di Luca Fumagalli

Prima di iniziare, per chi fosse interessato ad approfondire la vita e le opere di Evelyn Waugh e di molti altri scrittori del cattolicesimo britannico, si segnala il saggio “Dio strabenedica gli inglesi. Note per una storia della letteratura cattolica britannica tra XIX e XX secolo”. Link all’acquisto.

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Invitato a Hollywood nel 1947 per discutere con i vertici della MGM l’ipotesi di un film tratto da Ritorno a Brideshead – mai realizzato –, Evelyn Waugh ebbe occasione, tra le altre cose, di visitare il Forest Lawn Memorial Park di Glendale, un cimitero a dir poco bizzarro che era già stato preso di mira da Aldous Huxley nel romanzo Dopo molte estati (1939). Waugh, come commenta Michael G. Brennan, rimase talmente colpito da Forest Lawn per quel suo «sentimentalismo pacchiano, il paesaggio zuccheroso e la totale negazione della realtà della morte», che, una volta tornato a casa, decise di dedicargli un paio di articoli e un breve romanzo satirico, graffiante al punto giusto, intitolato Il caro estino (The Loved One). Il libro, dedicato all’amica scrittrice Nancy Mitford, venne pubblicato dapprima sul mensile «Horizon», nel 1948, e solo successivamente in volume (ecco perché il primo capitolo è zeppo di inside jokes per i lettori della rivista).

Protagonista della storia – e anti-eroe par excellence – è il poeta inglese Dennis Barlow. Dopo aver goduto del proverbiale quarto d’ora di celebrità grazie alla buona accoglienza che la critica ha riservato alla sua prima e unica raccolta di versi – scritta durante le noiose giornate in aeronautica, durante la guerra – è sbarcato a Hollywood per fare fortuna come sceneggiatore. Purtroppo, però, le cose non sono andate come lui sperava e ora si ritrova a lavorare presso un cimitero per animali, il “Campo della Beata Caccia”. In verità il nuovo impiego non è poi male e, a quanto pare, anche il principale è molto soddisfatto del suo operato: «Riesco simpatico. Me l’ha detto proprio ieri. L’impiegato che c’era prima di me aveva offeso qualche cliente col suo buon umore. In me trovano la compunzione necessaria. Dipenderà forse dal mio aspetto malinconico, unito all’accento inglese».

L’edizione Bompiani del 2010

Dennis vive con il suo mentore, Sir Francis Hinsley, un scrittore di mediocre talento. L’uomo, orgoglio della comunità britannica locale capeggiata da Ambrose Abercrombie, ha trascorso gli ultimi anni nell’industria cinematografica, a stretto contatto con le follie dello star system. Col suo talento immaginativo, in collaborazione con l’Ufficio Personalità degli studios, ha contribuito a far decollare le carriere di tanti attori e attrici, inventando per loro nomi d’arte e biografie affascinanti (l’ultima con cui ha avuto a che fare è una certa Miss del Pablo, di recente costretta a «ricominciare da capo come popolana irlandese»). Tuttavia, sempre più stanco e disilluso, decide infine di suicidarsi impiccandosi con le proprie bretelle.  

Quando scopre il cadavere dell’amico, a Dennis non resta che recarsi al vicino cimitero per prendere accordi sul funerale. Si imbatte così nei “Boschetti mormoranti”, un luogo decisamente particolare, nato dalla visione di un certo Dottor Kenwhorty, detto “il Sognatore”. Si tratta di un parco enorme, pieno di monumenti ed edifici posticci, una necropoli simile a Disneyland con tanto di sistema di altoparlanti che diffondono una melodia indù, dove hanno posto le tombe dei defunti di qualsiasi denominazione religiosa – «Il Sognatore non approva né corone né croci» – purché di razza caucasica. Tutto è organizzato affinché il “Caro Estinto” appaia al meglio, e attorno al cadavere si danno da fare professionisti di rara abilità come il Signor Joyboy, l’imbalsamatore capo. I riti funebri, poi, sono un vero e proprio show: «A Hollywood la liturgia concerne più il mondo cinematografico che il Clero» (già il primo biografo di Waugh, Christopher Skyes, aveva notato come molti dettagli dei “Boschetti mormoranti” fossero stati ripresi pari pari da Forest Lawn).

Durante la sua visita al cimitero Dennis conosce Aimée Thanatogenos, truccatrice di salme, e si innamora di lei: «La ragazza che era appena entrata era unica; in una maniera definibile. E la definizione appropriata balzò in mente a Dennis non appena la vide: unica Eva nell’Eden igienico ed indaffarato, questa fanciulla era una decadente». I due iniziano quindi a frequentarsi e Dennis, che non ha il coraggio di confessare ad Aimée ciò che fa per vivere, la lusinga inviandole poesie di Keats e di altri grandi autori inglesi che spaccia per sue. Quando Aimée si rende conto che Dannis mira a sposarla solamente per farsi mantenere, cerca consolazione scrivendo lettere al Bramino Gurù, sedicente guida spirituale e curatore di una rubrica di consigli nel giornale locale (in realtà si tratta di tale Slump, un tabagista alcolizzato senza arte né parte). Per ripicca la fanciulla decide allora di accettare l’invito a cena a casa di Joyboy che da tempo la sta corteggiando. Con sua somma delusione scopre però che l’imbalsamatore capo vive ancora a casa con la “mammina”, un’anziana scorbutica e pure un po’ ammattita: «Spesso le madri dei grandi uomini sconcertano gli ammiratori dei propri figli». Non le resta che tornare da Dennis, il quale, nel frattempo, si è messo in testa di seguire un corso per corrispondenza con l’intento di diventare pastore liberale e di guadagnare qualche soldo in più (anche se «la concorrenza si fa ogni giorno più dura, specialmente a Los Angeles. Alcuni liberali recenti non si sono fatti scrupolo a servirsi persino della psichiatria e del tavolino spiritistico»).

Evelyn Waugh

A questo punto Joyboy, roso dalla gelosia, svela ad Aimée che Dennis lavora al “Campo della Beata Caccia” e, soprattutto, le dimostra che le poesie che lui le invia non sono sue. L’imbalsamatore capo ottiene quanto sperato: Aimée tronca con Dennis per fidanzarsi con lui, promettendo addirittura di sposarlo. Tuttavia la ragazza è confusa, sempre più triste. Ancora una volta si risolve a scrivere al Bramino Gurù che le consiglia di suicidarsi (Slump quel giorno è stato licenziato e non è in vena di gentilezze). Il giorno seguente Aimée si uccide ai “Boschetti Mormoranti” iniettandosi in vena una dose letale di cianuro.

Resosi conto di quanto accaduto, Joyboy vuole evitare lo scandalo a tutti i costi e offre a Dennis del denaro per bruciare il corpo dell’amata. Il giovane poeta accetta, e dopo aver ottenuto altri soldi da Abercrombie – che non vede l’ora di liberarsi di un tipo scomodo come lui –, può finalmente tornarsene in patria soddisfatto e con un bel gruzzolo in tasca.

Lo stile de Il caro estinto ricorda da vicino quello del più funambolico Ronald Firbank, farcito di nomi ironici, giochi di parole e vorticosi nonsense, perfetto per offrire un’impalcatura di grottesca melassa a quell’ «incubo notturno, in qualche tratto, forse, leggermente orrido» che è il romanzo (la definizione è dello stesso Waugh).

La locandina del film tratto dal romanzo

In una realtà di brutture diffuse e di follia si muovono pigramente personaggi da barzelletta, corpi privi di cervello che tirano a campare tra i piccoli incidenti della quotidianità. Nessuno di essi, però, risulta detestabile quanto il protagonista, un concentrato di egoismo, insensibilità e cinismo. Non ci riesce Joyboy, al fondo un idiota bonaccione, né tantomeno la sfortunata Aimée, forse il personaggio più sfuggente dell’intera storia. La personalità della ragazza è un concentrato talmente elevato di incoerenze che Guido Almansi, nell’introduzione all’edizione italiana del romanzo targata Bompiani, la definisce «il problema non risolto del libro». Al contrario altri critici, su tutti Christopher Hollis, hanno provato a trovare una ragione più profonda per i suoi comportamenti contraddittori: «La signorina Thanatogenesos, secondo natura un ragazza semplice, quasi sciocca, avrebbe potuto giocare un ruolo umile e ragionevole in una società sana, circondata e sostenuta della sane tradizioni. […] Ma a lei manca totalmente la forza di rimanere sana in un mondo malato, e davanti a tutto questo la sua personalità si disintegra. La sua morte è inevitabile perché ha dimenticato come si vive».

Più in generale, al di là della presa in giro della cultura hollywoodiana delle apparenze e di quell’impasse anglo-americana che ha nella comunità degli espatriati britannici la sua più riuscita manifestazione – a tal proposito non va dimenticato che il sottotitolo originale del romanzo è “An Anglo-American Tragedy” –, con Il caro estinto il principale obiettivo dell’autore rimane quello di svelare il vuoto spirituale che caratterizza la modernità, un obiettivo perseguito attraverso la dura critica nei confronti del business dei funerali.

Difatti, al netto di un malcelato pregiudizio snobistico, Waugh scriveva a Cyril Connolly che «non esiste una cosa come l’americano. Sono tutti esiliati senza radici, trapiantati e destinati alla sterilità. Gli dei antichi che hanno abiurato alla fine sono tornati a prenderli». Ancora, anni dopo, quando Jessica Mitford era immersa nelle ricerche per il suo The American Way of Death, a Nancy Mitford lo scrittore spedì una missiva sulla medesima lunghezza d’onda: «Avvisa Decca prima che prenda in giro i costumi americani che tutte le caratteristiche dei loro funerali che ai nostri occhi appaiono raccapriccianti possono essere rintracciate nei riti papali, reali e nobiliari degli ultimi cinque secoli. Ciò che è unico e deplorevole molto probabilmente non infastidirà una come lei; sto parlando del vuoto teologico, la convinzione che lo scopo di un funerale sia quello di consolare la persona in lutto e non pregare per l’anima del defunto».

L’edizione Penguin Modern Classics

L’infantilismo e la volgarità di simili costumi funerari trovano una corrispondenza pure nelle pratiche del cimitero degli animali, dove svanisce ogni distinzione tra bestie ed esseri umani, finendo così per negare totalmente quel senso di memento mori, condito di teschi, scheletri e vermi, che aveva reso grande, ad esempio, l’arte rinascimentale (lo ribadisce Waugh nel suo articolo dedicato a Forest Lawn per la rivista «Life»). Del resto quello de Il caro estinto è un universo spiritualmente abbruttito, abitato da dubbi santoni e predicatori da strapazzo. Iconiche, in questo senso, sono alcune righe che Aimée indirizza al Bramino Gurù: «Io sono progressista e perciò non ho religione; ma ritengo la religione una cosa da non prendere in burla, perché rende felice tanta gente, e non tutti possono essere progressisti, a questo stadio dell’Evoluzione».

Se l’intento di Waugh, nelle parole di George Mikes, era quello di rimarcare «il contrasto tra il trattamento dei morti da parte di una società commerciale, priva di anima, e quello della Chiesa cattolica», è piuttosto evidente come il bersaglio non sia stato centrato. Ma, del resto, Il caro estinto – portato al cinema nel 1965 dal regista Tony Richardson – non ha mi voluto essere nelle intenzioni dell’autore un romanzo cattolico o un testo spirituale in senso lato. A Waugh interessava unicamente scagliarsi contro l’irreligione moderna, mostrando quanto di comico e di tragico vi è in essa. Forse sperava che il lettore, messo faccia a faccia con la malattia del suo tempo, sarebbe subito corso fuori casa alla ricerca di un medico.

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