Tra i tanti errori che stanno emergendo nelle analisi che si leggono sulla vicenda russo-ucraina, tre in particolare balzano all’occhio. Vediamoli.

  1. Sentimentalismo decontestualizzante. I sentimenti hanno un ruolo importante, si sa. Ma esagerarli significa mettere a rischio la validità del ragionamento a cui si applicano. ”Sto dalla parte dell’Ucraina perché è la terra del grande cardinale Slipyi, perché ha una quota rilevante di popolazione che è battezzata cattolica!”. Embè? Anche Napoleone aveva la stragrande maggioranza dei suoi soldati che erano battezzati cattolici ma questo non porterebbe nessun cattolico assennato a dirsi un entusiasta filonapoleonico. Purtroppo l’Ucraina di oggi ha sì tanti fedeli della Chiesa tra i suoi cittadini (in ogni caso una frazione e comunque, fatta eccezione per una minoranza nella minoranza, ben allineati alla gerarchia neomodernista) ma risulta appoggiata dai peggiori caporioni della “società occidentale”, dalle conventicole più liberali e progressite e dai circoli europeisti che ben conosciamo. Chi ha un minimo di buona memoria ricorderà le vicende della rivoluzione arancione – una delle tante ”rivoluzioni colorate” – e dell’Euromaidan. Il cardinale Slipyi, un grande uomo, era ucraino più o meno come santa Gudula era belga (e patrona di Bruxelles) ma questo non ci basta per accodarci alle istanze che vengono da quel Paese. Discorso simile per la Russia: chi pensa che basti star ”contro Washington e Bruxelles” per essere dalla parte giusta fa lo stesso errore di chi qualche decennio fa pensava che bastasse essere contro l’URSS per aver ragione. Il fascino un po’ facilone per il Patriarcato di Mosca, tanto diffuso anche in ambienti tradizionalisti, non tiene conto del fatto che si tratti di un ente scismatico, che zoppica nell’errore. Chi idolatra il governo russo si scorda del ruolo degli oligarchi e delle tante influenze cui è soggetto. Insomma: a semplificare troppo si va a sbattere. Non siamo in uno scontro da fumetti dei buoni contro i cattivi, ma in un drammatico contesto bellico che si sviluppa su uno scacchiere complesso, dove soluzioni ottime non esistono, e forse nemmeno buone.
  2. Determinismo. In guerra fare i conti è complesso e l’irrazionalità (anche dei decisori) gioca un ruolo rilevante. Mettersi a stilare calcoli con la convinzione che i dati che abbiamo siano sufficienti a fornirci un risultato certo è semplicismo puro. Ne abbiamo avuto prove concrete anche questa volta, basti ricordare gli esperti di geopolitica che dalla Rai decretavano su Putin: “Non si ammassano truppe al confine per fare la guerra, è solo un’operazione psicologica, per trattare. Oggi le operazioni devono essere veloci e improvvise”. Il tutto poche ore prima degli spari. Anche oggi fare previsioni è scivoloso ed esiste un segmento non controllabile che influenzerà l’evoluzione del conflitto.
  3. Immedesimazione esagerata. Non siamo né russi, né ucraini e al momento (ripetiamo: al momento) il nostro primo dovere è pregare e, per ciò che ci è possibile, operare perché il nostro Paese non sia danneggiato da questi eventi. Si tratta del principio di prossimità: ciò che è (per ora) lontano non va ignorato ma va letto nella prospettiva più utile per preservare ciò che è prossimo. Il padre di famiglia non ignora ciò che succede di fianco a casa sua ma prima di tutto si occupa di sua moglie e dei suoi figli. Più che passare ore a litigare in modo sterile su domande del tipo: ”Tu da che parte stai?”, sarebbe opportuno interrogarsi e interrogare i propri interlocutori politici sulla saggezza di schierare di fatto il nostro Paese in questo conflitto, con tutte le conseguenze sociali, politiche ed economiche che la scelta implica. Detto questo, preveniamo una facile obiezione: ove fossimo costretti ad un bambinesco gioco della torre, è evidente che la compagnia filo-Kiev degli Schwab, dei Biden, delle Von der Leyen, dei Macron, ci rende quasi sopportabile la vicinanza ai barboni scismatici moscoviti e alle cordate degli oligarchi putiniani che con entusiasmi alterni reggono il moccolo al governo russo. Ma quanto detto fin qui è sufficiente a chiarire l’inutilità di questo esercizio.

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Immagine: Woycicki, CC BY-SA 4.0, attraverso Wikimedia Commons