Con vivo apprezzamento continuiamo la pubblicazione in quattro puntate di questo attuale e ricchissimo saggio del nostro autore Marco Sambruna, attento critico della dissoluzione della contemporaneità nonchè della genetica ideologica della sovversione. Il Sambruna ha già pubblicato con noi i due saggi “L’antivangelo. Radici filosofiche del nichilismo moderno” e “Il declino del sacro. Rumore sociale, mass media e nichilismo”. A voi tutti, cari lettori ed amici di Radio Spada offriamo questo piccolo dono, segno tangibile dell’inesauribile vitalità della nostra casa editrice. Qui potete leggere la prima puntata. Buona lettura! (Piergiorgio Seveso Presidente SQE di Radio Spada)

FASE 2: L’EDIFICAZIONE DI SATANOPOLI

La “città infernale” istituzionalizzata nella “città sovietica” tuttavia è già una possibilità che appartiene al passato non meno di quanto vi appartenga la “città infernale” dipinta da Hyeronimus Bosch. La Satanopoli ora in via di edificazione sarà simile alla città sovietica circa il panorama urbano, ma differirà profondamente quanto alla tempra psicologica e spirituale dei suoi abitanti.

La rivoluzione sovietica è stata un avvenimento traumatico che, pur avendo avuto una lunga gestazione dall’illuminismo in poi, si è inverata nel breve volgere di pochi mesi dalla caduta dell’ultimo zar, passando per il governo provvisorio di Kerenskji fino alla formazione dello stato sovietico: troppo poco tempo perché una rivoluzione sociale, economica e culturale potesse essere anche una rivoluzione antropologica: “l’uomo nuovo sovietico” di cui il regime stalinista si è sempre vantato di essere padre non è mai esistito. L’anima del popolo russo è sempre rimasta profondamente religiosa nonostante la propaganda invasiva del regime ne avesse divulgato la metamorfosi e decretata la fine. Stalin e i suoi successori hanno fallito nella missione di trasformare l’uomo nel senso di mutarne antropologicamente i caratteri a rivoluzione avvenuta. La propaganda, la brutalità poliziesca e le armi della seduzione prima e della persecuzione poi non hanno potuto se non scalfire l’anima del popolo russo ottenendo solo una adesione formale e verbale ai dogmi sovietici. Ma il cuore dell’uomo non era mutato.

L’istituzione di Satanopoli che si va costruendo invece ha prolungato la fase rivoluzionaria fino agli albori della modernità facendone una lunga introduzione o preambolo che ha preparato meglio il terreno all’ educazione e indottrinamento dell’uomo nuovo destinato non a vivere, ma ad abitare la città infernale contemporanea: gli strumenti della pedagogia anticristica imperniata sull’ ateismo prima e sul nichilismo poi sono perfettamente riusciti laddove la rozza propaganda del regime sovietico ha fallito. Le masse che la rivoluzione sovietica non ha avuto il tempo di de-virilizzare e mutare antropologicamente, dall’attuale rivoluzione laicista sono state invece opportunamente ricondizionate in un arco di tempo prolungato di almeno tre generazioni dagli anni Cinquanta a oggi.

La nuova città infernale odierna mutua da quella sovietica l’aspetto esteriore o la forma, ma la sua  capacità di condizionare le menti è di molto più efficace: la sua edificazione infatti è proceduta secondo i ritmi di una marcia lenta, ma inesorabile che ha progressivamente eliminato l’ostacolo principale – il kathekon in termini biblici – che poteva arrestarne lo sviluppo: la religione tradizionale. Essa attraverso una serie di passaggi graduali è stata prima sottratta al sacro, poi profanata, quindi derisa, infine dissolta.

Se nell’ex U.R.S.S. la rivoluzione antropologica da cui scaturisce l’uomo nuovo socialista era solo la mera illusione di un manipolo di fanatici, nella moderna Satanopoli tale rivoluzione è invece perfettamente riuscita e l’uomo nuovo sta per diventare una orribile realtà.

Alla luce di tutto questo il panorama urbano di Satanopoli sarà privo di simboli o elementi che evochino l’idea del sacro come lo intendevano le vecchie religioni. L’uomo è capace di esperire il sacro in tre modi: come insieme di caratteri, percezioni, materia e forma.

L’essenza del sacro è l’affidabilità di cui gode: esso tanto più determina il destino degli uomini quanto più essi si affidano con fiducia ai suoi caratteri costitutivi di liturgie e riti, alla sua scansione del tempo come successione di ricorrenze che lo rinnovano, alla percezione visiva dei simboli che orientano la mente verso un destino.

La missione del sacro consiste nel fornire simboli a un destino: simboli religiosi orientano i popoli verso una  prospettiva trascendente, simboli laicisti orientano la mente verso una prospettiva immanente. Si può dire pertanto che mentre i simboli del sacro sono la chiave per accedere a un destino che trascende la vita terrena lungo un percorso lineare, i simboli del profano sono la chiave per aprire la possibilità di una funzione: di qui deriva la formazione di un uomo qualora scelga di affidarsi ai simboli del sacro per incamminarsi lungo un destino o il suo arruolamento qualora scelga di affidarsi ai simboli laicisti che lo perimetrano all’interno di una funzione. In questa prospettiva mentre il sacro indica la via di una missione in vista di un compimento, il profano indica la via di una funzione in vista di un automatismo ossia lo svolgimento di una mansione pre-stabilita all’insegna del nicciano “infinito ritorno dell’uguale”: si è così calati nel quotidiano dove gli stessi gesti, gli stessi pensieri, le stesse operazioni sono ripetuti fino a diventare un automatismo narcotizzante.

Divino è dunque ciò che schiude il destino tramite il sacro, anti divino ciò che lo mantiene chiuso all’interno di un automatismo funzionale.

I costruttori della città infernale perciò hanno come fine, in una fase ancora primitiva del loro progetto, di operare una sostituzione: sostituire i simboli e il linguaggio del sacro con quelli del profano. Per questo Satanopoli comincerà a ergersi quasi impercepibile tramite una lenta, ma costante rimozione dei simboli del sacro: i simboli del sacro per i costruttori della città infernale rappresentano un formidabile pericolo perché innescano la lotta fra la decisione per un destino personale o la scelta per l’automatismo funzionale in un meccanismo collettivo. I costruttori di Satanopoli sanno che i simboli sacri sono un frammento del vero che si rendono visibili, cioè si storicizzano in forme visibili come l’arte sacra, la liturgia, riti, sacramenti: in virtù di ciò la loro prima preoccupazione è quella di eliminarli. Fatto questo si impoverisce la possibilità stessa che possano agire nel determinare il destino di un popolo. In loro luogo sono costituiti quasi di soppiatto i simboli laicisti il cui fine è quello di sedare le salutari inquietudini dello spirito come farebbe un narcotico.

Le figure o i simboli del sacro sono tanto più efficaci nel dischiudere un destino e quindi a stornare dall’automatismo funzionale, tanto più è potente il loro urto o impatto: un simbolo del sacro è più efficace laddove riesce a inquietare e in qualche caso, perfino a traumatizzare. Di contro i simboli del profano sono più efficaci quanto più riescono ad  anestetizzare tramite l’automatismo funzionale. Per questo il simbolo del sacro – cioè l’arte, il rito, la liturgia – deve avere carattere di autonomia, sfuggire a qualsiasi usabilità utilitaristica per mostrare la sua indipendenza dal profano: qualora manchi questa indipendenza il sacro resta nascosto e il destino velato.

Nell’iter di sostituzione silenziosa dei simboli religiosi con quelli profani come aspetto prioritario nella costruzione di Satanopoli le figure visibili della chiesa – ripetiamo: arte, rito, liturgia, omiletica, edifici sacri – hanno abbandonato il loro carattere sacro per assumerne quello dell’usabilità utilitaristica tipici del profano. Non c’è più urto, né impatto destabilizzante o decontestualizzante causato dall’autonomia del sacro, ma l’istituzione di “aree comuni” tese ad assicurare un legame di dipendenza fra sacro e profano laicista; ne deriva la banalizzazione dei simboli del sacro i quali anziché dischiudere precludono concorrendo a facilitare l’organizzazione dell’automatismo funzionale di matrice collettivista.

E’ quindi prioritario per i costruttori della città infernale disinnescare i simboli del sacro al fine di renderli banali: non debbono più essere contemplati nello stupore che genera un salutare innesco a propria volta preliminare a una salutare inquietudine.

I simboli del sacro parlano e la loro narrazione naturalmente necessita di un linguaggio adatto: l’omiletica e la preghiera ad esempio lo sono.

Diventa perciò di fondamentale importanza per i costruttori di Satanopoli ricorrere a una narrazione alternativa che impone un linguaggio alternativo: non più il linguaggio del sacro, ma quello del profano ossia la terminologia tecnico – giuridica conforme all’automatismo funzionale cui sarà inserito ogni individuo.

In definitiva il primo aspetto tipico della nuova città infernale, palese agli occhi dell’uomo del passato, ma pressoché invisibile per l’uomo nuovo che non ne percepirà nemmeno l’assenza, sarà la sparizione dei simboli del sacro, cioè dei simboli religiosi.

Abbiamo accennato come il primo criterio nell’edificazione di Satanopoli consisterà in una fase decostruttiva: il centro storico, cioè il luogo in cui sono concentrate le più ricche e numerose testimonianze dell’architettura cristiana sarà progressivamente abbandonato. Nell’Inferno de Il giardino delle delizie di Bosch nella parte alta del dipinto le fiamme divorano e consumano ciò che resta di una città: è una azione rapidamente distruttiva, ingenuamente brutale nella sua orribile evidenza. Nella città infernale che si va edificando la fase decostruttiva è molto più lenta, progressiva e soprattutto molto meno direttamente percepibile per quanto altrettanto brutale: abituiamoci a pensare i centri di Roma o Firenze o di qualsiasi altra città europea come a luoghi che saranno gradualmente abbandonati fino a rimanere quasi completamente disabitati: già i primi segni di questo incipiente abbandono sono visibili come i sintomi che indicano il prossimo insorgere di una malattia: non diversamente di quanto accade all’Acropoli ateniese, molte cattedrali europee (come Nostre Dame prima dell’incendio che l’ha consumata) cadono lentamente e letteralmente a pezzi tra l’indifferenza generale non solo dell’amministrazione comunale, ma perfino, cosa ben più grave, degli stessi cittadini. Analogo spettacolo possiamo osservarlo in certo vecchi quartieri di Pisa o di Venezia dove già in alcune isole disabitate della Laguna le vecchie chiese si struggono nella derelizione.

Le chiese non saranno demolite per non suscitare l’indignazione di chi è ancora spiritualmente sveglio, ma semplicemente abbandonate all’incuria. Dai portoni spalancati o semplicemente accostati chiunque potrà entrare a qualsiasi ora del giorno o della notte per prelevare ciò che vuole tra ciò che è rimasto incustodito: arredi sacri, calici, quadri a soggetto sacro, paramenti sacerdotali abbandonati in sacrestia, vecchi mobili di legno pregiato.

Spogliate dei loro ornamenti le chiese non esauriranno la loro funzione di ricettacolo di ogni violazione anche la più brutale e resteranno a inerme disposizione di chi vorrà imbrattarle con scritte oscene, bestemmie, simboli anticristici; in luogo dei vecchi affreschi ormai scoloriti dall’umidità che penetra dai muri ammuffiti nel giro di una notte vedremo comparire dei murales dalle tonalità violente, schizzi di colori accesi, graffiti dalle scritte cromate indecifrabili.

Dopo la spoliazione e lo sfregio in una terza fase del loro martirio le chiese saranno rapidamente trasformate in garage dove ricoverare moto o biciclette, depositi stipati di ferraglia inutile, oggetti che non servono più, scarti d’arredamento domestico come fossero immani cantine.

Di notte manipoli potranno bivaccare, accendere un falò, ascoltare musica sintetica, alterarsi con droghe o alcool. All’esterno proseguirà la rapida disgregazione fatta di frammenti di intonaco che si staccano dalle pareti, coperture che non reggono più all’infiltrazione dell’acqua piovana, fregi e decorazioni esterne che si consumano sotto l’azione delle intemperie mentre le statue aggettanti perdono braccia, ali, teste.

Nelle città di provincia una volta distanti dalle metropoli, ma ormai quasi fagocitate in esse a causa dell’avanzare dell’edilizia già ora è possibile osservare presso vecchie cascine o borghi spopolati la fine penosa delle nicchie sacre dove gli affreschi a soggetto cristiano sono lasciati all’azione delle intemperie. Gli ex voto che una volta ne costellavano le pareti sono spariti, forse rimossi da qualche mano pietosa per essere conservati oppure, più prosaicamente, sono stati rubati.

Il fenomeno dell’abbandono delle strutture sacre è ancora più evidente in certi recessi alpini e appenninici: vecchie pievi di montagna costruite con la solida pietra quasi a secco cominciano a crollare dal tetto fino a rendere impossibile l’ingresso a causa del pavimento ingombro di macerie.

Al loro posto sorgeranno delle strutture simili alla cosiddetta “Aula di meditazione” presso la sede dell’ONU a New York.[1]


[1] Circa la “meditation room” alle Nazioni Unite si veda: http://www.unavox.it/ArtDiversi/DIV2661_Belvecchio_Meditation_room_all-ONU.html


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