di Luca Fumagalli

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Il monsignore irlandese John O’Connor è oggi ricordato quasi esclusivamente per essere stato indicato da G. K. Chesteron quale modello del personaggio letterario di Padre Brown, il celeberrimo sacerdote detective. Per il resto su di lui si sa ben poco tanto che per un profilo biografico di spessore si è dovuto attendere fino al 2010, con la pubblicazione del volume The Elusive Father Brown di Julia Smith.

Eppure Mons. O’Connor, sebbene semplice parroco, fu colui che accolse Chesterton nella Chiesa cattolica, rivestì il ruolo di confidente della moglie Frances ed ebbe importanti legami con Eric Gill, David Jones e molti altri tra gli intellettuali più in vista del cattolicesimo britannico nel periodo compreso tra le due guerre mondiali. Coltivò amicizie epistolari con sacerdoti e suore, e tra i suoi conoscenti si annoverano personalità del calibro del gesuita C. C. Martindale, di G. B. Shaw, di Max Beerbohm e dello scrittore scozzese Compton Mackenzie (una volta il Monsignore sostenne pure di essersi seduto accanto a D’Annunzio durante un concerto). Fu inoltre bibliofilo, collezionista d’arte, appassionato musicologo, membro di numerosi club, scrittore e giornalista dilettante, critico di Shakespeare e traduttore di Paul Claudel e di Jacques Maritain. Secondo Alfred J. Brown, Mons. O’Connor era un esperto nella difficile arte del vivere, mentre Hilare Belloc lo definì l’uomo più intelligente che avesse mai incontrato.

O’Connor (il secondo da sinistra) con i suoi compagni a Douai (1883)

John Joseph O’Connor era nato il 5 dicembre 1870 a Clonmel, nella contea di Tipperary, primo dei cinque figli di Michael O’Connor e Bridget Mulcahy. Il padre era proprietario di una fabbrica di lana e le agiate condizioni economiche della famiglia permisero al brillante John – che già prima dei cinque anni aveva imparato a leggere – di frequentare dapprima la St. Francis Academy e poi, per un biennio, gli Irish Christian Brothers. Per completare il suo percorso di studi, nell’estate del 1883 raggiunse il priorato di Saint Edmund a Douai, nel nord della Francia, dove, tre secoli prima, i benedettini inglesi avevano trovato rifugio in seguito allo scisma anglicano.

A Douai il giovane O’Connor si innamorò degli scritti di J. H. Newman e maturò la decisione di farsi sacerdote. Fu così che nel 1889 divenne seminarista presso il Venerabile Collegio Inglese di Roma, la seconda istituzione più antica affiliata all’Università Gregoriana. Lui ed Arthur Hinsley, futuro Arcivescovo di Westminster e Cardinale, occupavano i posti riservati alla diocesi di Leeds. Un divertente aneddoto racconta che una facoltosa famiglia britannica in visita a Roma volle incontrare i due seminaristi: entrambi furono giudicati capaci, ma O’Connor lasciò un’impressione di gran lunga più favorevole.

Trascorsi sei anni di studio e di gite tra le bellezze della Città Eterna, il ragazzo venne infine ordinato nel marzo del 1895 dall’Arcivescovo Edmund Stonor (ricordato per essere stato il cappellano degli zuavi pontifici di lingua inglese). La cerimonia si svolse presso la basilica di San Giovanni in Laterano, dopodiché al novello sacerdote fu accordato il raro privilegio di poter celebrare la sua prima Messa sulla tomba di San Pietro.

Mons. John O’Connor

O’Connor si stabilì quindi nello Yorkshire, dove, ad eccezione delle vacanze, trascorse il resto della propria vita. Iniziò come curato, occupandosi soprattutto dei poveri e dei derelitti. La sua profonda conoscenza del male, maturata a contatto con gli ultimi della società, fu ciò che più impressionò Chesterton ed è una delle caratteristiche che il sacerdote irlandese condivide con Padre Brown, oltre alla saggezza, alla straordinaria abilità nel notare anche i dettagli più insignificanti e al disprezzo per il telefono. Nel 1905 venne nominato parroco a Heckwondwike, dove inaugurò una splendida chiesa, e dal 1919 al 1952, anno della scomparsa, servì nella parrocchia di St. Cuthbert a Bradford.

Dopo aver collaborato alla seconda parte di Arundel Hyms, collezione di inni sacri a cura del Duca di Norfolk e di Charles T. Gatty, nel 1903 O’Connor ebbe i primi contatti epistolari con i coniugi Chesterton. Tra loro nacque un’amicizia talmente profonda che Frances si sentì sempre libera di confidare al sacerdote le sue paure e i suoi dolori. Allo stesso tempo, Maisie Ward, biografa di Chesterton, sostiene che nessuno fu più vicino allo scrittore di Mons. O’Connor.

Del resto non va dimenticato che la conversione dei due al cattolicesimo la si deve in larga parte ai suoi sforzi: nel 1922, quando accolse Gilbert nella Chiesa, O’Connor ricevette i complimenti, tra gli altri, di Mons. Ronald Knox, del Cardinale Francis Bourne e del Cardinale Merry del Val che, da Roma, gli indirizzò un biglietto colmo d’entusiasmo. Per Frances il passaggio al cattolicesimo fu più travagliato e avvenne solamente nel 1926.

La chiesa parrocchiale di St. Cuthbert

O’Connor fu pure collaboratore di Chesterton al «New Witness» e al «G. K.’s Weekly», anche se non si spese mai attivamente all’interno del movimento distributista. Dopo la scomparsa dello scrittore, oltre a celebrare la sua Messa da Requiem, volle omaggiarlo con un libro di aneddoti e ricordi, Father Brown on Chesterton, pubblicato nel 1937 (lo stesso anno in cui a O’Connor fu riconosciuto il grado ecclesiastico onorifico di ciambellano papale e il titolo di Monsignore).

Altro amico intimo fu il controverso artista Eric Gill, fondatore della Guild of St Joseph and St Dominic. La Guild, con base a Ditchling, nel Sussex, era una comunità cristiana simile a una corporazione medievale che aveva come scopo quello di promuovere un artigianato di qualità in aperta polemica con la crescente standardizzazione del prodotto industriale. Gill, che in O’Connor aveva trovato una guida spirituale sicura, disposta a raccogliere le sue confessioni più scabrose, serviva Messa al sacerdote ogni volta che ne aveva la possibilità. Da parte sua quest’ultimo commissionò all’amico diversi rilievi e sculture per la parrocchia di Bradford e lo difese quando le sue opere vennero accusate di essere un po’ troppo esplicite e volgari.

O’Connor frequentò anche altri membri della Guild come Hilary Pepler, il domenicano Vincent MacNabb, Valentine Kilbride e Desmond Chute. Fu lui che consigliò a David Jones, reduce dalla devastante esperienza della Prima guerra mondiale, di stabilirsi per un po’ a Ditchling, e fu sempre lui, qualche anno dopo, a battezzarlo. Come ringraziamento Jones gli dedicò il poema The Kensington Mass.

Ritratto di Mons. O’Connor a opera di Joseph Kramer

In generale, chi conobbe O’Connor lo ricorda come un pastore zelante e devoto, particolarmente attento all’educazione della gioventù. Non mancò mai di raccomandare ai fedeli di pregare il Rosario, di confessarsi regolarmente e di praticare la carità. Firmò pure testi devozionali e articoli per le più importanti riviste cattoliche d’Inghilterra, mentre la straordinaria abilità dal pulpito è testimoniata dal volume A Month of Sundays, the Foolishness of Father Brown (1940), una raccolta dei suoi sermoni migliori.

Allo stesso tempo, però, il carattere di Mons. O’Connor non era privo di spigoli – ad esempio era facilmente incline all’imprecazione e alle sfuriate contro i chierichetti o i giovani coristi indisciplinati – e le sue vedute teologiche, a volte decisamente borderline, anticiparono alcune delle innovazioni introdotte dal Concilio Vaticano II. Favorevole alla cremazione, dimostrò di condividere le posizioni più progressiste del movimento liturgico continentale. In un libello che circolò privatamente, Why Revive the Liturgy, and How?, scritto probabilmente intorno al 1939 – l’ipotesi della data è stata recentemente avanzata dal benedettino Hugh Somerville Knapman –, si espresse a favore della traduzione in volgare di alcune parti della Messa, della concelebrazione, della possibilità di ricevere la comunione nelle mani, dell’ammorbidimento della disciplina riguardante il digiuno eucaristico e dell’ordinazione di diaconi permanenti. Arrivò a proporre persino l’abolizione della musica nelle funzioni pubbliche.

Le sue opinioni avevano d’altronde già trovato una concreta applicazione nella nuova chiesa parrocchiale di Our Lady and First Martyrs che il sacerdote aveva fatto costruire a Bradford nel 1935. L’edificio presenta infatti una rivoluzionaria pianta ottogonale, quasi circolare, con l’altare collocato al centro dell’assemblea.

La tomba di O’Connor

Mons. O’Connor si spense il 6 febbraio 1952 dopo una lunga malattia e il suo corpo venne sepolto nel Scholemoor Cementry di Bradford. Non avendo lasciato un testamento, i pezzi più pregiati della sua collezione di libri e di opere d’arte, quelli che non aveva ancora venduto o donato per finanziare le sue molteplici iniziative pastorali, finirono per essere battuti all’asta.

La sua scomparsa coincise con la conclusione di quello che fu forse il periodo più luminoso per la cultura cattolica britannica degli ultimi due secoli. Se il sacerdote irlandese non recitò una parte di primo piano, nonostante le ambiguità si rivelò comunque un’ottima spalla su cui tanti dei protagonisti dell’epoca poterono fare affidamento.  


Fonte dell’articolo e delle Immagini: J. SMITH, The Elusive Father Brown, Gracewing, Leominster, 2010. Si è inoltre consultato J. O’CONNOR, Father Brown Reforms the Liturgy: Being the Tract “Why Revive the Liturgy, and How?”, a cura di H. SOMERVILLE KNAPMAN, Arouca Press, Waterloo (Ontario), 2021.


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