, pp. 66-68), estendendosi la pena anche al Purgatorio, ampia conferma la di può trovare ne “Il dogma del Purgatorio” del Padre F. S. Schouppe della Compagnia di Gesù nella traduzione italiana del sacerdote Antonio Buzzetti, stampato a Torino nel 1932 con le debite approvazioni ecclesiastiche.
Del resto, il Dottore Angelico, San Tommaso d’Aquino, ben spiega questo fatto: “La pena è proporzionata alla colpa. E nella colpa si devono considerare due aspetti. Il primo è l’ allontanamento dal bene eterno, che è infinito: e da questo lato il peccato è infinito.
Il secondo è la conversione, o adesione disordinata al bene transitorio. E da questo lato il peccato è limitato, o finito: sia perché è tale il bene transitorio; sia perché l’adesione stessa è limitata, non potendo essere infinite le azioni della creatura. Perciò dal lato dell’allontanamento corrisponde al peccato la pena del danno, che è infinita: è infatti la perdita di un bene infinito, cioè di Dio. Invece dal lato della conversione disordinata corrisponde al peccato la pena del senso, che è limitata” (Somma teologica, I-II, 87, 4).
Il cattolico deve dunque credere alla pena del senso? La risposta è sì.
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Immagine in evidenza: Herrad of Landsberg, Public domain, via Wikimedia Commons