di Luca Fumagalli

Continua con questo articolo l’approfondimento sulla vita e le opere dello scrittore scozzese George Mackay Brown (1921-1996), tra gli autori più interessanti e originali del panorama letterario cattolico del Novecento.

Per i contributi precedenti:

Per chi fosse interessato ad approfondire la figura di G. M. Brown e quella di molti altri scrittori del cattolicesimo britannico, si segnala il saggio delle Edizioni Radio Spada “Dio strabenedica gli inglesi. Note per una storia della letteratura cattolica britannica tra XIX e XX secolo”. Link all’acquisto.

An Orkney Tapestry è un libro seminale, un punto di svolta nella carriera di George Mackay Brown (1921-1996), dove trovano una prima elaborazioni temi quali l’eroismo norreno, il cattolicesimo pre-riforma, il calvinismo e la critica al mito del progresso, che varranno ampiamente ripresi e sviluppati dallo scozzese nelle sue opere successive.

Nel 1967, quando la casa editrice londinese Victor Gollancz commissionò a Brown un libro sulle Orcadi, il poeta di Stromness accolse di buon cuore la proposta: aveva già dato alle stampe un paio di raccolte poetiche e due volumi di racconti, ma era ancora alla ricerca della consacrazione presso il grande pubblico. Si mise quindi al lavoro, e in una delle diverse lettere che all’epoca indirizzò allo scrittore Charles Senior e alla moglie Carol – i dedicatari di An Orkney Tapestry – confidò loro di essere alla ricerca di un «modo valido e originale per affrontare il progetto», volendo evitare a tutti i costi di compilare una banale guida turistica o, peggio, un pamphlet elogiativo delle isole.

Attingendo a piene mani da svariate fonti, come la Orkneyinga Saga e i saggi sugli usi e i costumi delle Orcadi, Brown cominciò a scrivere i primi brani di quello che sarebbe risultato un curioso esperimento letterario in cui prosa e poesia, narrativa e saggistica, si alternano senza soluzione di continuità. Anche i capitoli non seguono uno sviluppo cronologico, procedendo piuttosto secondo uno schema tematico, frutto di giustapposizioni significative, come le diverse scene dell’arazzo evocato dal titolo (e non c’è da dubitare che nelle mani di un autore meno capace il rischio dell’arlecchinata, del patchwork colorito ma confusionario, sarebbe stato difficile da evitare).

Nella prefazione del volume, corredato dalle illustrazioni di Sylvia Wishart, Brown giustifica la propria scelta chiamando in causa la distinzione elaborata nella sua autobiografia da Edwin Muir – altro famoso poeta cattolico delle Orcadi – tra la “Story”, ovvero la storia in senso proprio, con la sua sequela di date e di accadimenti, e la “Fable”, quell’essenza di inesauribile mistero che si cela dietro a essa. A Brown è proprio la “Fable” a interessare maggiormente, tanto che il suo obiettivo dichiarato non è quello di consegnare al lettore, per così dire, l’esteriorità delle Orcadi, ciò che può benissimo cogliere un occhio scientifico, quanto la loro anima. Ecco perché in An Orkney Tapestry la suggestione, l’allusione, vince sempre sulla fredda precisione del dato.

La prima edizione del volume

Nel 1969, anno della pubblicazione del libro, una simile impostazione non mancò di contrariare più di un critico. Altri, pur riconoscendo allo stile dei Brown il ruolo di fattore unificante del testo, accusarono lo scrittore di aver dato troppo spazio al passato delle Orcadi a scapito del loro presente.

An Orkney Tapestry si rivelò comunque un libro di successo. In poche settimane vendette circa 3000 copie e l’edizione economica continuò a circolare fino alla fine degli anni Settanta (da allora il volume non è stato più stampato; solo nel 2021, in occasione delle celebrazioni per il centenario della nascita di Brown, la Polygon ne ha preparato una nuova edizione annotata). Tra gli ammiratori illustri dell’opera si segnalano il compositore Peter Maxwell Davis, che la definì «la più straordinaria evocazione poetica di un luogo in cui mi sia mai imbattuto», e il premio Nobel Seamus Heaney, secondo cui An Orkney Tapestry è «una storia sociale condensata in immagini, che a loro volta si espandono in una fantasticheria elegiaca».

Dopo un capitolo introduttivo sulle Orcadi e i suoi abitanti, intitolato “Islands and People”, in cui Brown critica aspramente quella modernizzazione disumana che sta inghiottendo pure le sue amate isole, nella seconda parte, “Rackwick”, la baia del titolo si trasforma in un teatro per inscenare la storia di un popolo, dai tempi antichi fino a un presunto conflitto atomico del futuro. La prosa è alternata da alcuni stralci poetici che vennero riutilizzati in seguito dallo scrittore nel ciclo Fishermen with Ploughs (1971).

“Vikings: The Transfixed Dragon”, come da titolo, narra della dominazione norrena della Orcadi, anticipando le atmosfere del romanzo Vinland (1992). Nel capitolo si traccia la parabola redentiva dei vichinghi, che passano dalla barbarie alla Fede, dalla violenza indiscriminata all’ordine, grazie soprattutto al martirio di San Magnus, conte delle Orcadi. Qui Brown offre la prima versione di un episodio destinato a diventare fondamentale nella sua futura produzione letteraria, rielaborato sia in forma di romanzo – La svastica e la croce (1973) – che in forma poetica e teatrale. Non a caso il sacrificio di Magnus Erlendsson, che rinuncia alla vita pur di riportare la giustizia nelle isole, è collocato al centro di An Orkney Tapestry, a rimarcare la realtà di quella provvidenza divina che guida le scelte degli uomini.

Il paese di Stromness, nelle Orcadi, dove Brown abitò per tutta la vita

Se “Lore”, il capitolo successivo, rievoca le tradizioni popolari legate all’estate e all’inverno – offrendo a Brown il destro per criticare l’autoreferenzialità della maggior parte dell’arte contemporanea -, “Poets” è la brillante contrapposizione tra il brutale calvinismo, che nega ogni valore alle tradizioni e all’arte, e lo spirito libero di uno scrittore che ama la propria terra. Ecco allora che dalla corte dell’Earl Patrick Stewart, nel XVI secolo, si fa un balzo in avanti nel tempo per incontrare Robert Rendall, uno dei poeti dialettali preferiti di Brown, scomparso giusto un paio d’anni prima della pubblicazione di An Orkney Tapestry.

Chiude il volume “The Watcher. A Play”, un breve testo teatrale ispirato al racconto Cosa fa vivere gli uomini di Tolstoy. La vicenda dell’angelo inviato sulla terra da Dio per comprendere cosa significhi davvero amare, diventa nelle mani di Brown un modo per meglio illustrare quel fondo di autentica carità che anima la comunità delle Orcadi, dove gli abitanti condividono le fortune e le sfortune della quotidianità con ammirevole tenacia.

An Orkney Tapestry termina dunque quando il lettore ha idealmente raggiunto il cuore delle isole. Le Orcadi, con le loro tradizioni e la loro fede, con tutto ciò che contengono di vero e di bello, somigliano a quel proverbiale seme che si nasconde sotto la neve di una modernità meschina e nichilistica, un seme che si spera, un giorno, possa finalmente tornare a germogliare.

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