Nell’anniversario della sua morte per eutanasia passiva, e nel mentre il nostro Parlamento si appresta a discutere della proposta referendaria che vorrebbe legalizzare il suicidio assistito, riproponiamo questo articolo di Lorenzo Roselli su Eluana Englaro pubblicato nel 2013 sul blog Campari & De Maistre.

di Lorenzo Roselli

Quattro anni fa moriva Eluana Englaro. 
Per chi avesse la memoria corta, Eluana Englaro è stata una donna che,  in seguito ad un incidente stradale avvenuto nel gennaio del ‘92, ha vissuto in stato vegetativo per quasi 20 anni e, suo malgrado, ha generato uno dei dibattiti più mediaticamente rilevanti in merito alla questione bioetica. 
Il padre, Beppino Englaro, cominciò fin da subito a richiedere l’interruzione dell’alimentazione artificiale alla figlia (una morte che in Italia è illegale imporre a qualsiasi mammifero), sulla base di dichiarazioni che Eluana avrebbe fatto commentando il caso di Leonardo David nei primi anni ’80.
Per farla breve, dopo anni di processi, appelli alla laicità dello Stato e biasimi di Sua Santità Parlamento Europeo, l’amor civile trionfò e la “salma con funzioni biologiche attive” di quella che una volta era stata Eluana Englaro, morì di stenti lontano da occhi indiscreti che potessero in qualche modo testimoniarne la passio.
Molti ritengono la morte di Eluana Englaro una sconfitta del proprio sistema di valori; altri, invece, hanno l’ardire di considerarla una vittoria (significativo come il primo gesto successivo alla morte di Eluana sia stato un applauso, nella platea situata sotto l’Hospice di Udine dove la donna era ricoverata), ma a conti fatti in ben pochi sono riusciti a far trascendere il discorso dal campo delle opinioni. Partendo dalla doverosa premessa che chi scrive non lo fa da un punto di vista neutrale (anche perché scrivo su Campari & De Maistre, non su Campari & Voltaire),  vorrei cercare di affrontare la questione in maniera diversa; non oggettiva (al di là di quel che ne dicano molti, si può essere cattolici oltranzisti e non pretendere di avere la verità in tasca) ma, se non altro, maggiormente sistematica ed argomentativa.
Innanzitutto: perché definire il caso Englaro un “paradosso ontologico”?
L’Ontologia (dal greco òntos, genitivo singolare del participio presente del verbo essere, e lògos discorso) è la disciplina filosofica che studia le “cose che sono” o, più propriamente, l’Essere. 
Se si escludono tutte quelle branche del sapere filosofico che si applicano al piano cognitivo e, pertanto, cercano di andare di pari passo con gli studi psicologici, è una delle ultime scienze filosofiche prese ancora in (modesta) considerazione dalla ricerca odierna. In breve, se posto di fronte ad una cosa, un concetto o un’idea, l’ontologo cercherà di individuarne il valore costitutivo e identificativo, avvalendosi del ragionamento per via induttiva.
Ora, nel caso di Eluana e Beppino Englaro, non solo si dovrebbe riconoscere l’esistenza di una logica ontologicamente paradossale, ma anche suddivisa in tre piani diversi fra di loro. 
Il primo riguarda la concezione di diritto: vi è infatti un padre che chiede di rispettare le volontà della figlia, la quale però (almeno stando a quanto stabilito dalla Corte d’Appello di Milano) è factualmente defunta il 18 gennaio 1992. 
Mi spiego meglio: se ho una figlia, è chiaro che nel caso in cui si trovi in una situazione di incoscienza debba essere io a sobbarcarmi di ogni responsabilità nei suoi confronti, e anche farmi garante del suo futuro e delle sue intenzioni.
Nel caso di Eluana, però, abbiamo un padre che afferma più volte di aver in realtà perso la figlia quella terribile mattina del 18 gennaio 1992.
Abbiamo, in altre parole, un padre che non solo ritiene sua figlia già morta (e, da che mondo e mondo, un morto non può essere defraudato da qualsivoglia diritto all’infuori dell’oltraggio di cadavere), ma che disconosce come figlia la donna in stato vegetativo presso la casa di cura Beato Luigi Talamoni di Lecco.
Potrà anche sembrare un cavillo retorico, ma basandoci sulla sentenza data dai giudici d’Appello milanesi, Beppino Englaro è padre di una donna morta, che però avanza pretese su di un essere biologicamente vivo (ma senza essere più umano) su cui, per sua stessa dichiarazione e per conseguenza logica della sentenza, non ha più alcun obbligo parentale e che, soprattutto, non ha più nulla a che spartire con l’Eluana quattordicenne che avrebbe dichiarato di «non voler vivere così».
Il secondo aspetto del paradosso è praticamente consequenziale al primo: Eluana è morta e un morto, a meno di non chiamare in ballo inopportuni immaginari escatologici, non soffre.
Quindi, sebbene il corpo di Eluana Englaro giacesse inerte sul letto di un ospedale, Eluana Englaro non avrebbe potuto in alcun modo soffrire dell’ignominiosa vita che solo i suoi organi conducevano. 
In sostanza, nell’ottica di Beppino Englaro e della Corte d’Appello, dovrebbe valere ciò che aveva stabilito a suo tempo il buon vecchio Parmenide: l’Essere, l’Identità è determinata dal sentire, se questo manca vuol dire che l’identità a cui ci riferiamo non sussiste più. 
L’ultimo aspetto riguarda lo Stato, che avrebbe decretato la scomparsa di Eluana Englaro fondandosi su prospettive di natura squisitamente metafisica.
Infatti, per quanto la cognizione e l’attività celebrale siano dati scientificamente assodati, l’associare questi alla Persona, a quel soffio vitale che tanto ricorda l’anima pensata da molte religioni, è un’astrazione mentale che uno stato liberale basato soltanto sull’osservazione del contingente non dovrebbe avallare.
La nostra Costituzione come quella europea parlerà sì di Dignità e Diritto, ma non definisce i parametri che definiscono dove la “persona” inizi e dove termini.
Una Scienza totalmente “defilosofizzata”, come pare essere quella dei nostri giorni, non è assolutamente in grado di affermare che un corpo vivo e vegeto biologicamente debba essere scisso dal concetto di Persona, come del resto non è capace di definire quest’ultima.
Un’ontologia che tenga conto dei soli dati sperimentali, pertanto, dovrà riconoscere che mancano i presupposti empirici per affermare che anche una persona in tali condizioni non sia ancora un essere umano semplicemente slegato dal mondo esterno.
Il privare il corpo di Eluana Englaro dell’alimentazione artificiale è quindi, agli occhi dello Stato, un omicidio a tutti gli effetti. 
Concludendo, potremmo riassumere la vicenda come quella di un padre che, disconoscendo la figlia, ne invoca la morte nel nome del diritto di evitarle una sofferenza che, in quanto mentalmente assente, non potrebbe percepire, sostenuto da uno stato sulla base di congetture che non potrebbe approvare.
Non dico cattolica, ma almeno un po’ di ingerenza logica concedetela alla nostra legislazione.



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Immagine in evidenza: Mattia Luigi Nappi, CC BY-SA 3.0, via Wikimedia Commons