Volentieri offriamo ai lettori alcuni estratti (comprendenti anche note del traduttore) di Vincere la paura di Padre A. Eymieu. Se la disamina del dotto psicologo valeva già ad inizio ‘900, oggi vale ancor di più, dimostrandosi più attuale che mai.


Che […] gli ossessionati pullulino ognor più non si spiega che troppo facilmente. Si potrebbe dire che la nostra epoca è, invero, predisposta a tale riguardo. Una pesante eredità grava su di essa. Le 5 precedenti furono troppo spesso in preda alla febbre delle guerre e rivoluzioni, degli odii ardenti e delle speranze folli. Esse si sono oltremisura sovraccaricate e, sotto questo aspetto, ci hanno trasmesso un triste retaggio. Di più, noi l’abbiamo aggravato.

Lo strapazzo continua accentuandosi: la lotta per la vita si fa ognor più aspra; il denaro, le comodità, il lusso hanno assunto un’importanza colossale e stranamente complicato l’esistenza dei più; il commercio e l’industria, financo l’agricoltura, cose che un tempo procedevano tranquillamente e quasi da sé, son ora divenute vere e proprie battaglie, che fa d’uopo vincere e rinnovare senza tregua contro la concorrenza. A quest’eccessivo sovraccarico delle facoltà dell’azione, s’aggiunga quello del pensiero, a cui non si sottraggono nemmeno i più modesti cervelli: la massa sociale è senza posa avvolta e sbattuta da mille differenti cause che tutti, o quasi tutti, ci gettano verso nuovi orizzonti, nuove relazioni, nuove amicizie, nuovi affari e perfino nuovi mestieri. Si valuti un po’ la spesa, in moneta psicologica! Che dire poi delle idee che saturano l’aria e che noi respiriamo? Idee nuove che van volgarizzandosi con le applicazioni pratiche della scienza; problemi di politica, di sociologia, di morale, di religione che ci si parano innanzi più complessi ed inquietanti di ogni altro tempo.

Lo strapazzo emozionale completa quello del pensiero e dell’azione; un esasperato prurito di godere, il malcontento, allo stato cronico, della propria sorte, le folli, smisurate ambizioni, il bisogno di sorpassare gli altri e di sorpassare se stesso, la tappa troppo presto varcata, senza che le qualità della stirpe, i nervi, il cervello, le idee abbiano potuto svilupparsi di pari passo. Si raccolgano dunque col pensiero tutte queste cause e non ci si meraviglierà più che il livello dell’energia vitale non arrivi all’altezza dei bisogni, né che, in una generazione su cui pesa un tale atavismo e un tale esteso e profondo surmenage, i candidati all’ossessione si facciano più numerosi che mai[1].

[N. d. T.] Inoltre all’infrollimento delle volontà e al rilassamento dei costumi, derivante dall’apostasia religiosa della società attuale, si deve, noi crediamo, assegnare una non piccola parte dei malanni che ci affliggono anche in questo campo. «La crescente nervosità e sovreccitazione dell’epoca nostra, scrive ancora Förster (Op. cit., p. 256), è in non piccola parte connessa al fatto che oggidì gli uomini vanno così cozzando tra loro senz’alcun freno e si lasciano andare ad ogni sorta d’irritazioni, d’umori bisbetici e di rabbie. Si rovinano i nervi a vicenda, perché in fondo, nessuno più vede che motivo propriamente ci sia di dominarsi. La teoria del libero vivere domina, vergognosa e svergognata, l’età nostra». (Tutto questo però sia detto in tesi generale e con grande
rispetto per gli ammalati di cui parliamo, i quali come già vedemmo, sono, nella grande maggioranza, ammalati in conseguenza di predisposizioni ereditarie ed anche perché, molte volte si son trovati esposti, pressoché indifesi, ad una specie di contagio sociale). Ci si obbietterà forse, che in ogni tempo ci furono disordini morali e noi risponderemo col sullodato Autore (Op. cit., Introduzione, p. 21), che allora almeno «si sapeva di cadere e di peccare; perché tutto il mondo spirituale era penetrato dalla spaventosa realtà della differenza fra il bene e il male; realtà di fronte alla quale ogni altra doveva necessariamente impallidire» e più facile era perciò la riabilitazione.

Che dire poi di coloro che riguardano l’ottemperanza degli obblighi imposti dalla legge morale, particolarmente nei riguardi della continenza, come causa di nevrosi? Si potrebbe osservare a costoro che Paolo di Tarso, Agostino d’Ippona, Tommaso d’Aquino, Gregorio VII, Bossuet e mille altri, furono astinenti e non per questo degli imbecilli, né tampoco dei nevropatici. Si potrebbe anche aggiungere che cultori illustri delle scienze mediche hanno sempre dichiarato che l’astinenza giova assai alla salute, anziché nuocerle, e che del resto, non sembra che la nostra epoca in cui s’incontrano assai più numerosi che in ogni altro tempo gli ammalati di cui parliamo, sia troppo stretta osservante dei precetti della morale, sì da ritenersi, a questo titolo, predisposta! Ci pare però che, quanto ai pareri dei medici, sia in pro che in contro, sia giusto ripetere con Förster, che qui «la cosiddetta teoria scientifica [già si sa che oggi per molti, non è scientifico se non ciò che cade sotto i sensi] è un terreno affatto malsicuro, appunto perché qui non si tratta di connessioni palpabili e nettamente verificabili per via sperimentale, ma di problemi ultimi psico-nevrologici della più complicata natura» […].

[N. d. T.] Noi crediamo tuttavia che Förster non abbia torto (e l’illustre Autore sarà facilmente d’accordo con noi) allorché scrive: «Dovrebbe addirittura diventare un quesito capitale della psicologia pedagogica, quello del modo più efficace e vario di far fluire e di coltivare le fonti spirituali e morali dell’energia di lavoro dell’uomo, invece di prendere solo individui d’una determinata organizzazione spirituale o di coltivare solo i più grossolani moventi della paura, dell’ambizione e del vantaggio materiale, moventi la cui preponderante partecipazione all’opera della civiltà, vuol dir sempre un pericolo morale e psichico, sia per il singolo individuo come per la totalità. Io affermerei addirittura che una parte non piccola della moderna nervosità dipende da questo: che gli uomini oggidì lavorano troppo, non già in proporzione alla loro reale potenzialità, bensì in proporzione alla forza e molteplicità dei moventi del lavoro. Non si sa più perché propriamente si lavori – perciò tutto diviene strapazzo. Manca la profonda soddisfazione per l’opera propria. E senza il concorso di copiose fonti morali e spirituali d’energia, il lavoro per moltissime persone, è davvero una servitù che eccessivamente le spossa». (Istruzione etica della gioventù, Traduzione Bongioanni, Torino, S. T. E. N., 1911, p. 338). Intorno all’azione sovranamente importante, che un ideale morale ben scelto e ben adattato esercita sull’intera economia dell’individuo, noi non conosciamo e non sapremmo indicar nulla di meglio che la III parte del I. Volume Governo di sé stesso, del nostro Autore.


[1] «Da cinquant’anni in qua, la popolazione d’Europa non è raddoppiata; la somma del lavoro da essa prodotto è salita invece al decuplo e, in parte, è aumentata in proporzione cinquanta volte maggiore. Ogni uomo civilizzato fornisce dunque oggi (in media) da cinque a venticinque volte il lavoro che gli si chiedeva un mezzo secolo fa». MAX NORDAU, Dégénérescence, traduzione francese, Parigi, Alcan, 1897, I, p. 71. N.d.A.


>>> Vincere la paura. Ossessioni e scrupoli <<<


Seguite Radio Spada su: