Nota di RS: nell’anniversario della nascita del cardinale Scipione Rebiba pubblichiamo una seconda biografia di Scipione Rebiba in questa rassegna di gloriose porpora grazie alla penna appassionata e rigorosa di Emanuele Dodeci . La prima biografia dell’eminentissimo Rebiba fu pubblicata dal nostro vicepresidente Giuliano Zoroddu nell’anniversario della morte (24 luglio) (Piergiorgio Seveso, Presidente SQE di Radio Spada)

di Emanuele Dodeci

Scipione Rebiba nacque a San Marco, piccolo centro siciliano arroccato su una collina dei monti Nebrodi, il 3 febbraio 1504 da Francesco e Antonia Lucia Filingeri.  Intraprese gli studi giuridici a Palermo, conseguendo la laurea in utroque iure, e quelli teologici.  “è però forse più probabile che abbia studiato a Palermo addottorandosi a Catania.

Qualche altro scrive che si laureò a Roma “Scipione si addottorò il 23 Ricevette gli ordini minori e quelli maggiori negli anni 1524-1528, mentre un mese dopo del card. Giulio A. Santoro.” Per conoscere le tappe della sua vita rimando il lettore alla pubblicazione di aleuni anni addietro.  Qui vorrei riportare gli incarichi ricoperti:

Vescovo titolare di Amicle (16 marzo 1541 – 12 ottobre 1551), in partibus infidelium. 

Amicle, sul fiume Eurota nei pressi di Sparta, è un’antica sede vescovile del Peloponneso in Grecia, inizialmente suffraganea dell’arcidiocesi di Patrasso nel patriarcato di Costantinopoli.  “Avuta la sorte di essere ammesso nel numero dei familiari del Cardinale Gianpietro Caraffa, per lui favore consagrato Vescovo di Amida nelle parti degli infedeli, dovette supplire fin dall’anno 1549 a Napoli le veci dello stesso Caraffa Arcivescovo di Napoli, legittimamente impedito;  dove seppe mostrare la sua pastorale sollecitudine non solo nel difendere intrepidamente i diritti della Chiesa alla sua cura affidata, ma di più coll’opporsi con petto e vigore sacerdotale alle nascenti eresie, onde il prelodato Cardinale Caraffa nel 1551 gli ottenne da Giulio III il Vescovado  di Motula nella Puglia.

La sede è stata soppressa verso la metà dell’Ottocento. In seguito alla quarta crociata fu eretta una diocesi di rito latino con il nome di dioecesis Amidensis, suffraganea di Patrasso. Con lettera dell’11 marzo 1222 papa Onorio III unì  la sede di Amicle a quella Innocenzo IV in una lettera del 24 luglio 1245. Con la scomparsa della diocesi latina, Amicle è divenuta una sede vescovile titolare  della Chiesa cattolica, soppressa dopo la morte del suo ultimo titolare, Franciscus Hubertus Schraven, avvenuta nel 1937.

Vescovo Ausiliare della diocesi di Chieti.

In rappresentanza del Carafa assunse il governo della diocesi di Chieti come Vescovo Ausiliare e da Papa Paolo III, il 16 marzo 1541, fu nominato vescovo titolare di Amicle e vicario generale della diocesi, incarico che lasciò nel  1549. “Vacando questa Sede (Chieti) per rinunzia fattane da Raimuccio Farnese, gli fu conferita da Paolo III, a 9 di Novembre dell’anno 1549. Non ne prese il possesso se non a 27 di Luglio dell’anno 1551 per mezzo di  Monsignore Scipione Rebiba Siciliano Vescovo Amicleo costituito suo Procuratore e nello stesso tempo suo Vicario Generale. Vescovo di Mottola 12 ottobre 1551 – 13 aprile 1556. Fino al 1560 Amministratore Apostolico.  Solo con la nomina di Scipione Rebiba, personaggio noto e autorevole che con la sua presenza diede lustro alla sede episcopale, nonostante per lunghi periodi non osservò la  residenza per i suoi molteplici impegni e per la sua partecipazione al Concilio.  Dopo il suo trasferimento a Pisa, incominciano a succedergli vescovi poco conosciuti ma estremamente affidabili sul piano pastorale.  “Del Rebiba, vescovo di Motola, del quale si parla nel libro VII, ed ultimo di questa storia, la seguente notizia si ha nell’Ughelli, Italia Sacra, Roma 1662, 1. IX, pag 218. Scipione Card. Rebiba, Archiepiscopus  Pisanus, hujus Ecclesice (di Motola) aliquando administrator fuit, illamque demisit 1560. <Monsignor Scipione Rebiba, vescovo di Motola quale s’intitolava Vicario di Napoli, e Commissario della Santissima Inquisitione> “.

” II Rebiba svolse un ruolo significativo nella capitale nel  momento in cui il viceré don Pedro de Toledo, a partíre dalla fine degli anni Quaranta, negava l’exequatur all’insediamento dell’arcivescovo Carafa a Napoli. Proprio il fondatore dei chierici regolari, asceso al soglio pontificio col nome di Paolo IV, nominò cardinale il Rebiba. Un punto di riferimento anche per i presuli di Terra d’Otranto, come si evince dalle lettere inviate da diversi referenti periferici per il periodo compreso tra il 1566 e il 1577. Tra questi anche il Campagna che, dalla piccola sede dove avrebbe esercitato il ruolo di giudice di fede nelle cause relative alle curie di Ostuni e di Taranto, scriveva al suo predecessore e supplicava di essere allontanato per «far maggior bene alla mia chiesa assistendo in Già titolare della sede di Montepeloso, la traslazione del vicario calabrese a Mottola si può inserire nel clima teso che si era creato  nella capitale, per evitare il temuto «scoppio di sdegno» dei napoletani risentiti per la comminazione della confisca dei beni, per la spettacolare rappresentazione Roma [..] che far qui la residenza ».  com pubblica abiura in cattedrale e per altre evidenti azioni di potere indiziario ostentato soprattutto nel 1563. Con quella richiesta al cardinale di Pisa il vescovo palesava, tuttavia, i timori per eventuali ed improvvise ritorsioni piuttosto che il disinteresse per gli obblighi pastorali: non mancò infatti  di partecipare all’importante evento del Concilio convocato dall’arcivescovo Marco Antonio Colonna nel 1568.

Nel mese di aprile del 1552 consacrò l’antico cimitero di Napoli, il quale nel 1583 fu trasferito nella parte inferiore della chiesa.  come Vicario a Napoli, fece la ricognizione del corpo di Santa Patricia: “Poi nell’anno MDLlVIIII di Settembre volendo l’Abbadessa e le Suore del Monastero far collocare quel sacro corpo nell’altare maggiore della chiesa rinovata, fu  fatta la seconda traslatione di quella da Scipion Rebiba allora Vescovo di Motula, e Vicario in Napoli di Gioan Pietro Carafa Arcivescovo e Cardinal di Napoli; che l’un fu poi Cardinal parimente di S. Chiesa e l’altro sommo Pontefice;  come altrove abbiamo notato. 

Laonde portando quel sacro corpo pieno di soavissimo odore (per tanti secoli à mal grado del tempo conservato) in processione solenne intorno il convicino luoco;  Poscia collocato nell’istesso altare maggiore dentro una cascia di piombo;  e il capo separato conservato fu parimente dentro un’altra cascietta di christallo per ponerlo poi dentro un simolacro dell’istessa santa d’argento;  come già fecero.  Rebiba cercò di attuare le direttive del concilio di Trento.  A Massafra, comune della provincia di Taranto appartenente alla Diocesi di Mottola, fonda la Compagnia del SS.  Sacramento.  Alla sua istituzione contribuì senza alcun dubbio la dottrina sulla presenza reale di Cristo nell’Eucaristia elaborata con robusta consapevolezza – a fronte della forte pressione delle confessioni protestanti – dall’assemblea dei Padri conciliari a Trento nella sessione XIII, 1’11 ottobre 1551. A questo Concilio avevano partecipato i vescovi di Mottola, nel cui territorio era inserita Massafra: il primo à il domenicano Fra Angelo Paschalis, vescovo di Mottola  (1537-1550), il secondo è Scipione Rebiba (1551-1560) dell’Ordine dei Teatini e successivamente elevato alla porpora cardinalizia, il terzo è Cesare Gesualdo (1560-1566) il quale partecipó nel 1561, insieme con Bartolomeo IV Strigo Concilio  di Trento – al Sinodo metropolitano del 1561 indetto per l’attuazione dei Decreti Tridentini. 

Un impulso particolare lo diede Mons.  Rebiba, il quale fu il promotore della istituzione di questa compagnia in molti paesi;  addirittura la fondo anche nel suo paese nativo, San Marco, alla quale fece aggregare tutti i nobili del paese, come anche un ruolo importante lo ebbe a Massafra nella istituzione di questa compagnia e nella costruzione della Cappella del SS.mo Sacramento che porta la date  1553: in quell’anno Rebiba era vescovo di Mottola.  Sotto il suo episcopato fu costruita la cappella dell’Annunziata a Mottola al di sotto della Rotonda, sul lato sinistro della stessa.  E ricordata infatti sin dal 1651, quando si usava celebrare due messe al mese in questa chiesetta e di fare intervenire anche il Capitolo nelle solennità.

 L’anno dopo Mons. Rebiba invitò il P. Salmerone per la predicazione: “Predicò nel 1552 il P. Salmerone nella chiesa della Nontiata (Annunziata), e furono mirabili li frutti che fece nelle anime, vicino alla fede católica gran moltitudine di coloro che da heretici erano stati sedotti, e perseguitando  detti heretici in modo, che si dissiporirono le sinagoghe di Satana, si levorno le loro scuole e congreghe, il – vescovo di Castellaneta e il Segretario sostituto dello stesso pulí librarie e case dai libri heretici; et a ciò aiutò monsignor Rebiba, vescovo di  Motula, alhora vicario del cardinal theatino, arcivescovo di Napoli, “..mando in Napoli per suo vicario ordinario Scipione Rebiba vescovo di Mottola, uomo dotto e pratico nelle funzioni ecclesiastiche: e veramente fu opportuna la sua andata perciò che quella gran città e diocesi  sia per l’eresie che v’erano state seminate, sia anche per altri disordini di costumi, aveva molto bisogno della cura e vicinanza pastorale, e non potendo il Cardinal Teatino assi  stere personalmente, sia perchè la sua presenza era pù necessaria a Roma sia anche per non dar maggior gelosia a gli Imperiali con le azioni sue, non poteva mandarvi miglior vescovo  lugotenente che il detto Rebiba, il quale fece gran cose contro gli eretici nella riforma della Chiesa Falliti i tentativi di impiantare il tribunale dell’  Inquisizione spagnola nel regno di Napoli, impediti da una sollevazione popolare (nel 1547, com’era gia accaduto nel 1510), in quelle regioni l’Inquisizione era competenza de’ vescovi e in particolare dell’arcivescovo di Napoli, che esercitava il proprio potere in accordo  con le autorità politiche, Tuttavia, la Congregazione cardinalizia de Sant “Uffizio – allora presieduta dal domenicano Michele Ghislieri, cardinale alessandrino e futuro papa Pio V-mirava ad esercitarvi un proprio ruolo.

Cosi, con un decreto del 20 maggio 1553, essa affidò a Scipione  Rebiba, vescovo di Motola, vicario arcivescovile di Napoli, l’incarico “segreto” di procedere contro gli eretici e andare alla ricerca di sospetti di eresie in tutto il viceregno di Napoli.  Nella lotta contro l’eterodossia, la Congregazione romana continua anche a servírsi dei predicatori domenicani, come già era avvenuto nei secoli precedenti.  Dopo qualche anno di stallo, alla fine del 1557 il tribunale arcivescovile di Napoli riavviò le indagini sulle comunità valdesi della Calabría.  Questa complessa articolazione dei poteri, anche la concorrenza tra loro, è una delle chiavi di lettura per comprendere l’andamento non lineare delle strategie con cui la Chiesa di Roma si trova ad affrontare la vicenda dei valdesi del Mezzogiorno. 

Vicario Generale di Napoli.

 Gian Pietro Card.  Carafa (22 febbraio 1549 – 23 maggio 1555) eletto vescovo di Napoli si scelse come Vicario Generale Scipione Rebiba;  dopo l’elezione al papato fu Vic.  Gen. Giulio Pavesi;  al 1550 risale il primo libro parrocchiale, quello dei Battesimi di S. Giovanni Maggiore.  Anche se nella città non si impiantò l’Inquisizione né Romana nè Spagnola, il Vicario Scipione Rebiba fu il primo commissario della Inquisizione dal 30 maggio 1553, Nel 1551 mons, Scipione Rebiba, Vicario generale di Napoli, affida a S. Andrea di Avellino la  riforma del tristemente noto monastero femminile benedettino di Sant’Arcangelo di Bajano: egli intraprese tale missione e zelo e fermezza, imponendovi severa clausura e tenendovi il quaresimale e le omelie negli anni 1553 e 1554. Essendo, però, mal sopportata la sua opera riformatrice da chi aveva loschi interessi nel monastero  , fu ripetutamente aggredito e, nel 1556, gravemente ferito da un sicario.  Guarito quasi míracolosamente, chiede e ottenne, di vestire l’abito tra i Teatini di San romana Paolo Maggiore di Napoli.

La conclusione del concilio di Trento aveva determinato anche a Napoli l’inasprimento delle misure ecclesiastiche in difesa dell’integrità della fede, provocando un sempre più diffuso malcontento in tutti gli strati della popolazione.  La cosiddetta Inquisizione romana secondo la prassi fece processi in materia di eresia sono stati richiesti all’esame gli organismi ecclesiastici locali, o addirittura trasferiti a Roma. La Santa Inquisizione fu  introdotta in Napoli in maniera del tutto  clandestina, per evitare le reazioni della popolazione già clamorosamente oppostasi nel passato ai tentativi di esautorare le autorità diocesane.  L’opposizione dei Napoletani non era generalmente determinata da ragioni di prestigio, né, tanto meno, da motivi religiosi, ché unanime era, almeno ufficialmente, la condanna dell’eresia: si temevano invece le accuse anonime e spesso incontrollabili che l’Inquisizione romana  favoriva, i processi clandestini e le loro conseguenze giudiziarie, tra le quali oppugnatissima quella della confisca dei beni degli eretici, che finiva per colpire essenzialmente gli eredi, anche quando fossero innocenti delle accuse mosse dall’Inquisizione ai loro congiunti.  Si temeva anche che l’evidente accordo tra il viceré duca d’Alcalá e le autorità ecclesiastiche napoletane preludesse all’introduzione nel Regno di delegati della Congregazione romana del Santo Uffizio, che affiancavano più temuta Inquisizione spagnola, tanto stato operato  nel 1563  il governo spagnolo vi fece un analogo tentativo (togliere l’inquisizione) soltanto in seguito alla fermissima reazione della popolazione.  E contro simile prospettiva, sebbene essa non avesse alcuna base reale, fini per convergere tutto il risentimento dei Napoletani, giunto ad un punto tale da permettere persino l’unione nella protesta degli aristocratici e di quelli popolari, il cui contrasto permanente era in definitiva la  migliore garanzia del dominio spagnolo.  L’ira generale esplose dapprima contro il vescovo di Mottola Scipione Rebiba, vicario generale dell’arcivescovo di Napoli Alfonso Carafa e delegato dell’Inquisizione romana, il quale fu costretto a lasciare la città;  poi contro il suo primo subdelegato, Giulio Santoro;  infine contro lo stesso arcivescovo, che dovette cercare rifugio a Castelnuovo.  Ma non risparmiò nemmeno gli Spagnoli, costretti a sgombrare, per la minaccia di rappresaglie popolari, i loro abituali quartieri. 

Cardinale presbitero di Santa Pudenziana 24 gennaio 1556 – 7 febbraio 1565 Il 23 maggio 1555

Il  cardinale Carafa fu eletto papa con il nome di Paolo IV e il 5 luglio 1555 richiamò il vescovo Rebiba da Napoli, nominandolo Governatore di Roma.  Il papa lo elevò alla dignità cardinalizia nel concistoro del 20 dicembre 1555 con titolo  di Santa Pudenziana.  Il titolo cardinalizio di Santa Pudenziana, fu eretto intorno al 112 da papa Alessandro I in sostituzione di quello di San Pudente che insisteva sul luogo dove aveva dimorato intorno al 42 San Pietro.  Nel 160 papa Pio I annesse alla chiesa un oratorio e lo assegnò al suo amico Pastore, di qui un altro nome, San Pastore, con il quale è noto il titolo.  Nel IV secolo la chiesa fu ricostruita da papa Siricio.  Il titolo Pudentiana apparve per la prima volta in un’iscrizione del 384 e, in seguito, riapparve al sinodo romano del 595 sotto il nome di Pudentis.  Nelle biografie di papa Adriano I e di papa Leone III, contenuto nel Liber pontificalis, il titolo viene riportato come Prudentiis et Pudentianae.  Secondo il catalogo di Pietro Mallio, stilato sotto il pontificato di papa Alessandro II, questo titolo, riportato come Sanctae Potentianae, era legato alla basilica di Santa Maria Maggiore ed i suoi sacerdoti vi celebravano messa a turno.  Una lista risalente al 1492 lo chiama nello stesso modo ma, a partire dal XVI secolo, il titolo è sempre stato conosciuto con il nome di Santa Pudenziana, “Il 15 marzo 1559, donna Lucia Rebibba, asserendo di aver acquistato da Cristofivro Cenci, chierico  della Camera Apostolica, per gli atti di Ludovico Reydetto (25 maggio 1557), al prezzo di 2.000 ducati d’oro, un censo di 200 ducati d’oro, un censo di 200 ducati d’oro Falcognana, lo donò al figlio, card  . Scipione Rebiba (atti A. Massa; ACap., Arch. Urb., T, 464, ff. 755 e 781). Nel 1581, il casale Falcognana apparteneva a Francesco Cenci. Ai Cenci apparteneva anche una pedica limitrofa detta della Torretta, che il 15 novembre 1581 fu locata da Francesco, a nome di Ludovico Cenci comproprietario, a Pietro fu Domenico pecoraro, detto Peloso della Camerata, per 154 scudi (ACap., Arch. urb., sez.  . 679, ff. 432v-433).  95 6. Arcivescovo metropolita di Pisa 13 aprile 1556 – 19 giugno 1560 Il 13 aprile 1556 fu nominato anche arcivescovo di arcidiocesi di Pisa legato pontificio presso l’imperatore Carlo V il re di Spagna Filinno ebbe come Vicario Antonio da Catignano.  “Riduci da quella legazione cadde gravenmente ammalato e si ol disperavasi della sua vita ma egli fattasi reeare dell’acqua in cui ov ha fatto immergere la preziosa spina del Redentore e bevutasela con viva fede sull’istante medesimo trovossi intieramente guarito.  dopo recossi a pie scalzi dal suo palazzo sino alla chiesa di santa Mon della Spina, ove appunto quel sacro tesoro conservasi accompagnato do tutta la città che ne lagrimava per la consolaziome. * Scipione Rebiba opera una visita pastorale condotta tra il 1557 e il 1558  verbali contengono le risposte al questionario formulato per le parrocchie in ventidue quesiti.  dei registri di battesimo (liber puerorum), i pievani rispondono, in meno della metà dei casi (dodici su ventisette 31), che i libri per la registrazione  degli atti di battesimo e degli altri sacramenti.  Primate di Sardegna e Corsica 13 aprile 1556 – 19 giugno 1560 Scipione Rebiba fu Primate di Sardegna e Corsica in quanto Arcivescovo di Pisa da cui dipendevano queste regioni.  Già dal V secolo il vescovo di Cagliari è definito metropolita;  a questo periodo si deve far risalire anche il titolo di Primate di Sardegna.  Il titolo di Primate fu tolto al vescovo di Cagliari dal papa Urbano II con una bolla del 1092, per essere nuovamente attribuito nel 1138, per le isole di Sardegna e Corsica, all’arcivescovo di Pisa.  La repubblica toscana aveva, infatti, esteso i suoi interessi commerciali e politici in gran parte della Sardegna.  Nel Trecento il titolo passò all’arcivescovo di Castel di Cagliari, ed a lui rimase fino a quando la pretesa di trasformarlo, nel 1574, da onorifico a giuridico (Primate di Sardegna e Corsica), con conseguenze a.  catura economico-amministrativa, non scatenò una lunga e paradossale ntroversia fra la Chiesa di Cagliari e la Chiesa di Sassari che durò quasi un secolo, senza giungere ad una soluzione.  La quantità e la rinomanza delle reliquie rinvenute avrebbe, infatti, legittimato la supremazia della diocesi cagliaritana su quella turritana autorizzando il suo vescovo ad essere riconosciuto con il titolo di Primate.  L’ultimo arcivescovo che, seguendo una lunga tradizione avviata dai suoi predecessori, si fregiò del titolo di Primate di Sardegna e Corsica, priore di San Saturnino assieme a quelli feudali (barone di San Pantaleo e di Suelli), fu mons.  Paolo Botto (1949-1969).  Arciprete di Troia “Le rimanenti memorie che abbiamo degli arcipreti e della chiesa ortonese son le seguenti: Francesco de Thinis vi si trovava nel 1518, al quale successe Giovanni Bonfilio. Questi nel 1537 si oppose in giudizio al vescovo di Lanciano il quale pretendeva che siccome  nel temporale appartenevano a quella città i castelli di Ocrechio e di Canosa, così nello spirituale parimente fossero compresi nella sua diocesi. Essendo poi, nel 1541, successo a quest’arcipretura Scipione Rebiba, siciliano, vescovo titolare di Amicla, si rieccitò la lite e  si prosegue in vari termini Nel 1546 il vicario del vescovo lancianese scomunicò l’arciprete di Canosa ed implorò il braccio secolare. Ma Rebiba, che si diceva suffraganeo di Chieti, ottenne nel 1549 mandato a suo favore, Toccò poi al vescovo di Lanciano di agire  che fece rimettere la controversia a nuova revisione, ma procedette assai lento, finchè nel 1555, per timore di Paolo IV stato arcivescovo di Chieti, e dell’arciprete Rebiba,  che divenne arcivescovo di Pisa e cardinale, si acchetò e si arrese.  Poco dopo di quest’epoca cessò la dignità arcipretale in questa chiesa colla restaurazione del vescovado di cui avremo a 8. ragionare.  6 Arcivescovo-vescovo di Troia 19 giugno -4 settembre 1560

Il card. Scipione Rebiba, fu pure, anche se per pochi mesi imprigionato.

Per Scipione Rebiba cominciò un periodo di decadenza; dall’arcivescovado di Pisa fu traslato all’episcopato di Troia rimanendo comungue amministratore perpetuo della diocesi. La brevita del suo passaggio, pero non impedi al cardinale Rebiba di dimostrare affetto e stima alla sua gente. In un prezioso inventario del 1714, infatti, conservate nell’archivio Capitolare di Troia, presente in fotocopia nel Fondo Cavalieri dell’archivio Storico Diocesano-Sezione di Troia, tra i paramenti del tesoro nisultano essere presenti anche una “pianeta damasco cremisi con fascia mezzo cannavaccio in oro intessuto fodra di sangallo rosso, con suoi fini coll’arme del Cardinal Scipione Reb”; “dalmatiche, e tonacelle damasco cremisi con fodra tela rossa, con gallone d’oro, e cremisi con francia piccola coll’arme del Card. Scip.ne Rebibba con sui fini.i con stole, ed due manipoli”; “piviale damasco cremisi, con fascia in oro, ed arme del Cardinal Scipione”; “due palliotti in due faccie una damasco violaceo, con francione di seta violacea, croce in mezzo intagliata, e ricamata coll’arme del Cardinal Scipione Rebibba”. Il suo stemma episcopale, inoltre, è riportato in una delle formelle della magnifica porta bronzea centrale della basilica cattedrale e sul piede di un calice argenteo conservato nel tesoro del duomo. lesse in questo atto senz’altro una diminutio, ma presto rinunciò alla diocesi apar Sul prospetto principale della chiesa madre di San marco d’alunzio v’è una iscrizione, collocata nel 1650 per interessamento dell’agostiniano Tommaso Calderari, che ricorda i natali del card. Rebiba e ricorda il suo episcopato troiano: “Episcopus in Apulia Troianus creatur”.  Periodo nero per Rebiba

Morto Paolo IV, il 25 dicembre 1559, fu eletto papa il cardinale Medici con il nome di Papa Pio IV, fino al 9 dicembre 1565: per il cardinale Rebiba iniziò un periodo turbolento e triste, che durò per tutto il pontificato di Pio IV. Fu coinvolto nelle tristi vicende della Carafa (famiglia), venne ingiustamente accusato e imprigionato a CastelSantAngelo per circa un anno; trovato innocente, fu rilasciato. Fortemente provato e deluso, abbandonò ogni incarico e beneficio, e si ritirò a vita privata fino a quando, morto Pio IV il 9 dicembre 1565, fu eletto papa il suo fraterno amico Michele Tagliaferri con il nome di Pio V. Il nuovo papa lo reintegrò in ogni incarico e,come dicevamo, gli attribul i titoli cardinalizi di Sant’Anastasia (nel gennaio 1567 é il titolo utilizzato nell’ordinamento della Chiesa cattolica per alcune eminenti figure del clero. Il camerlengo per antonomasia e cardinale Camerlengo di Santa Romana Chiesa, che ha il principale compito  di presiedere la sede vacante. Il termine deriva dal latino cedievale camarlingus, a sua volta derivato dal germanico kamerling, che denifica “addetto alla camera del sovrano”. La figura del camerlengo sorse nel XII secolo: veniva detto camerarius ed era responsabile dell’amministrazone  delle finane della Curia e dei beni temporali della Santa Sede, la cosiddetta camera thesauraria., Il camerlengo è sempre stato n alto prelato e, dal XV secolo, racconto incarico è sempre stato ricoperto da un cardinale, II Card. Rebibsa la mattina del 14  febbraio 1566, a nome di Pio V invitò Giacomo Del Duca a preparare un disegno per la tomba di Paolo IV; il Del Duca preparo il bozzetto, ma non si venne all’accordo o non piacque il progetto e la tomba fu realizzata dal Ligorio.  Infatti il ​​14 febbraio 1566 cosi scrive Del Duca a Leonardo: “questa matina me nata occasione di far questa lettera  narrandovi qualmente m’è stato commesso dal reverendissimo monsignor di Pisa (card. Scipione Rebiba) mio padrone e paesano, da parte  di Sua Santità, ch’io dovessi far un disegno d’una sepoltura, perché vuole chio facci di marmo e di metalli dieta Sepultura de la bona memoria di Paolo quarto.  detto disegno chi vi debbia andare un Papa a sedere simile. ”  l Rebiba chiamo Del Duca che era sotto la protezione sua in quanto lo scultore, figlio di Giovan Pietro e fratello del fonditore Lodovico, nacque a Cefalù (Palermo) all’inizio del terzo decennio del XVI secolo e poi si recò a Roma lavorando alla scuola  di Michelangelo e di Leonardo.  Si ha notizia đi lavori pagati nell’aprile del 1568, fatti con funzione di “magistro” insieme con altri soci “lapicidi”, nella “fabbricazione” della cappella del quartiere degli “Svizzeri di Sant’Anastasia”

Il pontificato del grande papa Pio V lo stremo Rebbibba dovette cercare tutti i riti che furono inseriti nella messa  in 1500 anni,poi il papa avrebbe deciso che togliere e che aggiungere.

Poi gli fu dato il titolo di cardinale presbitero che occupo in diverse zone: Sant’Anastasia, Sant’Angelo in pescheria e Santa Maria in Trastevere per volere di Pio V.

Divenne anche governatore di Roma.

Durante il suo governatorato fece alcuni bandi importanti:

1- Bando del governatore di Roma mons.  Scipione Rebiba, col quale si ordina agli zingari di abbandonare il territorio romano nel termine di un giorno.  – Manoscritto.  Arco.  Stato, Bandi, Governo di Roma, a.  1529-1733, p.  4, doc.  21. 1555, luglio 17. – Roma. 

2 – Bando generale del governatore di Roma mons.  Scipione Rebiba, col quale si provvede a regolare l’ordine pubblico.  – «Manoscritto.  – Arch.  Stato, Bandi, Governo di Roma, 3- 15294733, P- 41555, 22 luglio. – Roma. 

3 – Nel ’55 nella veste di governatore aveva condotto il processo contro Giovanfrancesco Lottini.  Nel ’61, mentre Lottini veniva nominato vescovo amato endere da Pio IV, il Rebiba veniva incarcerato.  nel 1555 il 17 luglio fa un bando con il quale vieta il gioco di Pallamaglio.

Dal 8 aprile 1573 al 23 luglio 1577 divenne grande inquisitore dell’Inquisizione,avviando una campagna contro la stregoneria diabolica senza precedenti creando uno stile proprio dell’Inquisizione.

Numerose le abbazie sotto il suo patrocinio come San Filippo il grande (basiliani) e Altofonte (cistercensi).

Dono di Pio V quello di aver tenuto i titoli Presbiterali di S. Anastasia e di S. Maria in Trastevere e rette le Chiese Cardinalizie di Albano e di Sabina, consunto più dagli studi e dalle fatiche che dalla vecchiaja, sebben numerava 73 anni, arrivò all’eterno riposo li 24 Luglio 1577 e le sue ceneri sono in S. Silvestro al Quirinale come nell’Iscrizione si legge.  Fu il Rebiba uno dei maggiori del secolo e per tale riverito e stimato da tutta la Repubblica. Della sua morte ci parla il Santoro: “Intanto il 1577, il signor cardinale di Pisa cantò la messa il giorno dell’Epifania, che venne di domenica. Morse il cardinale di Pisa a 23 di luglio, mio ​​caro ed antico signore e amico;  essendo a 31 di mercordì, in concistoro stato detto e ripetuto più volte dal e gran cardinale.  Non mancai dal solito mio d’esser sempre assiduo in  sua malattia.  Scrissi e stesi di mia mano il testamento ch’egli fece.  Mi pigliai in casa un suo nipote, con tener in maestro e servitore com protegger gl’altri e la famiglia tutta, havendo pigliato alli miei servitii don Cosmo d’Adamo, già suo cappellano.  Fu sepolto nella chiesa di San Silvestro al Quirinale, ove è ben visibile la tomba e l’epitaffio composto dal nipote vescovo Prospero Rebiba. 

D.O.M.  SCIPIONI REBIBAE SICVLO EPISCOPO SABINEN.  S.R.E.  CARDINALI PISARVM “INTEGRITATE DOCTRINA secolo, cardinale papa ch’era morto un ottimo” 320 RELIGIONES PRAESTANTI HAERETICAE PRAVITATIS INQUISITORI SVMMO FIDEI ORTHODOXAE ACERRIMO PROPVGNATORI “PROSPER.  IVLII – MDLXXVII

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