Da Il perfetto leggendario (Vol. 1, Roma, 1841) ricaviamo e offriamo ai lettori il seguente ritratto di san Pietro Nolasco, Fondatore dell’Ordine della beata Vergine Maria della Mercede per la redenzione degli schiavi cristiani dal potere dei musulmani.

Di quei tempi un gran numero di Cristiani gemeva sotto il giogo della schiavitù nei dominii dei Mori di Spagna e dell’Africa. I rigori della loro condizione, non che i rischi a cui era esposta la loro virtù e la loro fede, fecero il più vivo senso sul cuore del nostro santo; sicché egli formò il disegno d’ impiegare tutti i suoi beni pel loro riscatto. Quando vedeva dei Cristiani schiavi dei Maomettani, diceva: «Ecco là il modo di ammassare tesori, che non si perderanno mai». Quand’egli era su questo argomento non rifiniva mai di parlarne, ei suoi discorsi avevano tal forza di persuasiva, che molte persone misero somme considerabili per lo secondamento di questa buona opera, della quale Iddio aveva al nostro santo inspirato il pensiero; ma queste passaggiere offerte a lui non bastavano, ed egli disegnava di perpetuare questo spirito di carità, e trasmetterlo ai secoli vegnenti.

Questa idea sospinse il santo a proporre lo stabilimento d’un ordine religioso, il quale si dedicasse solamente al riscatto degli schiavi. Quantunque la carità fosse l’unico oggetto di quest’ ordine, pure se gli mossero molte contrarietà, le quali peraltro furono al tutto tolte da una visione che ebbero la stessa notte san Pietro Nolasco, san Raimondo di Peñafort e il re di Aragona. Essendo la santa Vergine comparsa a tutti tre, ed avendoli esortati ad affrettare l’esecuzione del meditato disegno, san Raimondo credette non essergli permesso differirla, e il suo sentimento prevalse. Il re promise di alloggiare il nuovo ordine nel suo palazzo, e dichiarò di voler esserne il protettore.

Finalmente nel giorno di san Lorenzo dell’anno 1223, Pietro Nolasco fu condotto alla chiesa cattedrale dal re e da san Raimondo, e vi fece i tre voti nelle mani di Berengero, vescovo di Barcellona, e vi aggiunse il quarto col quale si obbligava di mettere tutti i suoi beni, e fin la sua libertà, se fosse bisogno, pel riscatto dei cattivi. San Raimondo montò in pulpito, e pronunziò un discorso religiosissimo su quella cerimonia; parlò in esso della maniera con cui Iddio aveva rivelato la sua volontà a tre diverse persone; la quale era che si fondasse un ordine per lo riscatto dei cristiani cattivi presso gli infedeli. Il popolo applaudì allo stabilimento di tale istituto, e concepì le più sicure speranze dei grandi vantaggi che ne sarebbero venuti. In appresso san Raimondo vestì dell’abito religioso Pietro Nolasco, lo dichiarò primo generale del suo ordine, a cui egli aveva dato gli statuti. Due gentiluomini ne fecero professione lo stesso giorno che l’aveva fatta il santo. Fu scelto per essi l’abito bianco, come il più proprio a ricordare l’innocenza con cui dovevano vivere, e vi fu aggiunto uno scapolare dello stesso colore. Il re volle che portassero anche le armi d’Aragona sul davanti dell’abito, perché queste fossero un durevole monumento della protezione che egli accordava al nuovo ordine religioso.

In questo mezzo la congregazione del nostro santo andava acquistando a ciascun giorno eccellenti soggetti, il numero dei quali era cresciuto per modo ch’ei non sapeva dove alloggiarli. Quindi il re fece fabbricare per essi un magnifico convento a Barcellona nel 1232. Tre anni dopo, san Raimondo trovandosi a Roma, ottenne da papa Gregorio IX la confermazione del nuovo ordine, conosciuto sotto il nome della Mercede, e l’approvazione delle sue costituzioni. Il re d’Aragona, che venia sempre più conoscendo i vantaggi di questi religiosi della Mercede, diede ad essi molte case nel regno di Valenza. Quella di Uneza, la più celebre di tutte, che porta oggì il nome di Nostra Donna della Mercede del Puche, fu fabbricata nel luogo ov’era stata trovata l’immagine della santa Vergine, che vi si scorge ancora nella chiesa, e che è grandemente frequentata dai fedeli. Il re fondò questo monastero per aver preso la città di Valenza in virtù delle preghiere del nostro santo. In fatti egli n’era così fortemente convinto, che ad esse attribuiva il merito delle vittorie da lui riportate sui Maomettani, e la conquista dei regni di Valenza e di Murcia.

Appena che Pietro Nolasco ebbe abbracciato la professione monastica, abbandonò la corte. Indarno il re si adoperò per ritenervelo, avvegnacché niente poteva in suo cuore agguagliare l’amor ch’egli aveva pel ritiro. È vero che qualche tempo dopo ricomparve nel mondo, ma la sola carità ve lo trasse. Suo disegno fu di riconciliare tra loro due possenti signori, che colle loro discordie avevano turbato il riposo dello stato, e racceso la face della guerra civile; ed ebbe la fortuna di riuscirvi, e di spegnere il fuoco della discordia; dopo di che, non essendo più necessaria la sua presenza nel mondo, rientrò nel suo monastero. Ma siccome voleva dare una nuova perfezione al suo ordine; così rappresentò ai suoi religiosi, che non bastava il ricattare alcuni prigionieri nelle terre soggette ai principi cristiani; ma che conveniva scegliere due persone, che andassero ad esercitare questa buona opera nei paesi tenuti dagl’infedeli. Il suo consiglio fu accolto con universale applauso, e fu nominato egli stesso con un altro, per adempiere una funzione che fece dare il titolo di Redentori a quelli che avevanla impresa. Parti dunque di Barcellona per recarsi nel regno di Valenza, ove la sua carità diede uno spettacolo il più edificante. Le diverse pratiche di questa virtù l’occupavano per maniera che non gli lasciavano un istante di posa.

Egli passava tutto il tempo a visitare, a istruire e a consolare i prigionieri; e non potendo egli ricattarli tutti, rimetteva in libertà quanti più ne poteva. I Maomettani furono sommamente tocchi dalle sue virtù, che davano sì grande lustro al santo, e molti di essi aprirono gli occhi alla luce del vangelo. Il santo fece ancora altri viaggi sulle costiere della Spagna, e sempre col medesimo buon successo: ma ebbe molto a soffrire in Algeri, dove fu caricato di catene per la fede di Gesù Cristo. Pure niente poteva legare a lui la lingua, e seguitava tuttavia, ad onta d’ogni proibizione, a illuminare gl’infedeli sui loro empi non meno che stravagati errori. Il suo coraggio era tanto più invitto, quanto che il martirio era lo scopo dei suoi più ardenti desideri.

I santi mostrarono sempre una tenera carità per tutti gli uomini; essi portavanli, per così dire, tutti nel cuore, ed eran pronti a sacrificare fino la loro vila per assisterli. Né erano paghi di provvedere ai loro corporali bisogni, ma s’adoperavano ancora a distruggere nelle anime loro il regno del peccato, per istabilirvi quello della giustizia. Né da ciò era capace di ritrarli la loro ingratitudine, né i più duri trattamenti che ne ricevevano. Essi risguardavano gli uomini come ammalati che meritano più compassione che sdegno; e perciò tutti li raccomandavano a Dio nel silenzio dei loro ritiri, e sollecitavano continuamente la sua misericordia in pro di essi. Questo tenore dei santi nulla può avere che ci debba far istupire, se noi poniamo mente ai possenti motivi che il Salvatore mette in opera per recare i suoi discepoli ad amare i prossimi. Or dopo questo come si potrà mai scusare quella barbara durezza, che sotto mille leggeri pretesti ci porta a ricusare agli sventurati la più piccola parte dei nostri beni temporali? Dimenticammo noi dunque che Gesù Cristo nostro Redentore, da cui abbiamo tutto ricevuto, ci fa un precetto sì solenne della carità verso il prossimo, e sovra tutto inverso i poveri? Ei ci dice di doverli risguardare come membra dello stesso capo, come nostri fratelli e come nostri coeredi, come suoi più cari figli, che sono l’immagine viva di lui; ci assicura che si terrà per fatto a sé stesso quanto di bene avrem fatto ad essi: e ci dà sua fede di pagar le nostre limosine con una gloria immortale. Si grandi motivi, dice il Crisostomo, sarebbero bastevoli a spezzare un cuore di marmo. Ma ci ha qualche cosa di più, aggiunge questo santo padre, che quel Gesù Cristo stesso che noi ricusiamo di pascere persona dei suoi poveri, pasce le nostre anime colle sue sacre carni e col suo sangue. E dopo tutto questo, quale speranza potremo aver noi di trovare mercé appo di esso? Oh accecamento incomprensibile! noi ci scaviamo forse un abisso eterno con quello, con che ci potremmo assicurare l’acquisto d’un regno che non avrà mai fine.



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