di Luca Fumagalli

Prima di iniziare, per chi fosse interessato ad approfondire l’opera di Mons. O’Connor e quella di molti altri scrittori cattolici britannici si segnala il saggio, targato Edizioni Radio Spada, “Dio strabenedica gli inglesi. Note per una storia della letteratura cattolica britannica tra XIX e XX secolo”. Link all’acquisto.

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Mons. John O’Connor (1870–1952) è oggi ricordato esclusivamente per essere stato il modello del Padre Brown di G. K. Chesterton. Eppure il sacerdote irlandese fu una figura a suo modo eccezionale. Sebbene per tutta la vita ricoprì solamente umili incarichi parrocchiali nello Yorkshire, coltivò rapporti con l’artista Eric Gill, il poeta David Jones e molti altri intellettuali del suo tempo. Fu inoltre bibliofilo, collezionista d’arte, musicologo, giornalista e traduttore dal francese (i suoi autori preferiti erano Claudel e Maritain). Hilaire Belloc, che come molti fu catturato dal suo buon umore, lo definì l’uomo più intelligente che avesse mai incontrato.

Tuttavia le vedute teologiche del monsignore, in particolare per quanto concerne la liturgia, difficilmente si sarebbero potute definire conservatrici. Sul tema scrisse pure un opuscoletto, Why Revive the Liturgy, and How?, che anticipava alcune delle innovazioni che sarebbero state introdotte dal Concilio Vaticano II (come scrive Julia Smith in The Elusive Father Brown, «Padre Keegan ricorda che quasi tutto quello che venne introdotto col Concilio era stato privatamente introdotto da Padre O’Connor anni prima»). Le sue opinioni, del resto, trovarono una concreta applicazione già nella nuova chiesa parrocchiale di Our Lady and First Martyrs, a Bradford, che il sacerdote fece costruire nel 1935: l’edificio presenta una rivoluzionaria pianta ottagonale, quasi circolare, con l’altare collocato al centro dell’assemblea.

La nuova edizione dello scritto di O’Connor (Arouca Press, 2021)

Why Revive the Liturgy, and How? venne stampato privatamente e in forma anonima, senza data e senza nemmeno l’indicazione della casa editrice o del tipografo. Tanta discrezione era motivata dal desiderio di limitare la circolazione del pamphlet a una stretta schiera di amici e corrispondenti dato che O’Connor era pienamente consapevole che stava trattando temi ecclesiasticamente delicati e voleva evitare a tutti i costi di incappare nelle ire del suo vescovo. Solo nel 2021 l’Arouca Press si è assunta l’incarico di ripubblicare il libello con il titolo Father Brown Reforms the Liturgy, corredato da una lunga introduzione del benedettino Hugh Somerville Knapman.

Se la datazione dello scritto non è così scontata – Padre Knapman avanza l’ipotesi del 1939 –, per quanto riguarda la sua paternità non ci sono dubbi. Una copia di Why Revive the Liturgy, and How? è infatti custodita presso la libreria dell’Università di Toronto tra quelle carte di mons. O’Connor che costituiscono una parte della Chesterton Collection. Altri riferimenti al documento sono rintracciabili nell’articolo della monaca bendettina Felicitas Corrigan, “The Prescience of Father Brown”, pubblicato sulla rivista «The Clergy Review» nel febbraio 1972, nonché nella biografia di O’Connor firmata dalla Smith nel 2010.

Why Revive the Liturgy, and How?, nell’insieme, risulta comunque un testo abbastanza disorganico, dando l’impressione di essere più che altro il risultato di appunti sparsi accorpati a posteriori nel tentativo di rendere il discorso un minimo coerente e lineare.

Mons. John O’Connor

In esso l’autore, più che una rivitalizzazione, invoca una vera e propria riforma della Messa tridentina; le altre forme liturgiche non sono contemplate semplicemente perché, per O’Connor, «la liturgia è essenzialmente ed esclusivamente il solenne sacrificio della Messa e nient’altro». Il sacerdote, che non fa nulla per mitigare la schiettezza di un linguaggio frizzante, a volte pure pungente e sarcastico, si esprime a favore della traduzione in volgare di alcune parti della Messa, della concelebrazione, della possibilità di ricevere la comunione nelle mani, dell’ammorbidimento della disciplina riguardante il digiuno eucaristico e dell’ordinazione di diaconi permanenti. Onde evitare certi scempi canori di cui è stato testimone, arriva persino a proporre l’abolizione della musica nelle funzioni pubbliche. Ma quella che O’Connor considera «la più importante riforma» è il ritorno a un altare centrale privo di tabernacolo, con i fedeli radunati tutt’intorno: «Il motivo principale di queste note è quello di instillare nella coscienza comune che l’altare deve essere al centro del luogo di culto, e deve essere un altare e non un deposito; cubico, con il tavolo sporgente di quattro pollici tutt’intorno» (del suo stesso parere era anche Eric Gill, autore di un volumetto sulla questione intitolato “Mass for the Masses”).

Un altro esempio del più o meno cauto progressismo del sacerdote è offerto da una sua predica tenuta molto probabilmente prima della costruzione di Our Lady and First Martyrs: «Non ogni osservanza primitiva è santa o indispensabile. […] Vi è un abuso vecchio di mille anni che è quello di aver spinto l’altare all’estremo più lontano di un lungo edificio, con il sacerdote che volge le spalle alle persone. Curioso, come se tutte le rappresentazioni dell’Ultima Cena mostrassero Nostro Signore di schiena rispetto ai suoi apostoli. Temo che non vedremo questa riforma nei nostri tempi, e noi non siamo quei riformatori che bruciano la casa per pulirla, o che buttano via l’acqua col bambino. Questo e altri abusi continuano perché gli uomini non sono solo sempre addormentati, ma mai perfettamente svegli. Ognuno di noi è un po’ lento, ha un lato cieco, e ogni tanto cede alla tranquillità».

La chiesa di Our Lady and First Martyrs come appare oggi

Per quanto mons. O’Connor dimostri occasionalmente una scarsa conoscenza della tradizione liturgica e cada in scivoloni clamorosi, Why Revive the Liturgy, and How? rimane una lettura interessante, a prescindere dalle poco condivisibili opinioni del suo autore. Si tratta infatti di una preziosa testimonianza di quel desiderio di rinnovamento liturgico che, negli anni tra le due guerre mondiali, stava interessando pure alcuni circoli del cattolicesimo britannico, un fenomeno a cui pochi studiosi, almeno fino ad ora, hanno prestato la dovuta considerazione.

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