Volentieri offriamo ai lettori questo estratto de Il pensiero di S. Agostino, la forza del Primato Romano, la nascita dell’Islam (Vol. 3, Storia universale della Chiesa, Card. Hergenröther) su San Benedetto, la sua regola e il monachesimo.


Ma il monachismo in Occidente ebbe alfine un ordinamento uniforme e costante e insieme una regola eccellente da S. Benedetto di Norcia, Patriarca degli ordini monastici fra i Latini. Egli nato, circa il 480, a Norcia nell’Umbria dalla nobile schiatta degli Anicii, mandato poi a studio in Roma, seguì ben presto il suo amore alla solitudine e si ritrasse ancora assai giovane in una riposta caverna a Subiaco presso Tivoli. Quivi condusse per tre anni la vita in un pieno ascondimento, e provvisto solo del necessario nutrimento da un monaco per nome Romano. Ma scoperto dai pastori e venuto in grande celebrità all’intorno, i monaci di un vicino convento lo richiesero per abate. Benedetto da prima ricusò, predicendo non potersi egli accordare con la loro vita sfrenata; pure alla fine vinto alle loro preghiere, accettò la dignità; ma dovette presto lasciarla, quando i monaci indispettiti della sua austerità ebbero tentato di avvelenarlo. Ed egli si ricondusse alla solitudine; ma la santa sua vita allettò molti, che vennero a formarsi sotto di lui. E a lui pure i Romani più illustri consegnavano i loro figliuoli a educare. Così egli riuscì, dal 520, a istituire dodici monasteri, ciascuno con dodici monaci soggetti ad un superiore. Di qui, per le vessazioni di un prete vicino, costretto ad allontanarsi, mosse con pochi suoi discepoli verso il mezzodì nella Campania, e abitò le rovine di un antico castello, che sorgeva su di un alto monte in quel di Capua, detto Monte Cassino, dove nel 529 fondò il monastero poi così celebre di questo nome. S. Benedetto vi trovò ancora dei pagani, e intorno un bosco e un tempio di Apollo: egli convertì i pagani, fece tagliare il bosco, distruggere il tempio e in luogo di esso edificare una cappella dedicata a S. Martino. Indi a poco altri monasteri sorsero, come quello di Terracina. Anche monasteri di religiose furono istituiti; e a queste presedeva S. Scolastica sorella di S. Benedetto, la quale di poco tempo precedette il fratello nella morte (543).

Ma il grande S. Benedetto anche dopo la sua morte continuò ad operare, mediante i suoi numerosi discepoli e mediante l’ammirabile sua regola monastica. Questa era destinata a togliere di mezzo le incertezze e le differenze, che fino allora correvano, nella disciplina claustrale. Fino allora infatti si prendevano a norma le regole degli Orientali, gli scritti di Cassiano, le vite dei solitari d’Egitto e della Siria, le tradizioni dei fondatori e dei primi superiori; ma da tutto ciò gli abati avevano trascelto, secondo loro giudizio, quanto pareva condurre all’intento. La mancanza però di uniformità si sentiva non rare volte assai dannosa. S. Benedetto levò di mezzo tutti questi inconvenienti, e abilitò il suo ordine a predicare la fede, a estirpare le reliquie del paganesimo, educare la gioventù, coltivare le campagne, conservare e promuovere gli studi. Egli obbligava i suoi discepoli con voto solenne all’osservanza della regola. Questa poi in tutto corrispondeva ai bisogni dei tempi, e venne di mano in mano accettata universalmente: conteneva, in 73 Capitoli, le prescrizioni di maggior momento per l’acquisto della perfezione evangelica e per la vita regolare in comune, mitigava le austerità degli Orientali e moveva da una sapienza e da una cognizione dell’uomo più profonda.

S. Benedetto separava il monaco dal mondo, lo allontanava dalle tentazioni esteriori e dalle cure mondane, lo esercitava nella povertà, nell’obbedienza, nel lavoro delle mani (c. 48), nel canto delle ore canoniche (c. 8, 9) e nella meditazione; e con ciò mirava a renderlo vero adoratore di Dio in spirito e verità. L’abate, eletto da tutti i fratelli insieme dopo coscienzioso esame, doveva essere il padre di tutti, ma insieme apparire a tutti quale rappresentante di Cristo, al quale stavano tutti soggettati con inviolabile obbedienza. Solamente per via di umili e costanti suppliche si poteva impetrare l’ammissione nel monastero; il quale non era già un luogo di tormenti, ma un Paradiso al vero monaco. E parimenti solo dopo un anno di prove sostenute con onore seguiva l’ammissione ai voti solenni e perpetui, che si facevano a voce e per iscritto, e includevano l’obbligazione di dimorare nello stesso monastero, sotto l’obbedienza dell’abate, secondo la regola. Per questo voto (stabilitatis votum, c. 58) non solamente si ovviava al pericoloso girovagare dei monaci, ma si promoveva ad un tempo lo spirito religioso di famiglia e l’assuefarsi alla nuova patria elettasi da ciascuno. Anche i preti, innanzi d’essere accettati, sottostavano ad un esame e ottenevano poi il primo luogo dopo l’abate. All’abate assistevano il priore, da lui eletto, e i decani (preposti a dieci monaci). Nei casi più rilevanti, per quanto si confidasse nella sua avvedutezza e discrezione, egli era obbligato a richiedere di consiglio i frati adunati, ma poteva poi risolvere a suo giudizio. Il culto divino era pure minutamente ordinato, sì di giorno, sì di notte, e ripartiti convenevolmente i tempi al lavoro, alla preghiera, al riposo. Ognuno doveva secondo le forze e le attitudini avere una occupazione, sia nel coltivare il campo, nel lavorare di mano o nel trascrivere libri. Per la sanità e la mortificazione si voleva un vestire semplice, come l’usato a quei tempi dalla gente povera e popolana, e un nutrimento comunale, in cui si consentiva un uso moderato del vino (c. 40). Ma rispetto agli ammalati, ai cagionevoli, ai vecchi si concedevano anche speciali mitigazioni. Nessuno però doveva possedere cosa propria, ma il tutto appartenere in comune al monastero e anche in ciò fuggire ogni ombra od apparenza di cupidigia. Dormivano vestiti affine di potere al primo segno recarsi con prontezza alla chiesa. Le pene loro poste erano: separazione dagli altri frati, punizioni corporali e in ultimo espulsione dal monastero. I discacciati però che mostrassero pentimento, erano riaccettati fino alla terza volta. Le prescrizioni che regolavano l’esteriore contegno, non servivano che quali norme di educazione e di tratto; laddove per contrario le parole di Cristo e le regole dei Padri dovevano guidare ad alta perfezione. E in verità le opere del grande Ordine benedettino giustificano appieno le regole del loro fondatore e fanno che si debba in lui riconoscere uno dei più grandi benefattori del genere umano.

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Immagine: San Benedetto, Fra Angelico.