Volentieri offriamo ai lettori alcuni estratti di Vincere la paura di Padre A. Eymieu, contenenti alcuni avvertimenti per evitare errori comuni nella vita spirituale.
[…] L’uomo non è un bruto e nemmeno un Dio e s’egli non può accontentarsi del destino della bestia, non può, d’altra parte, aspirare a vivere la vita di un Dio. Voler raggiungere, in questo mondo, l’infinita verità, l’infinita potenza, l’infinita felicità, significa voler essere un Dio, aspirare all’impossibile e condannarsi, di conseguenza, a non aver vita che basti al proprio sogno. La tensione vitale, per quanto elevata essa sia, non può sorpassare i limiti segnati alla natura umana, più di quel che in una pompa aspirante l’acqua non possa salire oltre il limite, a cui può innalzarla la pressione d’aria.
[…] C’è, nella luce con cui la verità si manifesta e nella stretta in cui possiamo afferrarla, un grado di chiarezza e di forza, del quale è mestiere sapersi accontentare.
[…] Un intuito della ragione e un istinto della vita ci ragguagliano e rassicurano a tale riguardo, molto meglio di lunghi ragionamenti. La logica non è tutto nell’uomo. La vita è più profonda, essa è un fatto e come tutti i fatti, ha diritto d’esistere ancor prima di consultare la logica. La natura mette i principii necessari, alla portata delle intelligenze più umili; ma l’occhio dello scienziato si turba nel voler, con esagerata meticolosità, scrutarne la base e le vertigini l’assalgono. Essi brillano ad ogni occhio
come la luce del sole, ma come questo essi abbagliano coloro che, invece di camminare alla luce che proiettano, s’ostinano a fissarli[1].
[…] La storia, per esempio, e il commercio, la politica, il patriottismo e i sentimenti che presiedono alle relazioni sociali, esigono un metodo diverso da quello delle matematiche; e ciò si deve ripetere ancora per le molteplici conclusioni pratiche che intrecciano la vita d’ogni giorno. È d’uopo bandir la pretesa e perder la speranza di porle sotto l’usbergo di un’evidenza a tutta prova. Ciò oltrepassa il nostro potere, e, in pari tempo, il nostro bisogno. Non è proprio evidente che il pane che vogliamo mangiare non sia avvelenato, che il ladro o l’assassino non ci attendano sulla strada, che il tale movimento non abbia per conseguenza la rottura di una vena o la frattura di un osso. Tuttavia noi camminiamo e mangiamo altresì, perché è probabilissimo che non avremo per questo da sopportare danno alcuno. Ci si accontenta di tale grande probabilità e si fa bene. É questa la certezza pratica. Accade invece assai spesso che gli ossessionati, anche al di fuori della loro idea ossessiva, non se ne accontentino. Essi hanno torto e i loro immoderati desideri, esasperandosi, si faranno sempre più irrealizzabili e dolorosi, quanto più diverranno complessi.
[…] Altri pesano e ripesano le mille volte il pro e il contro, in una decisione da prendere, nella scelta d’una vocazione, d’una carriera, d’un fidanzamento. Essi vogliono essere assolutamente certi. Ahimè, non lo possono. C’è una misura saggia di riflessioni da farsi affine di decidersi, come pure una saggia misura di precauzioni da prendersi contro i microbi. In entrambi i casi, non si giunge che a una probabilità ragionevole. Bisogna accontentarsene, per due motivi: primo perché non si può far meglio, e secondo, perché facendo di più si finisce col trovarsi peggio. La preoccupazione esagerata delle precauzioni ingenera la paura, che, a sua volta, mette l’organismo in uno stato di minore resistenza e ne fa un eccellente terreno di sviluppo per i microbi; l’eccesso di riflessione, d’altra parte, logora, per così dire, i contorni delle idee, le quali infine non indentano più; le impressioni s’affievoliscono o si deformano a misura che vengono analizzate e sempre maggiormente si sottraggono al dominio dell’io: Non plus sapere quam oportet sapere, sed sapere ad sobrietatem[2].
[…] L’infinita felicità – non meno dell’infinita potenza e dell’infinita verità – non è, in questo mondo, in potere dell’uomo. Nella sua natura limitato, nelle sue aspirazioni infinito…[3]
>>> Vincere la paura <<<
[1] Vedasi il nostro volume: Païens, Parigi e Lione, Vitte, nuova ed., 1905, p. 257-311.
[2] S. PAOLO, Ad Romanos, XII, 3. Si può vedere la discussione di questo testo, nel P. Bainvel, Les contre-sens bibliques des Prédicateurs, Parigi, Lethielleux, 1895, p. 130 sq.
[3] È uno dei patetici versi di Lamartine: Borné dans sa nature, infini dans ses vœux… N. d. T.
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